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La morte di Giuseppe Ugone (Padova, 29 aprile 1997)
Rassegna stampa sul caso di Giuseppe Ugone
Muore in cella, medici colpevoli
Il Gazzettino, 29 settembre 2001
La salute di un detenuto va tutelata anche contro la sua volontà. Non ha la facoltà di scegliersi lo specialista né la terapia più idonea. Non ci si può limitare a prendere atto del suo rifiuto di ricoverarsi. Occorre provvedere. E devono pensarci i medici di guardia. Sono risuonate come macigni in aula le parole del pubblico ministero Paola Cameran. Imprudente la condotta dei sanitari che hanno avuto in cura Giuseppe Ugone, il quarantunenne detenuto milanese, spirato in una cella del Due Palazzi la notte del 29 aprile 1997 in seguito ad una crisi cardiaca. Avrebbero dovuto prescrivere una visita specialistica urgente oppure disporre il ricovero in ospedale. Inspiegabilmente per una settimana non venne assunto nessun provvedimento. Colpevoli. Quattro mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione. È il verdetto pronunciato dal giudice Lara Fortuna nei confronti dei dottori Davide Terranova e Rolando Tasinato, assistiti dall’avvocato Giovanni Lamonica. Identica condanna ma senza doppi benefici per la dottoressa Antonietta Racioppa (avvocato Franco Antonelli) a causa di una recidiva specifica. Sono stati invece assolti per non aver commesso il fatto il dirigente sanitario Salvatore Montalto e l’altro medico di guardia Flavio Bertato, entrambi patrocinati dall’avvocato Paolo Marson. Il giudice ha evidentemente ritenuto che, nella sua veste di dirigente, non spettasse a Montalto disporre il ricovero del paziente affetto da un’angina pectoris instabile. Bertato aveva invece visitato Ugone per primo. Probabilmente quando la patologia non si era ancora manifestata in tutta la sua gravità. La pubblica accusa aveva invece chiesto di accertare la responsabilità penale di tutti gli imputati: sei mesi al direttore sanitario, cinque mesi ai medici di guardia. Giuseppe Ugone sarebbe dovuto tornare libero l’anno scorso, dopo aver scontato una condanna a nove anni per droga. Nonostante la crisi cardiaca avrebbe potuto salvarsi. Ma l’ambulanza del "118" aveva dovuto aspettare ben ventuno preziosi minuti al cancello del penitenziario prima di ottenere il permesso di entrare. Le numerose pecche nel sistema organizzativo e strutturale del supercarcere Due Palazzi non erano certamente attribuibili al personale sanitario. Che avrebbe però omesso di considerare adeguatamente la sintomatologia del detenuto e l’aggravarsi del suo quadro clinico, dal momento che la settimana precedente il decesso Ugone, iperteso, era rimasto vittima di ripetuti episodi di angina pectoris. Il recluso aveva volontariamente sospeso la terapia ipertensiva. Secondo l’ipotesi accusatoria, i medici del carcere avrebbero dovuto provvedere ad una terapia mirata e disporre il tempestivo ricovero ospedaliero.
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