Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier luglio 2004

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Nelle carceri italiane la "calda estate" continua. Nel mese di luglio altri 12 detenuti sono morti: 7 suicidi, 3 per malattia e 2 per cause non accertate.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Salah Talbouz

28 anni

1 luglio 2004

Suicidio

Ivrea (To)

Vincenzo Milano

30 anni

1 luglio 2004

Non accertata

Barletta (Ba)

Nicolae Doru

37 anni

2 luglio 2004

Suicidio

Frosinone

Carmine Giuliano

52 anni

2 luglio 2004

Malattia

Cassino (Fr)

Anacleto Locane

35 anni

11 luglio 2004

Suicidio

Padova (C.R.)

Francesco Racco

48 anni

13 luglio 2004

Malattia

Secondigliano (Na)

Michele Profeta

56 anni

16 luglio 2004

Malattia

San Vittore (Mi)

Detenuto italiano

25 anni

21 luglio 2004

Suicidio

Lecce

Cristian Orlandi

26 anni

22 luglio 2004

Non accertata

Verona

Marco Salvatore Garofalo

22 anni

23 luglio 2004

Suicidio

Siracusa

Detenuto dominicano

34 anni

28 luglio 2004

Suicidio

Busto Arsizio

Carlos Requelme

50 anni

30 luglio 2004

Suicidio

Livorno

 

Suicidio: 1 luglio 2004, Carcere di Ivrea (To)

 

Salah Talbouz, 28 anni, di nazionalità marocchina, detenuto da poche settimane, si impicca dopo aver scritto un biglietto in cui chiede di non avvisare la famiglia. Il suo corpo viene trasferito a Strambino, al servizio di medicina legale, per essere sottoposto ad autopsia.

 

Comunicato diffuso dall’Ufficio Stampa dell’On. Giorgio Panettoni (DS)

 

I giornali locali non hanno parlato della morte di Salah Talbouz.. La notizia compare solo sul giornale "Torino cronaca", praticamente sconosciuto a Ivrea. Come mai? Chi era Salah? Perché si è tolto la vita? Come si sono svolti i fatti? Quali comunicazioni sono state date alle istituzioni locali? Dove si svolgerà il suo funerale? A spese di chi? A chi competeva informare la comunità della città in cui si trovava involontario ospite? Questo è un caso in cui non si può attribuire all’opinione pubblica insensibilità o indifferenza sui problemi del carcere e di chi in carcere vive. Come si può manifestare attenzione o solidarietà per una persona invisibile? Salah, da vivo, era probabilmente un clandestino e da clandestino è morto.

Una volta di più dobbiamo constatare che il carcere è un "buco nero". È come se i suoi ospiti vivessero in un altro pianeta. Per esistere qui, con noi, un detenuto deve fare cose eclatanti, per esempio un tentativo di evasione con contorno di particolari piccanti. Un’estrema protesta contro tutti quelli che lo hanno rifiutato, che hanno negato la sua umanità, non basta a fare notizia, a farlo esistere. Nelle carceri italiane, nel solo mese di giugno, 9 persone si sono tolte la vita. La popolazione detenuta in tutt’Italia è poco più che doppia della popolazione di Ivrea: è come se qui si togliessero la vita 4 o 5 persone in un mese.

I suicidi in carcere sono in progressivo aumento. La gestione delle carceri deve essere richiamata all’osservanza delle leggi che ne regolano la funzione. Queste leggi dicono che il carcere è un luogo di custodia temporanea e di risocializzazione delle persone ivi rinchiuse per scontare la pena. Nel linguaggio penitenziario si dice che la funzione del carcere è "custodia e trattamento".

Nella gestione pratica si constata che le risorse dedicate al "trattamento" sono del tutto inadeguate, non solo, ma che sarebbero sprecate per i detenuti stranieri che comunque saranno espulsi al temine della carcerazione.

Questa è una delle conseguenze della legge sull’immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini, che, con palese contraddizione con la legge carceraria, discrimina i diritti delle persone a seconda della loro provenienza. La negazione dell’universalità di un diritto apre la strada all’erosione della democrazia e mette a repentaglio anche la nostra sicurezza.

La scarsa trasparenza di un’istituzione pubblica e la mancanza di informazioni ostacolano la partecipazione della comunità al progetto di accoglienza verso chi ha espiato la pena. La morte di Salah non sarà inutile e clandestina se sapremo cogliere il rimprovero e l’ammonimento che il suo gesto ci rivolge. (La Stampa, 13 luglio 2004)

 

Morte per cause non accertate: 1 luglio 2004, Ospedale di Barletta (Ba)

 

Vincenzo Milano, 30 anni, muore all’ospedale di Barletta. Vi era stato trasportato, di urgenza, per essere curato delle ferite riportate durante la cattura - eseguita da una pattuglia della Polizia Municipale - dopo che aveva commesso uno scippo: trauma cranico e facciale e diverse ferite lacero contuse. Ora è giallo sulla sua morte, tanto che il sostituto procuratore della Repubblica di Trani, Luigi Scimè, ha aperto un fascicolo d’indagine rubricata con l’accusa di omicidio colposo. Poco dopo il ricovero Vincenzo Milano sarebbe entrato in un lungo e profondo sonno, da cui non si sarebbe più svegliato. Sembra che già prima del fermo le sue condizioni di salute non fossero buone, infatti il giovane era tossicodipendente e in cura dal Ser.T. da diversi anni. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 2 luglio 2004)

 

Suicidio: 2 luglio 2004, Carcere di Frosinone

 

Nicolae Doru, 37 anni, rumeno, si impicca alle sbarre della propria cella. Era in carcere da 45 giorni: non aveva rispettato un decreto di espulsione dall’Italia, datogli come pena alternativa per un furto. Ma Nicolae gridava di essere vittima di un errore giudiziario: giurava che qualcuno aveva usato il suo nome e si era spacciato per lui durante un controllo della polizia. A tutti ha ripetuto fino alla noia che non sapeva esistesse un ordine di espulsione dall’Italia a suo nome: lo ha detto agli agenti, mentre lo arrestavano per non avere lasciato il territorio dello Stato, lo ha ribadito ai magistrati della procura di Venezia che lo hanno condannato.

Un suicidio strano, quello di Nicolae: ha annodato i lacci delle scarpe, ha legato le estremità alle sbarre della finestra, ha infilato il collo in quella specie di cappio senza nodi. E si è lasciato andare. Gli agenti della polizia penitenziaria se ne sono accorti poco dopo le 21 di giovedì sera. Si sono lanciati nella cella, hanno tentato di rianimarlo: ma è stato tutto inutile, il polso era assente, il cuore era già fermo. Lo avevano trasferito da Regina Coeli a causa del suo caratteraccio, anche in Ciociaria non aveva familiarizzato con gli altri detenuti e alla fine era stato necessario metterlo in una cella da solo. Stava scontando una condanna per furto aggravato, che era diventata esecutiva perché si era aggiunta la pena per non avere lasciato l’Italia nonostante il decreto di espulsione. Sarebbe uscito dal carcere nel 2006.

Delle indagini si sta occupando la polizia penitenziaria: sospetta che Nicolae non volesse suicidarsi ma solo compiere un gesto con il quale attirare su di sé l’attenzione della magistratura; poi però la compressione sulla carotide gli avrebbe fatto perdere i sensi, facendolo scivolare verso la morte. (Il Messaggero, 3 luglio 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 2 luglio 2004, carcere di Cassino (Fr)

 

Carmine Giuliano, 52 anni, muore per un tumore alla gola nell’ospedale dove era ricoverato da due settimane, proveniente dal carcere di Cassino (Frosinone). Cinque anni fa Carmine Giuliano fuggì, su una sedia a rotelle, dalla clinica di Cassino dove si trovava ricoverato agli arresti domiciliari per curarsi del tumore che poi doveva ucciderlo. Fu ripreso quasi subito. Agli inizi del 2000 decise di diventare un collaboratore di giustizia, ma questo suo ravvedimento durò poco e in capo a qualche mese ritrattò le proprie dichiarazioni iniziali. (Adnkronos, 3 luglio 2004)

 

Suicidio: 11 luglio 2004, Carcere di Padova (Casa di Reclusione)

 

Anacleto Locane, 35 anni, di origini pugliesi, si uccide infilando la testa in un sacchetto di plastica riempito di gas. Stava scontando le ultime settimane di pena, relativa a una serie di truffe. Fino a poche ore prima era allegro con tutti e apparentemente sereno. Anche perché il suo difensore di fiducia, l’avvocato padovano Patrizio Janniello, gli aveva appena comunicato che per settembre era già stata fissata l’udienza per l’affidamento in prova e tutte le relazioni dei servizi sociali erano favorevoli alla sua scarcerazione.

Un suicidio a cui i familiari non credono e vogliono conoscere la verità sulla morte del loro caro. Anacleto Locane aveva trascorso un periodo nel carcere di Belluno, poi era stato trasferito al Due Palazzi di Padova. Il suo nome era legato ad una grossa inchiesta su un traffico di auto. Le vetture venivano noleggiate, poi ne era denunciato il furto, invece entravano in un mercato clandestino ed erano rivendute all’estero: era una vera e propria organizzazione, quella che teneva i fili dell’operazione. Per la sua collaborazione con gli inquirenti, Locane era stato soggetto al programma di protezione, poi revocato. Tuttavia nel carcere padovano era detenuto nella sezione riservata ai "protetti". (Il Mattino di Padova, 12 luglio 1004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 13 luglio 2004, carcere di Napoli (Secondigliano)

 

Francesco Racco, 58 anni, muore la mattina del 13 luglio nell’ospedale Cardarelli di Napoli, dopo una crisi notturna al carcere di Secondigliano, dov’era detenuto. Da tempo era gravemente malato e, al momento del ricovero in ospedale, pesava solo 39 chili.

"L’hanno fatto morire come un animale dentro la sua cella", accusano i familiari, che hanno presentato una denuncia alla Procura di Napoli per ottenere, dicono, "chiarezza e giustizia".

Arrestato nel febbraio del 2000, doveva scontare dieci anni, per una sentenza della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, che lo aveva riconosciuto colpevole di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Ma era malato. Come racconta il suo difensore, l’avvocato Antonio Speziale, "soffriva di una grave patologia renale, che lo costringeva alla dialisi tre volte la settimana, e aveva complicazioni di cuore".

Proprio a causa delle sue condizioni di salute, nell’aprile scorso, l’uomo, detenuto al carcere di Locri, è stato trasferito a Secondigliano che, sostiene il legale, "in quanto centro clinico, avrebbe dovuto garantirgli tutte le cure necessarie".

Ma, benché la gravità della patologia gli fosse riconosciuta, Francesco Racco è stato mantenuto in una condizione carceraria normale, in cella con altri detenuti e non in corsia. "Peggiorava a vista d’occhio - sostiene l’avvocato - ma abbiamo chiesto inutilmente gli arresti domiciliari o gli arresti ospedalieri. L’Ufficio di Sorveglianza di Napoli ha negato tutte le misure alternative".

La situazione è precipitata all’inizio del mese. Ma il trasferimento al Cardarelli, deciso dalla direzione del carcere la mattina del 13 luglio, poco dopo le nove, non è servito a nulla: Francesco Racco è arrivato al pronto soccorso ormai privo di vita. Si chiede il suo avvocato: "La pena di morte non è stata abolita? Lo Stato esige che certi debiti con la giustizia si paghino con la vita?". (La Repubblica, 26 luglio 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 16 luglio 2004, carcere di Milano (San Vittore)

 

Michele Profeta, 56 anni, di origini siciliane, muore per un infarto mentre sostiene un esame universitario nella sala avvocati del carcere milanese. Condannato all’ergastolo per due omicidi, commessi a Padova nel 2001, Profeta era in carcere a Voghera e si era iscritto all’Università Statale di Milano, facoltà di Filosofia.

Ieri mattina era partito con la scorta da Voghera, per sostenere l’esame carcere di San Vittore, dove era ospitata la commissione esaminatrice. Seduto davanti ai commissari, alla presenza del suo avvocato, Profeta stava rispondendo alle domande quando ha accusato il violento malore, probabilmente un infarto. L’ergastolano è caduto a terra, e subito è stato soccorso dai presenti e dal medico di guardia dall’infermeria. Che non ha potuto fare nulla se non constatare il decesso del detenuto. Il pubblico ministero di turno, Fabio De Pasquale, disporrà l’autopsia. (Il Gazzettino, 17 luglio 2004)

 

Suicidio: 21 luglio 2004, Carcere di Lecce

 

Un detenuto brindisino, di 25 anni, si impicca con un lenzuolo nella sua cella. Il giovane era detenuto, per rapina, dal dicembre 2003. Dopo l’arresto, compiuto a Brindisi, era stato rinchiuso nel carcere della sua città, ma quattro mesi fa era stato trasferito nel penitenziario di Lecce.

È stato un agente in servizio di sorveglianza ad accorgersi del suicidio: ha subito liberato il giovane dal cappio e si è attivato per soccorrerlo, assieme ad alcuni detenuti, anche con un massaggio cardiaco. Le indagini sul suicidio sono coordinate dal Pm di turno del Tribunale di Lecce, Paola Guglielmi, che ha disposto l’autopsia. (Ansa, 22 luglio 2004)

 

Morte per cause non accertate: 22 luglio 2004, carcere di Verona

 

Cristian Orlandi, 26 anni, viene ritrovato morto nel letto della sua cella. Soltanto pochi minuti prima era al colloquio con la madre e la giovane moglie, sposata solo un mese prima, durante la detenzione in carcere. Le cause della sua morte sono tutte da accertare. Vicino al letto dove è stato ritrovato non c’era niente che potesse far pensare alla causa del decesso: da escludere, pare, anche l’ipotesi del suicidio. Cristian Orlandi, modenese, era detenuto da otto mesi, in attesa di giudizio per l’uccisione di un amico, dopo una serata passata in discoteca nella Bassa Veronese.

Il corpo dell’uomo è stato portato a medicina legale. Oggi con tutta probabilità verrà affidato l’incarico dell’autopsia, che verrà eseguita nelle prossime ore. E stabilirà se il decesso sia avvenuto per cause naturali, oppure per l’uso di sostanze stupefacenti. È possibile che accertamenti clinici vengano fatti anche sul suo compagno di cella, che ieri, quando è stato trovato il cadavere, non sembrava essere del tutto lucido. (L’Arena di Verona, 23 luglio 2004)

 

Suicidio: 23 luglio 2004, Siracusa (località protetta)

 

Marco Salvatore Garofalo, 22 anni si uccide nella località protetta dove viveva, assieme al padre Roberto Garofano, pentito di mafia. Il tragico gesto è stato attuato, a quanto pare, per non essere riuscito ad abituarsi a convivere con la situazione di cittadino protetto dalle forze dell’ordine, a causa della scelta operata da suo padre di collaborare con la giustizia.

Pur vivendo in libertà, il giovane era costretto a riferire i suoi movimenti ai referenti che proteggono suo padre e i suoi congiunti e questa condizione, impostagli con l’accettazione del contratto di protezione, lo avrebbe fatto esasperare e lo avrebbe depresso al punto da spingerlo a togliersi la vita.

La notizia del suicidio di Marco Salvatore Garofalo, nonostante il fitto riserbo che ha circondato il tragico evento, è arrivata ugualmente a Siracusa, dove risiedono alcuni parenti, ed è stata successivamente confermata dagli inquirenti, i quali però non hanno voluto fornire né particolari sulle modalità del suicidio del ragazzo, né sul luogo dove riposano i suoi miseri resti. Con grandissima costernazione e dolore la notizia è stata commentata dai parenti che risiedono a Siracusa, assai delusi per non aver potuto partecipare ai funerali del ragazzo. (La Sicilia, 24 luglio 2004)

 

Suicidio: 28 luglio 2004, carcere di Busto Arsizio

 

Detenuto dominicano di 34 anni, in carcere da soli 4 giorni, si impicca in cella. Il Pm di Busto Arsizio Polizzi ha predisposto una indagine e, per domani, l’autopsia sul cadavere. L’uomo era stato arrestato il 24 luglio scorso ed era uno dei tanti corrieri di droga che atterrano a Malpensa, carichi di merce da piazzare sul mercato italiano. Il domenicano ne aveva dappertutto: nel sottofondo del trolley, nelle suole delle scarpe, negli stick deodoranti e i classici ovuli in pancia, per un totale di circa tre chili di cocaina. Bloccato dalla Polaria, l’uomo era stato condotto in ospedale a Gallarate per l’evacuazione e poi al carcere di Busto. Ancora ignote le motivazioni del gesto: forse la prospettiva della pena, che in casi del genere, può arrivare anche a 5 anni di reclusione. Il corriere era pero incensurato in Italia e avrebbe potuto godere di attenuanti, in caso di collaborazione. Più probabile allo stato delle cose, una crisi depressiva di chi, forse ha tentato, il viaggio della fortuna e gli è andata male. (Varese News, 29 luglio 2004)

 

Suicidio: 30 luglio 2004, carcere di Livorno

 

Carlos Requelme, 50 anni, cileno, si impicca nella sua cella del carcere livornese delle Sughere fabbricandosi un cappio con le fibre di nylon dei sacchi dell’immondizia e legandolo alle sbarre della finestra. Carlos Requelme era in attesa di giudizio. Era stato arrestato lo scorso mese di aprile, in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta ed ottenuta dalla procura di Livorno con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti.

Marittimo della motonave "Ancud", Requelme fu arrestato insieme con una coppia di romani e la nave perquisita per giorni, senza però che la droga venisse mai trovata, dalla Guardia di Finanza che conduceva l’operazione. Il sostituto procuratore livornese Mario Profeta ottenne però dal Gip l’ordinanza di custodia cautelare per i pesanti indizi raccolti a suo carico, costituiti in particolare da intercettazioni. Nel carcere livornese Carlos Requelme divideva la cella con un altro detenuto che al momento della tragedia era al passeggio. È stato proprio lui, insieme con un agente della polizia penitenziaria, a trovare, al rientro in cella, il corpo privo di vita del compagno di detenzione. (Repubblica, 31 luglio 2004)

 

 

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