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"Morire di carcere": dossier agosto 2009 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di agosto registra 8 nuovi casi: 3 suicidi, 3 morti per malattia e 2 per cause ancora da accertare.
Morte per cause da accertare: 4 agosto 2009, in TSO a Salerno
Francesco Mastrogiovanni, 58 anni, muore per un edema polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra mentre si trova ricoverato in TSO all’Ospedale di Vallo della Lucania (Sa). Sul suo corpo sono riscontrate lesioni ai polsi e alle caviglie, segno dell’utilizzo di legacci abbastanza spessi, plastica rigida o addirittura filo di ferro. Comunque, lesioni derivanti da una forte pressione esercitata con strumenti non leciti. Ma ora i medici legali della procura vorranno capire anche il motivo scatenante di un edema polmonare che ha poi determinato l’infarto. Sono alcuni dei dati emersi dall’autopsia effettuata ieri mattina sul cadavere di Francesco Mastrogiovanni, il maestro di scuola elementare di Castelnuovo Cilento sul cui decesso indaga la procura di Vallo della Lucania. Mastrogiovanni ricoverato il 31 luglio scorso all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento sanitario obbligatorio è morto dopo quattro giorni di degenza. La procura della Repubblica ha aperto una indagine, diretta dal pm Francesco Rotondo, a carico del primario Michele Di Genio e i medici Rocco Barone, Raffaele Basto, Amerigo Mazza, Annunziata Buongiovanni, Michele Della Pepa, Anna Angela Ruberto. Ieri l’autopsia e la scoperta di profonde lesioni a polsi e caviglie. È soprattutto su quest’ultimo aspetto che si incentrano le indagini della Procura di Vallo della Lucania. Le lesioni, infatti, starebbero ad indicare l’allettamento forzato del paziente e sull’eventuale accanimento dei sanitari si incentrano le indagini. Durante l’esame del corpo, disposto dal sostituto procuratore Francesco Rotondo, è stata rilevata in effetti la presenza di profonde lesioni ai polsi e alle caviglie, dovute a uno stato di contenzione prolungato, con l’utilizzo di mezzi fisici. Una pratica estremamente invasiva, che però nella cartella clinica di Mastrogiovanni non è mai menzionata né, tanto meno, motivata come prevede la legge. È, infatti, ammessa solo in uno stato di necessità e deve durare poche ore, fino alla terapia chimica. Mastrogiovanni, invece, secondo l’ipotesi choc all’esame degli inquirenti, sarebbe rimasto legato al letto per più giorni. Nella sua cartella clinica, inoltre, ci sarebbe un "buco" di oltre 10 ore rispetto ai trattamenti a cui il maestro è stato sottoposto prima di morire, ovvero dalle ore 21 del 3 agosto fino alle 7,20 del giorno successivo, quando i medici del reparto ne hanno constatato il decesso. Durante l’autopsia sono stati eseguiti anche prelievi di tessuti che saranno analizzati in un centro specializzato di Napoli. I risultati potranno contribuire a chiarire il quadro clinico complessivo. All’esame ha assistito per la procura pure uno psichiatra nominato come consulente, per la famiglia i legali Caterina Mastrogiovanni e Loreto D’Aiuto oltre al medico legale Francesco Lombardo. C’erano, poi, quasi tutti i medici indagati, il loro nutrito collegio legale e i loro consulenti, lo psichiatra Michele Lupo e il medico legale Giuseppe Consalvo. L’ipotesi di reato, di cui devono rispondere i sanitari, è omicidio colposo, salvo che dall’esame della cartella clinica e delle video registrazioni sequestrate non emergano differenti profili di responsabilità. Ad essere determinanti sono soprattutto le riprese girate nella camera di Mastrogiovanni durante il trattamento di ritenuta e subito dopo la sua morte, per verificare le azioni degli indagati. In ogni caso l’inchiesta sembra destinata ad allargarsi all’acquisizione delle cartelle cliniche degli altri pazienti sottoposti a trattamenti psichiatrici nell’ospedale San Luca e forse in tutta l’ex Asl Salerno 3. I funerali si svolgeranno oggi alle 18,30 nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Castelnuovo Cilento.
A Vallo no, perché là mi uccidono…
E pensare che per quell’uomo, la cui vita cambiò in un pomeriggio di luglio trentasette anni, su via Velia a Salerno, nei tragici attimi dell’omicidio di Carlo Falvella, ora piangono davvero tutti. I suoi alunni di Pollica, la titolare del campeggio che lo ha avuto ospite per circa un mese "e senza dare alcun fastidio, perfino accudendo i bambini di mia sorella", i familiari, naturalmente, che chiedono "verità e giustizia" secondo un canovaccio apparentemente rituale ma stavolta tragicamente pesante per tutte le coscienze. Perché sia stato firmato, venerdì 31 luglio scorso, un trattamento sanitario obbligatorio per Franco Mastrogiovanni, nessuno lo sa. Franco non era un assassino. Fu arrestato nel ‘99, processato per oltraggio a pubblico ufficiale, mesi in galera, poi assolto e perfino risarcito per ingiusta detenzione. Perché doveva finire in un reparto di psichiatria? Dovrà accertarlo uno scrupoloso pm, Francesco Rotondo. Il motivo? "La notte precedente - dice Licia Musto Materazzi - avrebbe tamponato quattro autovetture". L’auto di Franco è parcheggiata sotto la sua abitazione di Castelnuovo Cilento, senza alcun danno. Venerdì scorso, intorno alle sette, forze dell’ordine circondano il bungalow del campeggio dove Franco sta riposando. Capisce che lo vogliono fermare. Scappa sul lido, prende un caffè e fuma una sigaretta. Ma per lui è il giorno del destino mortale: a mare vedette della guardia costiera, a terra carabinieri e polizia municipale di Pollica. Franco è un uomo braccato, c’è uno spiegamento di forze che neppure per un latitante della camorra (e nel Cilento di questi tempi ce ne sono) sarebbe stato messo in campo. Ma lui "deve" essere trasferito in un reparto psichiatrico. È pericoloso. Cosa ha compiuto di tanto irreparabile, sconvolgente? Per lui ci sono le aggravanti: "noto anarchico", personaggio "pericoloso socialmente, intollerante ai carabinieri", ribelle alla regola. I ragazzi di Franco a scuola lo consideravano un maestro. Non un pazzo da legare da far morire su un letto di contenzione, mani e piedi legati per quattro giorni da fili di ferro, nella disumanità di un reparto-lager di un ospedale pubblico che ora nessun consigliere o assessore regionale si preoccupa di far mettere sotto inchiesta amministrativa. "Hanno ucciso un uomo in un letto di contenzione" dice il pm nel suo atto di accusa. Certo, tutto da provare. Non c’è dubbio. Ma Franco è morto, e fatto ancor più grave senza conoscere ancora il motivo per il quale sia stato trascinato sulla strada della morte. Verso Vallo, dove ora potrà avere almeno giustizia. (Il Mattino, 17 agosto 2009)
Suicidio: 28 giugno 2009, Carcere di Parma
Un detenuto di 49 anni, Camillo Bavero, si è ucciso nel reparto di isolamento del carcere di Parma l' scorso 28 giugno, mentre gli atti di autolesionismo riscontrati quest’anno sono stati finora 5. L’istituto presenta problemi nei servizi accessori: "Sono presenti solo 2 educatori, che forse diventeranno 3, sui 9 previsti in organico e questo - dice la senatrice - limita di molto la possibilità di attuare percorsi rieducativi". (Gazzetta di Parma, 8 agosto 2009)
Malattia: 10 agosto 2009, Carcere di Rebibbia (Roma)
Dalla lettera di don Sandro Spriano (Cappellano coordinatore a Rebibbia Nuovo Complesso - Roma) a Benedetto XVI: 1.600 detenuti ammassati nelle celle, solo 5 agenti, docce rotte, Aids. Forse era destino che Vincenzo (45 anni) e Stefano (51 anni) siano morti qui in questi giorni, o forse avrebbero potuto cavarsela con una più efficiente assistenza sanitaria! Facciamo ancora un passaggio dai più "cattivi" quelli del 41bis. Qui le stanze sono più confortevoli, ma la solitudine e il "fine pena mai" dei tanti ergastoli ammazzano qualsiasi speranza. (Corriere della Sera, 13 agosto 2009)
Morte per cause da accertare: 11 agosto 2009, Carcere di Ascoli
Salah Ben Moamed, tunisino di 28 anni, è stato trovato ieri mattina senza vita nel suo letto, nel carcere di Marino del Tronto. Da poche settimane era stato trasferito dal carcere di Trento dove due mesi fa era andato in arresto cardiaco e fu salvato con due Narcan. Moamed doveva scontare ancora due anni di residuo pena. A scoprire il giovane senza vita è stata l’infermiera del penitenziario quando ieri mattina ha tentato di svegliarlo per somministrargli la terapia. Il tunisino era sotto cura antidepressiva. Immediati i soccorsi ma quando il 118 del "Mazzoni" ha cercato di rianimarlo l’encefalogramma era piatto. I compagni di cella non si sarebbero accorti di niente in quanto credevano che ancora dormisse. Il sostituto procuratore Ettore Picardi ha ordinato l’autopsia che questa mattina sarà effettuata dal medico legale Claudio Cacaci. Il giovane tunisino potrebbe essere morto a causa di un sovradosaggio di farmaci. Salah Ben Moamed era da tempo un cocainomane e veniva curato, oltre che per una forte depressione, anche perché malato etilico. (Il Messaggero, 12 agosto 2009)
Suicidio: 12 agosto 2009, Carcere di San Vittore (Mi)
Luca Campanale, di 28 anni, si è impiccato con il lenzuolo poco dopo la mezzanotte, approfittando del cambio turno, nella sua cella al V Raggio, nel carcere di San Vittore. Era in carcere per reati di droga ed in attesa di essere inserito in un programma di cure di carattere psichico. Era stato da poco trasferito dal carcere di Pavia. Trovarsi in uno dei reparti più affollati del carcere, con circa 500 detenuti, non lo ha aiutato. Con due Raggi chiusi, il carcere di San Vittore continua a essere sovraffollato: sono ora 1.400 gli ospiti, a fronte di una carenza di circa 300 agenti. Con la situazione più critica al VI Raggio, dove nelle celle sono costretti a convivere fino a otto detenuti. (La Repubblica, 14 agosto 2009)
Indagare sul suicidio in cella di un 28enne malato, di Irene Testa
Ennesima tragedia in carcere. Luca Campanale, un detenuto di 28 anni, si è ucciso la notte del 12 agosto scorso impiccandosi alla finestra del bagno della sua cella nel carcere di San Vittore a Milano. Quando le tragedie sono annunciate allora non resta che la frustrazione amara di chi aveva lanciato allarmi per scongiurare un triste epilogo, tanto più devastante quando la vittima di un suicidio che si sarebbe potuto evitare è il proprio figlio. Non si dà pace Michele Campanale, pur nella rassegnazione a cui deve abituarsi, ora che Luca, 28 anni, se ne è andato impiccandosi alla finestra del bagno della sua cella a San Vittore. Non dovrà più corrergli dietro. Lo faceva sempre da quel giorno in cui Luca, allora diciassettenne, sopravvisse a un brutto incidente. Da quel momento la sua vita si trovò costretto a seguire le peripezie di una testa che non funzionava più a dovere. Due tentativi di suicidio, due trattamenti sanitari obbligatori, il tutto condito da numerosi ricoveri in comunità terapeutiche di disintossicazione dalla dipendenza - catalizzata dai suoi problemi psichici - da alcol e cocaina. Tutto scritto nero su bianco sulle perizie psichiatriche prodotte in sede processuale, portate in aula nelle udienze per quelle due rapine, e in appello. Secondo l’avvocato di famiglia, da queste perizie emergerebbe l’assoluta incapacità di intendere e di volere del ragazzo. Ma tant’è, le sentenze sono due condanne a due anni di reclusione ciascuna, e ulteriori sei mesi di permanenza in una casa di cura e custodia. La patologia non la si può negare, è bollata e certificata, ma per i giudici è solo parziale, e questo dà loro modo, sottratta una doverosa diminuente della pena, di assicurare Luca alla giustizia. Ed è proprio quella giustizia, quella stessa che, nonostante i suoi ripetuti avvertimenti e allarmi, ha concorso all’estremo gesto del figlio, che ora Michele vuole interrogare e mettere alla prova, portandola in causa innanzi a sé stessa. Per capire come muoversi in un campo tanto delicato, da poco Michele ha postato un messaggio sul sito della senatrice Poretti, radicale che si è spesa con generosità nell’iniziativa della sua compagna di partito Rita Bernardini, "Ferragosto in carcere 2009", campagna che ha visto la partecipazione di numerosi parlamentari e consiglieri di ogni schieramento in una massiva visita ispettiva presso 189 dei 220 istituti di pena italiani. Intanto, per il caso del suicidio tra le sbarre di Luca Campanale, la senatrice Poretti ha già preparato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, in cui si ricorda che, stante la comprovata sofferenza psichica del detenuto e il pericolo che commettesse atti gravemente autolesionistici e suicidi, questi veniva pochi giorni prima del suo gesto trasferito in una cella non dotata di adeguati sistemi di controllo e dove non si provvide alla vigilanza nei suoi confronti. A nulla valse, dunque, il profluvio di lettere e parole veicolanti preoccupazioni sulle condizioni psichiche di Luca, intercorso tra il padre, il legale di famiglia e le direzioni sanitarie degli istituti di pena dove era alloggiato. E a nulla valsero pure le indicazioni dei medici che lo visitarono nel carcere di Pavia e che ne raccomandarono "il trasferimento urgente presso altra struttura protetta, al fine di rendere possibile al giovane quelle cure mediche di cui realmente bisogna". Perizia che la terza sezione penale del Tribunale di Milano ha interpretato in modo da motivare il rigetto di un’ultima istanza di trasferimento, notifica che è arrivata solo poche ore prima del suo suicidio. Del perché di tale trattamento per un soggetto la cui vigilanza avrebbe dovuto essere alta la senatrice chiede conto; inoltre, suggerisce che, in attesa di una causa civile da parte del padre di Luca, si svolga un’indagine ministeriale per capire se non ci siano state responsabilità e negligenze professionali da parte di chi avrebbe dovuto garantirne l’incolumità anche in prigione. (Terra, 4 settembre 2009)
Malattia: 18 agosto 2009, Carcere di Treviso
Adriano Zanin, 55 anni, è morto per un infarto mentre si trovava recluso nel carcere Santa Bona a Treviso. L’uomo, che era pregiudicato, probabilmente in seguito all’ultima condanna non aveva più potuto beneficiare dei benefici di legge e ha dovuto così scontare la sua pena nel penitenziario trevigiano. Nella notte tra sabato e domenica Zanin si è sentito male mentre si trovava nella sua cella. A stroncarlo è stato un infarto che non gli ha lasciato scampo. A nulla sono valsi i soccorsi. Originario di Susegana, il cinquantacinquenne lascia le sorelle. I funerali verranno celebrati in uno dei prossimi giorni nella chiesa di Susegana. Proprio nei giorni scorsi anche il carcere di Santa Bona, come molti altri penitenziari italiani, era stato al centro di malumori e proteste che avevano portato alla presentazione di un esposto alla Corte europea dei diritti di Strasburgo contro il sovraffollamento.
Rita Bernardini: morto per colpa alla legge ex Cirielli
Denuncia il fatto l’onorevole del Pd Rita Bernardini che attribuisce la colpa alla legge ex Cirielli. È morto per un infarto mentre si trovava in cella al Santa Bona. Doveva scontare una pena di soli trenta giorni ed era gravemente malato di cirrosi epatica. Ha perso la vita così Adriano Zanin, 55enne di Susegana. È riuscito, visto le sue precarie condizioni di salute, a resistere per quattro giorni alle condizioni del carcere. È morto fra sabato e domenica scorsi. Era finito in cella per un incidente stradale, in quanto "recidivo" e, sulla base della legge ex Cirielli, non aveva potuto beneficiare della sospensione della esecuzione della pena. A porre sotto i riflettori la vicenda di Zanin è stata l’onorevole Rita Bernardini, eletta nelle liste del Pd e membro della Commissione Giustizia della Camera. "Pur essendo gravemente malato di cirrosi epatica e, quindi, fortemente debilitato, non è stato ricoverato in ospedale - ha dichiarato la parlamentare - Zanin è stato sbattuto all’interno di una cella di 15 metri quadrati, dotata di un bagno alla turca, in un caldo soffocante dove si trovavano già altri cinque detenuti. Ha resistito quattro giorni, la notte del quinto è morto senza essere assistito dal personale medico, il quale, stando a quanto denunciato dagli altri detenuti, quella notte non prestava servizio all’interno del carcere". Secondo la parlamentare questa tragedia, molto probabilmente era evitabile, se le carceri fossero meno sovraffollate. (La Tribuna di Treviso, 26 agosto 2009)
Suicidio: 24 agosto 2009, Carcere di Frosinone
Detenuto di 46 anni si suicida nel carcere di Frosinone. Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni: "l’episodio testimonia il clima di precarietà e di tensione che si respira nelle carceri di tutta Italia". Un detenuto italiano di 46 anni, Fabio T. (originario di Roma) si è tolto la vita ieri pomeriggio nel carcere di Frosinone, impiccandosi all’interno della sua cella. L’episodio è stato reso noto dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, l’uomo era recluso in una cella della nella sezione tossicodipendenti del carcere di Frosinone. All’interno della struttura del capoluogo ciociaro sono attualmente ospitati 480 detenuti. Ieri pomeriggio, secondo quanto riferito dai compagni di cella, Fabio avrebbe letto una lettera della fidanzata e, subito dopo, si darebbe tolto la vita. Inutili i tentativi si soccorso degli stessi detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. "Questo episodio - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - conferma il clima di estrema precarietà e tensione che si respira nelle carceri di tutta Italia, sovraffollate ogni oltre limite. A questo si aggiungono anche le difficoltà del periodo estivo, con il gran caldo e le ridotte attività di socializzazione e supporto. Io credo che, dopo episodi come questo e le continue voci di preoccupazione che arrivano da coloro che vivono il carcere, sia necessario un ripensamento sul sistema carcerario e sulla giustizia italiana in generale. Non è solo con nuove carceri che possiamo pensare di risolvere questo tipo di emergenza sociale". (Ristretti Orizzonti, 25 agosto 2009)
Sappe: un suicidio che conferma clima insicurezza
La segreteria provinciale Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, vuole segnalare un fatto gravissimo verificatosi nella giornata di lunedì 24 agosto, allorquando un detenuto, da poco trasferito nel carcere di Frosinone, si è impiccato in cella. Inutili purtroppo sono stati i tentativi di soccorso degli agenti di Polizia Penitenziaria intervenuti. L’episodio accaduto rappresenta come la situazione lavorativa all’interno dell’Istituto è divenuta insostenibile per il personale di Polizia Penitenziaria che è costretto ad operare ai limiti della legalità e, pertanto, è costantemente esposto a pericoli. La grave carenza d’organico ed il sovraffollamento della popolazione detenuta, mette a rischio l’incolumità stessa dei Poliziotti Penitenziari che, oltre a svolgere turni massacranti e a ricoprire contemporaneamente più posti di servizio, lavora ai livelli minimi di sicurezza 24 ore su 24, sopportando una grave situazione di disagio. Tale questione, più volte sollevata nelle opportune sedi e a chi di dovere, sfiora il dramma se si considera la cronica carenza di personale che spesso comporta turni di lavoro (12/18 ore continuative) tale da comportare, per i preposti ai servizi, l’esposizione ad eventi critici come quello di lunedì. Il personale di Polizia operante nell’Istituto Penitenziario di Frosinone, nonché tutto il sistema organizzativo locale, sono al collasso, e la relativa emergenza ed esigenza che il periodo particolare sicuramente richiede, procura una instabilità preoccupante sia sulla sicurezza dello stesso istituto che sulla tranquillità del personale. A peggiorare la situazione già precaria, ultimamente ci si è aggiunta la mancanza di relazioni sindacali tra le parti sociali e la stessa Direzione locale, che continua a porre in opera provvedimenti unilaterali senza coinvolgere le OO.SS. Questo episodio conferma il clima di insicurezza, instabilità, problematicità e tensione che si respira nel carcere di Frosinone e negli altri istituti d’Italia, ed è difficile pensare che solo con la costruzione di nuove carceri si possa uscire da questa emergenza sociale. (Il Segretario Provinciale Sappe, Alessandro Corsi)
Frosinone: dopo il suicidio in cella l’interrogazione alla Camera
Sul tragico episodio che pochi giorni fa ha visto un giovane detenuto togliersi la vita impiccandosi in cella, la deputata dei Radicali, Maria Antonietta Coscioni, ha presentato un’interrogazione indirizzata al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. L’on. Coscioni, già nei mesi scorsi si è fatta promotrice di una serie di iniziative sulla realtà degli istituti di pena, tra queste l’interrogazione dello scorso 15 giugno sull’assistenza psicologica ai detenuti in cui citava proprio la situazione di Frosinone dove "sarebbero rimaste a disposizione degli psicologi 26 ore di attività mensile a fronte di una popolazione di 450 detenuti". Attività per la quale manca una figura professionale nella pianta organica della Casa Circondariale frusinate, e che dagli ultimi dati è emerso essere affidata al volontariato, grazie all’interessamento e agli sforzi del direttore. "Ho presentato un’interrogazione specifica su Frosinone - ha spiegato l’on. Coscioni - perché ogni volta che si verificano questi casi è necessario interrogare il ministro per conoscere le modalità del fatto e se ne è a conoscenza. È anche un modo per far sì che l’amministrazione del carcere non si senta sola nell’affrontare il problema. Il dato dei suicidi è allarmante, anche perché i casi sono in aumento rispetto agli anni passati. Per i grandi penitenziari è più semplice avere attenzione, invece i piccoli centri, e Frosinone è uno di questi, risentono della lontananza dai centri decisionali e di osservazione. Per questo ho dedicato particolare attenzione alle realtà locali, ad esempio in Basilicata e appunto nel Lazio". A settembre si attende la ripresa dell’attività parlamentare e con essa la discussione sull’interrogazione che porterà la situazione specifica di Frosinone sul piano nazionale. (Il Tempo, 28 agosto 2009).
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