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"Morire di carcere": dossier ottobre 2006 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di ottobre registra 4 casi di suicidio (1 risalente ad agosto, ma reso noto solo ad ottobre).
Suicidio: 4 agosto 2006, Carcere di Massa Marittima (GR)
Detenuto italiano di 60 anni s’impicca in cella della sezione "semiliberi"; sarebbe uscito entro pochi giorni per effetto dell'indulto. La tragedia si è consumata poche ore prima che potesse guardare in faccia il mondo e dire "Sono un uomo libero". Sarebbe uscito presto dalla Casa circondariale la Camilletta di Massa Marittima. Era questione di giorni o forse di ore. E poi l’indulto avrebbe fatto il proprio corso. Donandogli tre anni di libertà. Ed erano due gli anni che lo separavano dalla fine della pena. Ma lui - detenuto in regime di semilibertà - ha scelto di non uscire vivo dal carcere. E lunedì sera intorno alle 23, dopo aver lavorato tutto il giorno in una delle attività economiche della zona di Massa, si è impiccato nella sua cella. Le motivazioni del gesto sono sconosciute. A quanto pare, l’uomo ha lasciato un biglietto di addio indirizzato ai familiari e ritrovato dalla polizia penitenziaria. Ma il contenuto è coperto dal massimo riserbo. Il sessantenne nei giorni scorsi aveva ricevuto la lettera da parte dell’autorità giudiziaria con cui si ufficializzava l’indulto. Per la legge, quindi, era un uomo libero. Lunedì sera l’uomo, rientrato dal proprio turno di lavoro, ha prima guardato la televisione insieme ai compagni, poi, una volta in cella, ha atteso che tutti dormissero. E ha messo in atto il gesto disperato. E ieri nella Casa circondariale di Massa Marittima erano tutti sconvolti. A cominciare dal comandante. Che contattato al telefono ha commentato: "C’è rammarico fra tutti noi. Non riusciamo a trovare una spiegazione a quanto è accaduto. Era una persona tranquilla. Sapeva che sarebbe uscito presto. Non aveva mai dato segnali di disperazione. Lavorava volentieri e aveva buoni rapporti con tutti". È da escludere, comunque, che l’uomo si sia suicidato per problemi legati alla detenzione. Anche perché il carcere sarebbe diventato presto solo un ricordo. Forse aveva dei problemi "all’esterno" che non voleva affrontare. O forse aveva paura di guardare di nuovo la vita fuori dalle mura della casa circondariale. Ma sono soltanto ipotesi. La salma, che al momento si trova all’obitorio di Massa Marittima, è a disposizione della Procura e non è escluso che sia disposta l’autopsia. Al momento non si conosce la data del funerale. (La Repubblica, 5 ottobre 2006)
Massa Marittima: 60enne suicida ad agosto, notizia tenuta nascosta, di Claudio Messina (C.N.V.G.)
Quel poveretto si è suicidato, non ricordo se di lunedì, ma certamente nei primi giorni di agosto, subito dopo l’entrata in vigore della legge sull’indulto. La direzione e gli operatori della Casa Circondariale di Massa Marittima hanno tenuta ben nascosta la notizia, perché certo è assai imbarazzante spiegare come possa accadere una simile tragedia in un istituto a custodia attenuata - che mediamente ospita una ventina di detenuti prossimi al fine pena - dove si cerca di sviluppare progetti di reinserimento attraverso la ricerca di lavoro all’esterno. Nell’istituto di Massa Marittima, che è sotto la responsabilità di una direttrice presente una volta la settimana, operano un’educatrice a tempo pieno, un educatore esperto a tempo parziale, due psicologhe, oltre ad altri operatori istituzionali e molti agenti di polizia penitenziaria, un cappellano, e alcuni volontari. Nessuno conosce la causa che lo abbia indotto al tragico gesto. Sta di fatto che questa persona, dopo essere stata scarcerata nei primi giorni di agosto, a distanza di due giorni è stata nuovamente arrestata, pare a causa di un pasticcio combinato dagli uffici (un errore nell’applicazione dell’indulto, notificato dalla procura sbagliata). L’uomo era un esperto d’arte e pittore lui stesso, ed aveva una mostra di sue opere allestita proprio a Massa Marittima. Chi l’ha conosciuto lo descrive come un soggetto molto particolare ed incline a stati d’animo assai mutevoli. La sua nuova carcerazione, una volta rimesso ordine nelle carte giudiziarie, sarebbe probabilmente durata solo alcuni giorni, ma lui vi ha messo fine prima con il suo gesto estremo. Chi può sapere cosa gli sia passato per la testa? Fatto sta che i compagni che lo hanno visto nelle sue ultime ore di vita hanno notato in lui uno stato evidente di malessere, di abbattimento. Possibile che nessun’altro, tra tutti gli operatori, si sia accorto dello stato di disagio sofferto e non abbia ritenuto di dover intervenire in qualche modo per rassicurarlo e per accertarsi delle sue condizioni psichiche? Non è alcun modo tollerabile che un fatto del genere sia accaduto proprio in un istituto così piccolo (oggi ci sono rimasti solo 6 - 7 detenuti) che ha la pretesa di sperimentare progetti speciali di reinserimento socio-lavorativo collegati alle realtà territoriali pubbliche e private. Tutti ci attendiamo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria adotti infine dei provvedimenti risolutivi delle molte problematiche - di cui questo assurdo suicidio è sintomatico - finora evidenziate dalla Casa circondariale di Massa Marittima.
Claudio Messina, Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
Suicidio: 3 ottobre 2006, OPG di Aversa (CE)
D.G., 41 anni, originario di Brindisi, si impicca in cella. La notizia viene divulgata dalle associazioni "Antigone Napoli" e "Città Invisibile" con questo comunicato: "Due internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) si sono suicidati nell’ultimo mese. Nell’Opg di Aversa vi sono 308 internati, il 30% dei circa mille internati in tutta Italia". "Ieri è deceduto - ricordano Samuele Ciambriello, presidente dell’Associazione Città Invisibile, e Dario Stefano Dell’Aquila, componente dell’Osservatorio nazionale sulla detenzione dell’Associazione Antigone - M.M., trentasette anni, sardo, impiccatosi. Il tre ottobre scorso, ma lo si è appreso solo in queste ore, un internato originario di Brindisi, D.G., di quarantuno anni si è tolto la vita in maniera analoga". "Gli internati in Opg - proseguono Ciambriello e Dell’Aquila - sono persone che hanno commesso un reato ma che non sono pienamente in grado di intendere. Per questo vengono condannate ad una misura di sicurezza, la detenzione in Opg appunto, che viene annualmente prorogata. Accade così, nella pratica, che persone che entrano in carcere per reati di poco conto, scontano decine di anni, se non la loro intera esistenza in un ospedale psichiatrico giudiziario". "È bene anche ricordare - concludono Ciambriello e Dell’Aquila - che la presenza in Opg per molti internati non è dovuta ad elementi di pericolosità sociale ma dall’assenza di strutture residenziali che li possano accogliere, perché in molti casi le Asl non intendono farsi carico di questi costi. E quindi il magistrato proroga la durata della misura di sicurezza". A loro giudizio "queste due morti disperate, avvenute nella totale indifferenza, meriterebbero,da parte di tutti maggiore attenzione. Forse una maggiore conoscenza di questi mondi, dei luoghi della marginalità e un maggior confronto con il mondo sociale aiuterebbero la politica a superare la psicosi da indulto ed a impedire le tragedie di vite dimenticate. In ogni caso - concludono - riteniamo indispensabile una radicale e rapida riforma che porti alla completa chiusura e al pieno superamento di queste strutture". (Ansa, 7 novembre 2006)
Suicidio: 17 ottobre 2006, Carcere di Belluno
Mohamed Bouakkaz, 25 anni, magrebino, sperava di uscire con l’indulto, invece si toglie la vita impiccandosi alla sbarre della finestra della cella. Era certo che l’indulto lo avrebbe tirato presto fuori da lì, invece, per lui, la pena da scontare era molto più lunga dei tre anni concessi dal provvedimento di clemenza che, nelle settimane scorse, ha svuotato le carceri italiane. Era dentro da più di due anni, condannato per droga e altri reati. Per Mohamed la speranza della libertà si è trasformata ben presto in un cappio di disperazione. Solo nella sua cella si è tolto la vita dopo aver prima chiacchierato, come se nulla fosse, con le guardie carcerarie. È accaduto due giorni fa, nel penitenziario di Baldenich, in quella cella che l’uomo occupava da solo. Non un privilegio, ma un confino dovuto alla spigolosità del suo carattere estremamente introverso. Nessuno lo voleva come compagno di sventura nei pochi metri quadri da dividere assieme 24 ore al giorno. Così, sfollate le celle, Mohamed ne aveva avuta una tutta per sé. E forse qui la sua disperazione è cresciuta. Quando gli agenti lo hanno trovato il suo corpo era ancora caldo. Hanno tentato di rianimarlo con un massaggio cardiaco. Invano. Mohamed si era ripreso la "libertà" negata dall’indulto. Quell’indulto che ha finito per infliggere altre crepe nella fragilità psicologica di chi vive la dura esperienza del carcere. Pare anche che non avesse parenti, non ricevesse né visite né telefonate. Non ha lasciato alcun biglietto, nessun messaggio per spiegare il suo gesto. Ma lo sapevano tutti che la speranza di poter uscire presto era diventata un’ossessione. Poi il gelo della realtà. E per Mohamed il buio. (Il Gazzettino, 19 ottobre 2006)
Suicidio: 19 ottobre 2006, Carcere Rebibbia di Roma
Mauro Bronchi, 39 anni, si impicca a Rebibbia con la cintura di un accappatoio. Era accusato di aver ucciso, il 2 luglio di quest’anno, la bimba di 5 anni figlia della sua ex convivente. Lo rende noto il suo avvocato. L’uomo era indagato per omicidio volontario. Secondo i magistrati avrebbe picchiato e immobilizzato la piccola che morì per asfissia. lcuni giorni fa la procura della Capitale aveva chiesto il giudizio immediato. Secondo il pm Caterina Caputo e il procuratore aggiunto Italo Ormanni, l’imputato l’avrebbe prima picchiata e poi immobilizzata. Il delitto avvenne nell’abitazione di Bronchi a Prima Porta, dove l’uomo viveva con Viviana Di Laura, la madre della piccola vittima. "Mi hanno detto che era tranquillo e che ieri si era addirittura informato delle possibilità di lavorare all’interno dell’istituto - ha commentato l’avvocato Fabio Federico, che si era recato in carcere a Rebibbia per un colloquio con il suo assistito. "È molto strano - continua l’avvocato - che il giorno dopo abbia cambiato così stato d’animo. Anche io lo avevo visto circa una settimana fa e lo avevo trovato molto sereno e fiducioso nella giustizia". Secondo alcune indiscrezioni, una ventina di giorni fa Bronchi aveva denunciato in carcere di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Il processo sarebbe dovuto iniziare il prossimo 23 gennaio davanti alla terza corte d’assise nell’aula bunker di Rebibbia. "Il detenuto aveva gravi disturbi mentali da tempo noti. Ora mi chiedo come poteva essere meglio seguito e trattato quest’uomo, autore di un crimine particolarmente odioso e violento che lo aveva di fatto isolato all’interno e all’esterno del carcere". Sono le parole usate dal Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni per commentare la morte, in carcere, di Mauro Bronchi. A quanto risulta al Garante l’uomo si è tolto la vita impiccandosi all’interno della sua cella, al primo piano del braccio G9 di Rebibbia. Quando ha compiuto il gesto l’uomo era solo dal momento che gli altri suoi due compagni di cella erano impegnati o in colloqui o nell’ora d’aria. Bronchi era arrivato a Rebibbia circa un mese fa, proveniente dal carcere di Regina Coeli, dove era stato rinchiuso fin dal giorno del suo arresto. Sempre a quanto risulta al Garante il disagio psichico dell’uomo era noto fin da prima del grave atto e violento di questa estate. Bronchi, infatti, aveva avuto la semi infermità psichica dopo aver compiuto un furto in un supermercato. (Ansa, 20 ottobre 2006)
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