La
Procura scrive a Castelli: a San Vittore violati i diritti umani
Sevizie
e suicidi tra i detenuti, i magistrati di Milano accusano:
sorveglianza inadeguata
Corriere
della Sera, 16 novembre 2002
Sette agenti e tre infermieri incriminati per non essersi accorti delle violenze
subìte da un recluso per una settimana da due compagni di cella Segnalata anche
la morte di un dentista accusato di reati sessuali.
«Gravi
perplessità, anche per l’evidente violazione dei diritti umani» nel carcere
di San Vittore: a esprimerle per iscritto in una comunicazione ufficiale al
ministero della Giustizia è la Procura della Repubblica di Milano, che al
Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), diretto da Gianni
Tinebra, ha inviato una lettera con l’esito di due inchieste: una sulle
sevizie subìte in cella per un’intera settimana (dal 22 al 29 ottobre 2001
senza che nessuno se ne accorgesse) da un detenuto a opera di altri due
compagni; e una sulla morte, pochi giorni prima, di un dentista arrestato per
reati sessuali e suicidatosi in cella nonostante ne fosse stata disposta la
sorveglianza a vista. Mentre nel secondo caso la Procura ha notificato un invito
a comparire all’ispettore responsabile della sorveglianza, nel primo la
Procura, dopo aver già ottenuto la condanna dei due aguzzini per violenza
sessuale e lesioni a 5 e a 3 anni, ora ha esercitato l’azione penale per
omissione d’atti d’ufficio contro sette agenti di custodia e tre infermieri.
E proprio nel comunicarlo come previsto al Dap, il pm Giovanna Ichino,
affiancata dal procuratore aggiunto Corrado Carnevali (uno dei vice di
D’Ambrosio) ha scelto di sottoporre al ministero anche alcuni dubbi.
«Ritengo inoltre doveroso - scrive infatti il pm - sottoporre all’attenzione
di codesto ministero alcuni aspetti inerenti la gestione del sesto raggio della
Casa circondariale di San Vittore, che suscitano gravi perplessità, anche per
l’evidente violazione dei diritti umani».
In particolare, «le indagini, con riferimento ai casi dei detenuti G. ( quello
seviziato, ndr ) e O. ( quello uccisosi, ndr ) hanno evidenziato la ripetuta
violazione del regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria». A
cominciare dall’«inadempimento del dovere di sorvegliare i detenuti a
rischio, sottoposti al regime di massima sorveglianza ("a vista" nel
caso del detenuto O.)».
La Procura rileva infatti come, specie nelle indagini sulle sevizie a G., «è
emerso che gli agenti nelle ore serali si allontanavano spesso dal posto loro
assegnato per guardare la tv in altri locali, senza essere preventivamente
sostituiti».
Nel
caso del detenuto O., impiccatosi con la cintura nonostante fosse guardato a
vista, la Procura, oltre a rimarcare come siano passati «tre giorni» tra la
prescrizione dello psicologo e l’attuazione della massima sorveglianza,
lamenta: «Stupisce che l’ispettore incaricato della sorveglianza a vista del
detenuto (che aveva già manifestato intenzioni suicidiarie) abbia ritenuto di
non poter "scoprire" un posto di servizio all’interno dei reparti e,
senza consultare il superiore o il magistrato, abbia affidato la sorveglianza
del detenuto a un agente al quale era già stata affidata la sorveglianza a
vista di un altro detenuto». Risultato? Il dramma: le «incombenze erano tra
loro incompatibili, tanto che il detenuto O., al quale neppure era stata
sequestrata la cintura, è riuscito a impiccarsi».
Il fatto che per una settimana nessuno degli agenti si sia accorto delle
violenze patite invece dal detenuto G., e che anzi nessuno sia entrato nella sua
cella per sette giorni, suggerisce alla Procura altre due circostanze da esporre
al ministero.
Da un lato il ricorso, tollerato o ignorato, all’«otturazione dello spioncino
delle celle, che ha consentito lo svolgimento di gravissimi episodi di violenza
fisica e sessuale al di fuori di qualunque controllo degli agenti».
E dall’altro lato, «l’omesso controllo delle celle "per
battitura" dei ferri: non risulta - scrivono i pm - che, nell’intera
settimana in cui il detenuto G. è stato "segregato" nella cella 225,
alcun agente vi sia entrato per ispezioni e controlli. E invece il direttore
Luigi Pagano» il cui stile di conduzione da anni impedisce miracolosamente che
la polveriera del sovraffollamento faccia esplodere San Vittore «ha asserito
che il controllo dei ferri dovrebbe essere effettuato almeno una volta al giorno».
Un altro suicidio (quello dell’albanese R. il 9 agosto 2001) pone infine un
problema che la Procura solleva al ministero: l’aiuto medico non
automaticamente prestato ai detenuti che ne facevano richiesta. L’albanese, «subito
dopo un primo tentativo di suicidio andato a vuoto, lamentava uno stato di grave
sofferenza e disagio e chiedeva insistentemente di essere portato in infermeria».
Cosa che però non avvenne, «in violazione della circolare emessa dalla
Direzione del carcere il 31 gennaio 2001»: anzi, stando all’inchiesta, dopo
il primo tentativo di suicidio l’albanese sarebbe stato persino schernito da
taluni agenti. Al grido di «tanto se muore, è un albanese in meno».