Indegno di un paese civile

 

Sovraffollamento e degrado

S. Vittore indegno di un Paese civile

 

Corriere della Sera, 18 luglio 2003

 

La Procura: sovraffollamento e degrado San Vittore è indegno di un Paese civile

La denuncia del magistrato di turno dopo il suicidio di uno straniero rinchiuso in una piccola cella con altre nove persone

 

"Le condizioni di sovraffollamento e la cronica mancanza di mezzi in cui versa il carcere rendono sostanzialmente impossibile attuare una politica di reale ed efficace prevenzione degli atti autolesivi e dei suicidi (...) Si tratta di condizioni di detenzione non degne di un Paese civile". L’ennesimo, durissimo j’accuse sul cronico degrado di San Vittore questa volta non arriva da associazioni umanitarie o da assistenti sociali: a denunciare che il carcere di Milano sembra un lager è la stessa magistratura. Tutto nasce da un’inchiesta sul suicidio di un detenuto straniero che, per il pm di turno, si è trasformata in una discesa all’inferno. Dopo due mesi di accertamenti, la Procura non si è limitata a escludere qualsiasi responsabilità delle guardie per la mancata sorveglianza dell’arrestato, ma ha elogiato la direzione per "l’innegabile attenzione" al problema dei suicidi, fino a concludere che i problemi oggettivi di San Vittore sono tanto gravi da mettere in dubbio perfino l’obiettivo minimo della sopravvivenza. Il suicidio, che servirà ad evitarne altri solo se i burocrati di Roma decideranno finalmente di fare qualcosa, si consuma il 5 maggio scorso, all’ora di pranzo, nel sovraffollatissimo "sesto reparto" di San Vittore, dove sono rinchiusi i nuovi arrestati: a Milano, in media, sono 30 al giorno. Un trentenne ecuadoriano, Chamorro Morocho, è stato ammanettato due giorni prima con l’accusa di omicidio: in un raptus di gelosia, ha investito con un furgone l’ex moglie, morta sul colpo, il suo convivente e il figlio, rimasti feriti. Il 4 maggio, nella visita di routine dello psicologo, l’arrestato "non dichiara propositi autolesivi", ma il medico, come per ogni protagonista di delitti familiari, dispone comunque "massima sorveglianza con controlli ravvicinati". Il detenuto risulta malato di tubercolosi, ma "per mancanza di celle idonee" viene rinchiuso in una stanza di fortuna, ricavata "nella sala d’attesa". Il pericolo di contagio ne imporrebbe "l’isolamento sanitario", ma di fatto in quella "piccola cella con i materassi a terra" sono ammassati "altri nove detenuti" stremati dall’afa. Alle 13.20 del 5 maggio il recluso ecuadoriano s’impicca in bagno "con una stringa delle sue scarpe, lunga 107 centimetri". E’ questo particolare a far partire l’inchiesta: com’è possibile che a un detenuto a rischio sia stata lasciata la corda per impiccarsi? Per cominciare, il pm Marco Ghezzi accerta che "non esiste una normativa sul punto": ci sono generiche "circolari sull’autolesionismo", ma "nessuna affronta il problema del vestiario". Poi, in una testimonianza definita dal magistrato "sconfortante" ma "illuminante", il direttore di San Vittore, Luigi Pagano, spiega che il carcere avrebbe "una capienza massima di 800 detenuti", ma quel giorno dietro le sbarre ce ne sono 1326 e solo perché "un reparto e mezzo sono chiusi": la media ordinaria è di "oltre 1600" prigionieri.

Motivando l’archiviazione, il pm aggiunge che "mancano personale e mezzi: in particolare la direzione non dispone di vestiario che eviti rischi di suicidio", nemmeno per i detenuti per cui questo è "elevato". Le guardie, insomma, non hanno scelta: se pretendessero di sequestrare a tutti "i capi a rischio", gli arrestati "circolerebbero seminudi". "Pur apparendo auspicabile che non vengano più lasciate stringhe" così lunghe, conclude il pm, "non sembra che la morte di Chamorro si possa attribuire alla responsabilità del personale carcerario". Il vero problema è che la stessa struttura del carcere non rispetta "l’incoercibile diritto" di ogni detenuto "di essere custodito in un ambiente che rispetti la sua dignità, oltre che la sua salute e sicurezza". Già nel novembre scorso la Procura, chiudendo un’altra inchiesta sul suicidio di due detenuti a massimo rischio, aveva spedito al ministero della giustizia una relazione su che denunciava "l’evidente violazione dei diritti umani dei detenuti di San Vittore". Da Roma, per ora, nessuna risposta: l’unica ispezione ha colpito procura e tribunale. Interpellato ieri, Luigi Pagano ha riconfermato "il sovraffollamento gravissimo soprattutto nel sesto reparto, che avrebbe 200 posti ma di fatto ospita da 400 a 500 detenuti". Lo stesso direttore invita i milanesi di buon cuore a inviare aiuti (ad esempio vestiti) alle associazioni più impegnate: Incontro e presenza, City Angels, Sesta Opera. O a rispondere agli appelli lanciati su Internet (al sito www.ildue.it) dagli stessi detenuti: i dannati di Milano.

 

 

Precedente Home Su Successiva