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"Noi detenuti, senza acqua e senza un medico" La vita dentro il penitenziario tempiese raccontata da un giovane carcerato
L'Unione Sarda, 5 settembre 2002
"Finché
c’è acqua c’è speranza", scrive un giovane marocchino da una cella
della Rotonda. Già, pare che i detenuti non possano fare più di due docce alla
settimana - mesi estivi compresi - purché non arrivino tardi. Sulle
pareti, gli affreschi colorati dell’umidità rassomigliano a paesaggi
primaverili. Unica consolazione, il trattamento anti ratti di qualche tempo fa
che ha risolto, almeno per un po’, il problema di una compagnia troppo
invadente. Per il resto sarebbe preferibile sorvolare. Il sovraffollamento, gli
impianti tecnologici (senza ironia, si chiamano così) che non funzionano, il
personale che fa i salti mortali per gestire una situazione esplosiva, la
promiscuità esagerata (i bisogni fisiologici da espletare in compagnia), la
mancanza di uno spazio all’aperto per la classica ora d’aria, il freddo
polare d’inverno e via a seguire. Lo chiedono tutti, detenuti, agenti, magistrati, stanchi di vedere disattese le loro richieste spesso trasformate in promesse mai mantenute. Da poco, le tre celle riservate all’isolamento sono state chiuse, dichiarate inagibili per via dell’umidità. Nell’isolamento, questo sì, totale e assoluto, c’è rimasto l’intero edificio.
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