La
cronaca delle iniziative nelle varie carceri
Bari
(Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno,
8 settembre 2002)
Da
domani, i detenuti della terza sezione della casa circondariale daranno vita a
una manifestazione di protesta pacifica che prevede il rifiuto del vitto
distribuito dall’Amministrazione penitenziaria, e lo sciopero, per alcuni
giorni, dei lavoranti (i detenuti che lavorano per conto della stessa
amministrazione). Inoltre, sono allo studio altre forme di protesta.
Queste attività di protesta avrebbero la finalità di sollecitare la
"riapertura del dibattito sulle questioni della giustizia e del carcere
finché non saranno date risposte alle nostre richieste". In un comunicato
diffuso ieri, i detenuti sottolineano che le proposte su amnistia e indulto
recentemente avanzate da alcuni esponenti politici di tutti gli schieramenti si
sarebbero poi arenate in un nulla di fatto.
I detenuti pongono come punti di discussione queste richieste: un indulto
generalizzato di tre anni; il passaggio della sanità penitenziaria al servizio
sanitario nazionale; la riforma del codice penale, che comprenda l’abolizione
dell’ergastolo e della depenalizzazione dei reati minori; l’abolizione delle
prescrizioni dell’articolo 4 bis; l’abolizione dell’anticostituzionale
articolo 41 bis; l’aumento della liberazione anticipata a 60 giorni, per
semestre; un aumento delle concessioni delle misure alternative al carcere;
espulsione dei detenuti stranieri che ne facciano richiesta.
Uno dei problemi maggiori, come sottolineato nel documento diffuso dai detenuti,
è il sovraffollamento, definito "senza precedenti nella storia della
Repubblica".
Bari:
Carcere, digiuno e rumore
(Fonte:
Gazzetta del Mezzogiorno, 10 settembre 2002)
Protesta
a colpi di gavetta. Detenuti sul piede di guerra ieri nella casa circondariale
di Bari. Puntuali come un orologio a cucù, al rintocco delle 8 hanno messo a
rumore l’intero circondario, percuotendo le sbarre che chiudono le finestre
delle loro celle con le scodelle per il rancio.
Una manifestazione pacifica che ha dato la sveglia ad un quartiere ancora
intorpidito e sonnecchiante.
Il clamore è durato poco meno di un’ora, quando la sua ossessionante
ripetitività ha finito per confondersi con i rumori di fondo di una città che
era tornata alla sua frenesia quotidiana.
Quando quel clamore martellante e metallico, tre ore dopo, era oramai
dimenticato, i carcerati hanno ripreso a battere, urlare a sventolare magliette
e mutande. La gente si è affacciata dai balconi, è uscita dai negozi, per
guardare e sentire meglio.
I passanti, incuriositi, hanno rivolto lo sguardo alle grandi finestre del
penitenziario, chiuse dalle grate a maglia larga. Dal vuoto dietro le sbarre
sono sbucate braccia e mani, come tentacoli, insieme ai riflessi del sole sulle
gavette. In una calda e assolata mattinata di settembre, quel palazzaccio si è
animato della eco di voci che rimbombavano sotto le volte delle celle,
rimbalzando all’esterno.
Tra gli obiettivi della protesta, insieme alla volontà di riaprire il dibattito
sulle questioni della giustizia e del carcere, c’è anche la speranza di
risvegliare le coscienze, ricordare agli uomini «liberi» che dietro quelle
sbarre ci sono delle persone e non solo dei rumori.
Le ragioni dello sciopero sono contenute in una lettera che i detenuti hanno
consegnato nelle mani del direttore della casa circondariale e inviato al
Ministero della Giustizia e al Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria.
Rivendicano: «La riforma del codice penale, a partire dall’abolizione
dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori. Un indulto
generalizzato di tre anni. L’aumento della liberazione anticipata a sessanta
giorni per semestre. L’abolizione dell’articolo 41bis e dell’articolo 4bis
dell’Ordinamento penitenziario. Invochiamo inoltre un aumento delle
concessioni delle misure alternative al carcere e una detenzione, il passaggio
della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale. Infine
l’espulsione dei detenuti stranieri che ne facciano richiesta».
L’articolo 4bis, norma introdotta nel 1991, rende più difficile l’accesso
ai benefici ed alle misure alternative alla detenzione, previsti dalla legge
penitenziaria per chi è condannato per reati gravi e lo impedisce a chi è
condannato per reati associativi.
L’articolo 41bis, invece, il cosiddetto carcere duro, è stato introdotto nel
1992 per contrastare la criminalità mafiosa. Prevede la detenzione in istituti
o sezioni separate dalla carceri ordinarie e tutta una serie di restrizioni
aggiuntive rispetto alla detenzione ordinaria. È stato prorogato per due volte,
fino al 2003.
Lo stato di agitazione in realtà è cominciata venerdì scorso. A prendere
l’iniziativa sono stati i detenuti rinchiusi nella prima sezione che hanno
rifiutato di ritirare il vitto servito dall’amministrazione della casa
circondariale, consumando solo i cibi portati dai familiari. Ieri si sono uniti
i carcerati della seconda e della terza sezione. Tutti insieme hanno battuto le
scodelle sulle sbarre, hanno rifiutato nuovamente il vitto, si sono infine
astenuti dalle attività lavorative. Continueranno a comportarsi nella stessa
maniera fino a quando non succederà qualche cosa.
«La nostra intenzione - scrivono nel loro comunicato - è di andare avanti fino
a quando non ci saranno date risposte chiare. Il sole di mezza estate sembra
aver fatto purtroppo evaporare anche l’iniziale dibattito sulle diverse e
coraggiose proposte di amnistia e indulto avanzate recentemente da autorevoli
esponenti politici sia della maggioranza che di Rifondazione Comunista. Ci
auguriamo che non sia così. C’è urgente bisogno di affrontare i tanti
problemi del sistema penitenziario. In primo luogo - proseguono i detenuti - i
drammi prodotti quotidianamente da un sovraffollamento senza precedenti nella
storia della nostra Repubblica. Lottiamo per difendere i nostri diritti e la
nostra dignità».
Le celle scoppiano, è un dato di fatto. La casa circondariale di Bari ospita in
questo momento 500 persone, ne potrebbe contenere appena 250. Una situazione
quasi insopportabile che crea inevitabilmente problemi di congestione anche per
i servizi, dall’assistenza sanitaria ai trattamenti rieducativi che dovrebbero
avviare il carcerato ad un reinserimento nella vita sociale e lavorativa. «Costruire
nuove carceri non serve. La principale finalità costituzionale della pena (e
quindi il più efficace utilizzo delle risorse) è la risocializzazione dei
detenuti. Non ci stancheremo mai di cercare un dialogo con la società esterna e
con la classe politica. A tutti vogliamo ricordare - concludono - che esiste un
nesso profondo tra l’aumento del degrado sociale e culturale e la diffusione
dell’illegalità». La protesta andrà avanti. Da oggi ai detenuti di Bari si
uniscono anche quelli del carcere di Turi.
Brescia
(Fonte: Brescia Oggi, 8 settembre 2002)
Sarà
anche un’occasione per evidenziare la situazione di sovraffollamento degli
istituti penitenziari cittadini. La protesta nelle carceri mobilita la Sinistra.
Solidarietà dei militanti di Rifondazione per la manifestazione del 9 settembre.
"Le
ragioni della protesta dei detenuti non hanno bisogno di particolari
specificazioni: basta vedere le condizioni di vita nelle carceri, ad esempio a
Canton Mombello, in termini di sovraffollamento, di condizioni igieniche e
sanitarie, di sotto organico della Polizia Penitenziaria, di assenza di
assistenti sociali, di mediatori linguistico - culturali, per rendersi conto dei
tanti e drammatici problemi dell’universo penitenziario". Spiega così
Mirko Lombardi, segretario provinciale di Rifondazione Comunista, la scelta del
suo partito di aderire all’iniziativa per la sensibilizzazione della
popolazione sulla difficile situazione nei penitenziari. Una giornata di
contestazione, organizzata da associazioni di cittadini detenuti, prevista per
lunedì 9 settembre. Una protesta "estrema ma pacifica" che, tramite
molte iniziative, rivendica l’attenzione generale su alcune proposte, come
quelle di amnistia e indulto per i reati minori presentate da esponenti politici
dell’opposizione e da membri della maggioranza, che cerchino di alleviare gli
attuali problemi. E che Rifondazione Comunista appoggerà recandosi nei carceri
bresciani per esprimere solidarietà ai detenuti.
La difesa dei diritti dei cittadini che stanno regolando il conto con la
giustizia è il motivo di quest’adesione: per Mirko Lombardi "le attuali
condizioni fanno sì che l’obiettivo rieducativo affidato all’istituto del
carcere sia, per carenze legislative, amministrative e finanziarie,
irraggiungibile e lasci spazio solo alla funzione repressiva. Allo stato attuale
delle cose il reinserimento del detenuto nella società è un obiettivo quasi
irraggiungibile".
La situazione carceraria bresciana è grave, le strutture ospitano oltre il
doppio delle persone che sono in grado di contenere, e la situazione è
aggravata dai notevoli tagli alla sanità penitenziaria effettuati nell’ultimo
anno.
"Vi è la necessità - sostiene Beppe Almansi, uno dei militanti che
lunedì si recherà in visita - di costruire un nuovo carcere per sostituire l’attuale,
inadatto senza le necessarie condizioni igieniche e sanitarie, o quantomeno di
ristrutturarlo per renderlo più adatto al suo scopo, e di fornire gli strumenti
necessari a coloro, come il personale sanitario, gli assistenti sociali e
culturali, che nelle carceri lavorano".
Bergamo
(Fonte: L’eco di Bergamo, 8 settembre 2002)
Sono
450, oltre il cinquanta per cento in più della capienza massima della casa
circondariale di Via Gleno: anche loro, da domani, si uniranno alla protesta che
verrà organizzata in oltre 50 carceri d’Italia. Si comincia lunedì, per
sette giorni, con una forma singolare di "girotondo" che è stato
organizzato dall’associazione culturale "Papillon" del carcere di
Rebibbia e da qui, con un tam tam tra i detenuti (i ciclostilati dell’iniziativa
sono "passati" attraverso le carceri d’Italia) si è estesa a tutto
il territorio nazionale: la protesta, a Bergamo, come altrove, è articolata in
diverse forme.
Si comincia con il "girotondo dei carrelli", cioè il rifiuto del
vitto passato nelle celle, facendo ciclicamente lo sciopero della fame per tre
giorni consecutivi, con la "battitura" delle inferriate, ogni giorno
dalle 12 alle 12,15 e dalle 15 alle 15,15 e con l’astensione dalle prestazioni
di lavoro, a turno, per tre giorni consecutivi, per i detenuti con un impiego. A
Bergamo, spiega il direttore del carcere Antonino Porcino, l’adesione alla
protesta "comunque pacifica e che non vuole segnare alcun disagio nei
confronti dell’amministrazione locale né verso le guardie carcerarie, sarà
totale. Non riguarda, quindi, soltanto i quaranta detenuti attualmente reclusi
nella sezione ad alta sicurezza del carcere, ma coinvolge tutti i presenti. Che
è vero, sono in sovrannumero. Ho parlato con i detenuti: mi hanno assicurato
che la protesta non arrecherà comunque alcun problema di ordine e di
sicurezza". L’adesione alla protesta nazionale è stata comunicata con
una lettera dagli stessi detenuti della sezione ad alta sicurezza del carcere di
Via Gleno (nessuno, comunque, a Bergamo è detenuto in regime di 41 bis, cioè
in regime di carcere duro previsto per quanti ritenuti colpevoli di reati di
mafia), inviata agli organi di stampa. Perché la protesta? Il volantino dell’associazione
culturale "Papillon - Rebibbia Onlus" parla di gravi problemi della
giustizia italiana lasciati irrisolti: "Il sole di mezza estate sembra aver
fatto evaporare anche l’iniziale dibattito sulle diverse e coraggiose proposte
di amnistia e indulto avanzate recentemente da autorevoli esponenti politici.
Noi ci auguriamo che non sia così, ma intanto siamo costretti a rilevare che
altri esponenti delle forze di governo e dell’opposizione si sono affrettati a
liquidare qualsiasi seria riflessione sugli strumenti concreti con i quali
affrontare nell’immediato i tanti problemi del sistema penitenziario, e in
primo luogo i drammi prodotti quotidianamente da un sovraffollamento senza
precedenti nella storia della Repubblica".
Cosa chiedono, con la protesta, i detenuti? "Un indulto generalizzato di
tre anni, si spiega nel volantino dell’associazione. Il passaggio della
sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, la riforma del codice
penale, a partire dall’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori, l’abolizione
dell’articolo 41 bis, l’aumento della liberazione anticipata a quattro mesi,
un aumento delle concessioni delle misure alternative al carcere, l’espulsione
dei detenuti stranieri che ne facciano richiesta. Di tutto questo - dicono gli
organizzatori della protesta - vogliamo discutere con i detenuti, con la
società civile e con tutte le forze politiche". I Verdi, intanto,
annunciano che lunedì loro delegazioni si recheranno nelle carceri dove si
svolge lo sciopero. "Estendiamo l’invito a tutti gli altri
parlamentari", ha dichiarato ieri il vicepresidente della commissione
giustizia alla Camera, Paolo Cento.
Napoli
(Fonte: Il Mattino, 8 settembre 2002)
Una
"manifestazione di protesta pacifica" è stata annunciata, in un
comunicato, dai detenuti della terza sezione del carcere di Bari. La protesta,
che inizierà domani, consisterà nel rifiuto "del vitto
amministrativo" e nello "sciopero dei lavoranti". L’iniziativa,
si legge nel comunicato, è finalizzata a "riaprire il dibattito sulle
questioni della giustizia e del carcere". I detenuti hanno avanzato una
serie di richieste. In sintesi: un indulto generalizzato di tre anni; il
passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale; la
riforma del codice penale (abolizione dell’ergastolo, depenalizzazione dei
reati minori); l’abolizione dell’articolo 41 bis sul carcere duro; l’aumento
della liberazione anticipata a 60 giorni per semestre e l’aumento delle
concessioni delle misure alternative al carcere. Altro problema sollevato dai
detenuti è quello del sovraffollamento delle carceri.
Roma
(Fonte: La Stampa, 8 settembre
2002)
Il carcere entra in ebollizione. Comincia domani, infatti, a Rebibbia, ma anche
in altri cinquanta penitenziari di tutta Italia, il "girotondo dei
carrelli", ossia uno sciopero del vitto e del lavoro da parte dei detenuti,
per denunciare il sovraffollamento delle celle e l’indifferenza della politica
ai problemi carcerari. Sabato, poi, in coincidenza con la manifestazione
nazionale dei Girotondi, quelli veri, un corteo di Disubbidienti e centri
sociali partirà dal carcere di Regina Coeli per arrivare in piazza del Popolo e
sottolineare la comunanza delle due proteste.
La settimana d’agitazione dei carcerati nasce a Rebibbia dal collettivo
politico "Papillon". In sostanza, i detenuti sciopereranno per una
settimana rinunciando al "carrello", ovvero al vitto comune, facendo
ciclicamente lo sciopero della fame per tre giorni consecutivi, ma anche
battendo le inferriate ogni giorno (tra le 12 e le 12.15; e tra le 15 e le
15.15). I detenuti lavoratori si asterranno dalle prestazioni a turno per tre
giorni consecutivi. I responsabili di "Papillon" garantiscono che le
manifestazioni saranno "pacifiche e non violente". Ma è innegabile
che c’è tensione. I direttori delle carceri italiane sono tutti in
preallarme. I sindacalisti della polizia penitenziaria sono assai preoccupati. E
parlamentari di ogni partito hanno promesso di essere presenti a turno nelle
carceri per l’intera settimana. Domani è annunciata una visita a Rebibbia
dell’assessore comunale Luigi Nieri. Ieri è stata invece la volta di Paolo
Cento, deputato dei Verdi. "Lo sciopero dei detenuti - ha spiegato Cento,
uscendo - è un modo intelligente per sollevare il problema giustizia anche da
un altro punto di vista, da quello di chi non ha garanzie e vive la condizione
del carcere. La decisione del consiglio dei ministri di far costruire due nuove
carceri in leasing non è risolutiva del problema. Rischia anzi di aggravare una
situazione già al collasso. Le carceri, già piene, continueranno a riempirsi.
E poi questa privatizzazione strisciante non mi convince affatto".
Impressionanti i dati della popolazione carceraria: 56 mila detenuti,
sieropositivi al 30%, tossicodipendenti al 25%, immigrati al 56%.
"Rebibbia, che è una delle strutture più moderne, è vicina al collasso.
Ospita 1.500 persone; il doppio della capienza prevista".
Cagliari
(Fonte: La
Nuova Sardegna, 8 settembre 2002)
A Ferragosto il Guardasigilli Castelli aveva detto che le carceri non sono hotel
e che i detenuti non devono pretendere nulla. Ma la realtà è molto diversa e
si diffonde la protesta sul sovraffollamento, anche a Buoncammino, dove si
registra una delle situazioni peggiori d’Italia: le celle scoppiano, il limite
di tollerabilità (200 detenuti) è stato superato e oggi si tocca quota 400,
mentre chi sconta la pena è costretto a vivere una situazione di malessere che
potrebbe sfociare in protesta aperta.
Uno sciopero. Il via è fissato per lunedì, in coincidenza con la protesta
analoga che coinvolgerà le carceri italiane, dove oltre 50 mila detenuti
protesteranno per chiedere misure per rendere migliore la vita nelle carceri.
A Rebibbia, dove è partita la protesta, i detenuti per sei giorni rifiuteranno
il cibo e si asterranno dai lavori interni, mentre a Napoli si inizierà con la
battitura delle scodelle contro le sbarre, poi con l’esposizione di striscioni
e magliette all’esterno delle celle. E a Buoncammino? Anche se è presto per
dire come si comporteranno i detenuti, di certo la protesta sarà
"pacifica", senza quelle tensioni che potrebbero degenerare facilmente
in allarme.
Ma che l’amministrazione carceraria sia preoccupata lo dimostra l’invio, nei
giorni scorsi, di ispettori e la convocazione di vertici interni a porte chiuse
per fare il punto sulla situazione. Anche perché dalle voci che da tempo si
rincorrono dentro Buoncammino vedono gli agenti di polizia penitenziaria
protagonisti anche loro di una emergenza che è arrivata sul tavolo del
ministero di Grazia e giustizia. All’impennata senza precedenti della
popolazione penitenziaria (qualcuno dice che si sta tornando agli anni dell’Anonima
o ai famigerati anni di piombo) non ha fatto riscontro un’uguale attenzione
per le esigenze e i bisogni di chi quotidianamente lavora nel carcere: ovvio, l’amministrazione
è stata capace di far fronte al continuo aumento dei detenuti con i soliti
organici, chiaramente sottodimensionati rispetto alle esigenze.
Buoncammino, è sempre la porta dell’inferno: passano i tempi, cambiano gli
uomini ma la situazione è la stessa. I detenuti - come dimostrato anche dalle
lettere che nei giorni di Ferragosto sono uscite dal carcere - sono costretti a
vivere dietro le sbarre una situazione penosa: pochi spazi dove poter lavorare,
programmi di riabilitazione assenti o quasi, scarse possibilità di fare
qualcosa di diverso che ore e ore dietro le sbarre. Per non parlare delle
condizioni igienico sanitarie, non proprio eccellenti (nonostante le recenti
migliorie al centro medico).
Ecco il perché della protesta e dello sciopero anti - affollamento previsto per
i prossimi giorni. Occorrerebbe scongiurare che i possibili sviluppi negativi di
una situazione difficile, diventino un domani non tanto lontano ingovernabili.
Anche perché il sovraffollamento e la mancata attuazione della legge di riforma
rischiano di rendere vani i passi in avanti fatti negli ultimi tempi.
Melfi
(Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno, 8
settembre 2002)
Protestano
i detenuti della Casa Circondariale di Melfi. Cominceranno il 9 settembre col
rifiuto del vitto dell’amministrazione per tre giorni, prima di passare -
dicono - ad altre forme di lotta. In una nota, si sostiene la necessità di
rivedere il sistema penitenziario per eliminare i drammi prodotti
quotidianamente "da un sovraffollamento senza precedenti nella storia della
Repubblica". L’opinione pubblica, viene precisato, deve conoscere la
realtà: le carceri italiane non sono "dei villaggi turistici" come
qualcuno afferma in questi giorni.
Quali
le richieste dei detenuti nella casa circondariale di Melfi?
Un indulto generalizzato di tre anni; la riforma del codice penale con l’abrogazione
dell’ergastolo e la depenalizzazione dei reati minori; l’aumento della
liberazione anticipata a quattro mesi; un aumento della concessione delle misure
alternative al carcere; l’abolizione del 4 bis, nato in seguito alle esigenze
emergenziali e , successivamente, fatto a pezzi da ben oltre 5 sentenze della
Corte Costituzionale; corsi di formazione per il personale della Polizia
Penitenziaria, che tenga conto innanzi tutto del pieno rispetto dei diritti dell’individuo;
il superamento degli ostacoli burocratici per l’adeguamento della sala
colloqui e la costruzione della sala-attesa per i familiari; l’applicazione
totale del nuovo ordinamento penitenziario. I detenuti ringraziano tutti coloro
che daranno la loro solidarietà e invitano tutte le forze politiche, sociali e
le Istituzioni per un confronto serio, costruttivo e a visitare il loro
istituto. I detenuti aderiscono e sostengono la lotta di tutte le carceri,
affinché il Parlamento discuta le loro richieste.
Nuoro
(Fonte: La Nuova Sardegna, 8 settembre 2002)
Sciopero di una parte dei detenuti di Badu 'e Carros da domani e per tre giorni.
I reclusi aderiscono all’invito dell’associazione culturale Papillon,
chiedono la sospensione del 41 bis, l’abolizione dell’ergastolo e il
riallineamento delle pene. Inoltre sollecitano l’attuazione delle leggi che
garantiscono il lavoro esterno, la semilibertà e le forme che facilitano il
reinserimento del detenuto nella società. In merito a Badu 'e Carros,
sollecitano l’assegnazione di un direttore fisso, perché detenuti e agenti
abbiano una certa figura di riferimento.
Firenze
(Fonte: La Nazione, 8 settembre 2002)
Abolizione
dell’ergastolo e del regime carcerario "duro" previsto dall’
articolo 41 bis, indulto generalizzato di tre anni e depenalizzazione dei reati
minori. È quanto chiedono, in un documento diffuso dal partito radicale, i
detenuti di Sollicciano che annunciano, a partire da domani, una settimana di
protesta. Tutti i detenuti che svolgono attività lavorativa si asterranno dal
lavoro e ogni giorno - alle 9, alle 16 e alle 21 - per protestare "in
maniera simbolica" anche contro il sovraffollamento del carcere fiorentino
(1000 detenuti per 400 posti) verrà effettuata una "battitura dei
cancelli" e delle sbarre.
Verona:
Massiccia adesione da parte dei detenuti di Montorio all’iniziativa nazionale
organizzata dall’associazione Papillon di Rebibbia.
L’Arena
di Verona, 10 settembre 2002
Cominciata
la manifestazione pacifica dei reclusi per ottenere risposte in tema di misure
alternative alla detenzione, di occupazione, indulto e buona condotta. A
Montorio è iniziata la protesta pacifica dei detenuti per sensibilizzare il
mondo politico e le istituzioni ai problemi di chi vive in carcere e per
sollecitare l’attuazione di una serie di riforme del sistema giudiziario e
carcerario. La protesta consiste nel rifiutare i pasti forniti ai reclusi
dall’amministrazione penitenziaria. Detenuti e detenute di Montorio hanno
deciso di dare la loro adesione alle iniziative di protesta organizzate
dall’Associazione Papillon di Rebibbia, che ha sede a Roma, «per sottolineare
la situazione di totale emergenza del sistema penitenziario italiano» come si
legge in una nota diffusa dagli stessi detenuti di Montorio, in cui si
sottolinea che ormai si è raggiunto il massimo storico di presenze nelle
carceri, con oltre 59.000 detenuti. Nel caso specifico di Montorio, prosegue la
nota, la situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che da oltre due anni
il carcere è privo di un direttore titolare, «il che impedisce una regolare
programmazione di iniziative e toglie un necessario punto di riferimento per la
popolazione detenuta».
Aderendo alle richieste avanzate dall’Associazione Papillon, anche i detenuti
di Montorio chiedono, in particolare, un allargamento delle misure alternative
alla detenzione, l’aumento del beneficio della liberazione anticipata (buona
condotta) a quattro mesi per ogni anno di detenzione, l’espulsione dei
detenuti stranieri che ne facciano richiesta e la concessione dell’indulto
generalizzato, destinato a sfoltire gli istituti di pena, ormai invivibili,
contribuendo così a ridurre le tensioni dovute proprio al sovraffollamento.
I detenuti e le detenute di Montorio, prosegue la nota, attraverso
manifestazioni composte e civili intendono allargare la loro protesta per
ottenere maggiore attenzione da parte delle istituzioni in merito al problema
del lavoro per i detenuti, sia per quelli ristretti all’interno del carcere
sia per coloro che, grazie a misure alternative alla detenzione oppure in virtù
della completa espiazione della pena, cercano un’occupazione all’esterno.
Si tratta di una questione di fondamentale importanza, perché solo il lavoro
fornisce un’opportunità di concreto riscatto per chi si trova in carcere e
per chi ne è appena uscito. «Gli imprenditori del Nord Est tante volte si sono
lamentati di non riuscire a reperire manodopera per le loro fabbriche: noi qui
di mani libere ne abbiamo invece tante, pronte a tutti i lavori» avevano detto
i detenuti nel convengo svoltosi a Montorio ai primi di luglio.
L’appello che arriva dalla casa circondariale sull’importanza di trovare
un’occupazione a chi si trova ancora in carcere e a chi ne è oramai uscito
chiama in causa tutte le parti sociali: «Occorre che le autorità politiche
locali, le associazioni di volontariato, le organizzazioni sindacali dei datori
di lavoro e dei lavoratori, confermando quell’interesse nei confronti dei
detenuti già manifestato in occasione di un convegno organizzato all’interno
del carcere veronese il tre luglio scorso, sappiano mantenere vivo questo loro
interessamento e manifestino concretamente la loro volontà di avviare a
soluzione in qualche modo questo gravoso problema, profondamente sentito da
tutti, detenuti ed ex detenuti». (e.c.) Se sul fronte dei detenuti (ma anche di
quello degli ex carcerati) i problemi irrisolti sono ancora molti, la situazione
di chi è chiamato istituzionalmente a lavorare all’interno del carcere è
altrettanto problematica. Lo fa presente la segreteria provinciale locale del
Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, nella figura del suo
segretario, Mariano Sacco: «Nell’istituto di pena veronese si è venuta a
creare una gravissima situazione lavorativa. Negli ultimi anni il numero dei
detenuti è aumentato di circa duecento unità. Ci sono grosse difficoltà di
gestione: i corpi delle sezioni che prima ospitavano tra i 45 e i 50 detenuti
ora ne ospitano dai 65 ai 70, quasi tutti cittadini extracomunitari». I disagi
per il personale in servizio, che è al di sotto di un centinaio di unità
rispetto all’organico previsto, sono non trascurabili: «Agenti costretti a
ricoprire più posti di servizio- prosegue il segretario provinciale del Sappe -
impegnati ad effettuare già di sé turni pesanti senza poter usufruire del
necessario riposo psico-fisico, con conseguente ricaduta negativa sotto il
profilo della sicurezza.
A
tutto questo vanno aggiunte le difficoltà che affronta quotidianamente il
locale nucleo traduzioni per organizzare scorte spesso sotto organico». Non va
dimenticato, sottolinea Sacco, «che il carcere di Montorio va avanti grazie
alla buona volontà e alla disponibilità di ogni singolo agente. Ciò però non
deve far dimenticare a chi di dovere che è necessario un intervento immediato e
tangibile con l’assegnazione di ulteriore personale, come era stato promesso a
luglio dopo l’iniziativa di alcuni parlamentari veronesi che avevano
presentato un’interrogazione al ministero di Grazia e Giustizia circa la
difficile situazione della polizia penitenziaria a Verona.
La carenza di organico nella casa circondariale di Montorio è stata più volte
denunciata dalle organizzazioni sindacali ma finora di risposte concrete ne sono
arrivate poche. C’è stata la sostituzione di personale andato in congedo ma
non sono arrivati quei rinforzi consistenti che avrebbero permesso di cambiare
sul serio la situazione della polizia penitenziaria in servizio a Verona».
Foggia:
Proteste in carcere
Gazzetta
del Mezzogiorno, 10 settembre 2002
Anche
i detenuti della casa circondariale di Foggia, che attualmente ne ospita 526,
hanno aderito alla protesta nazionale attuata in tutte le carceri italiane per
sensibilizzare il potere politico e ottenere alcune riforme, come quella
dell’abolizione dell’articoli 41/bis dell’ordinamento penitenziario e cioè
il cosiddetto «carcere duro». La protesta dei detenuti foggiani si è
concretizzata nel non aver ritirato ieri mattina il latte e caffè passato
dall’amministrazione penitenziaria: 471 dei 526 detenuti della casa
circondariale di Foggia hanno aderito alla protesta che proseguirà anche nei
prossimi giorni; le detenute della sezione femminile e i colleghi rinchiusi nel
cosiddetto reparto «transito» hanno invece regolarmente ritirato la colazione.
I detenuti delle varie sezioni del carcere foggiano (peraltro non attrezzato per
il regime «41 bis») hanno anche sottoscritto comunicati stampa trasmessi agli
organi d’informazione dalla direzione della casa circondariale. Comunicato che
ricalcano quelli diramati nelle altre carceri d’Italia. «Speriamo che le
sensibilità presenti nella società civile e un po’ in tutti i partiti
politici riescano a non far cadere l’attenzione sulla drammaticità delle
carcere e sulle inevitabili e pacifiche proteste che i detenuti sono costretti
ad effettuare per difendere i propri diritti e la propria dignità», si legge
tra l’altro nella nota.
Cosa chiedono? Indulto generalizzato di 3 anni; il passaggio della sanità
penitenziaria al servizio sanitario nazionale; l’abolizione dell’ergastolo;
l’abolizione dell’anticostituzionale articolo 41/bis sul carcere duro;
l’aumento della liberazione anticipata a 4 mesi (attualmente per ogni anno di
carcere si beneficia di tre mesi di sconto); concessione delle misure
alternative al carcere; espulsione dei detenuti stranieri che lo chiedano.
Al momento i detenuti protestano rifiutando il vitto dell’amministrazione
penitenziaria (gran parte peraltro lo fa di regola, preferendo cucinare in cella
gli alimenti ricevuti dai familiari o acquistati). «Nel caso non ci sarà
riscontro dagli organi competenti e dai politici» si legge nel comunicato «inizieremo
una protesta più clamorosa, col rifiuto di acquistare generi alimentari dal
sopravvitto; rifiuto dei colloqui con familiari; revoca dei propri legali di
fiducia; astensione dal lavoro in carcere. Ci auguriamo» si legge nel
comunicato firmato dai detenuti foggiani, tra cui quelli cosiddetti ad «AS»
(alta sorveglianza) «di non dover arrivare a questo punto».
Brescia:
Carcere, è iniziata la protesta. Lombardi (PRC) a Canton Mombello: «Condizioni
inaccettabili»
Bresciaoggi,
10 settembre 2002
Anche
i detenuti di Brescia hanno iniziato ieri la protesta che li accomuna ai
detenuti di altri 46 istituti di pena italiani. Dalle 12 alle 13 i 450 detenuti
di Canton Mombello hanno picchiato sulle sbarre delle celle, hanno rifiutato il
vitto fornito dall’amministrazione carceraria e si sono astenuti dal lavoro. I
detenuti chiedono soprattutto l’indulto generalizzato di tre anni. Ieri, in
concomitanza con l’avvio della protesta, il consigliere regionale di
Rifondazione comunista Mirko Lombardi e Beppe Almansi (PRC) hanno effettuato la
loro decima ispezione nel carcere cittadino. Lombardi e Almansi hanno portato la
loro solidarietà ai detenuti. «È una lotta giusta - commenta Lombardi - che
propone un’idea di giustizia che recupera i valori di rispetto della persona.
Il carcere deve essere un luogo di recupero e noi critichiamo il Governo che
punta alla privatizzazione anche degli istituti di pena, trasformando le
prigioni in un business».
L’ispezione ha messo a nudo una realtà esplosiva. «La situazione -
proseguono Lombardi e Almansi - è immutata, rispetto alla visita precedente. I
detenuti (450 in totale) continuano a essere il doppio rispetto a quelli
previsti. Mancano almeno 50 agenti e ci sono solo due educatori, quando la legge
ne prevede per Brescia almeno otto. La situazione è pesante per i
tossicodipendenti (il 30 per cento della popolazione carceraria) e dei
sieropositivi (36) che non possono essere seguiti nel modo più idoneo».
Insufficienti come sempre le condizioni igienico - sanitarie: «In una cella di
10 metri quadrati ci sono 8 detenuti - spiega Almansi -, le docce sono 18 per i
450 ospiti e per potersi lavare bisogna prenotarsi e aspettare mezz’ora».
«Canton Mombello non è più accettabile - conclude Lombardi - è un insulto al
livello di civiltà di questa città. Riproponiamo l’idea che si faccia un
nuovo carcere a Brescia, ma che lo si realizzi dentro la città, perché la
realtà del carcere non va accantonata e dimenticata, non va posta altrove.
Anche perché è sufficiente entrare una sola volta per rendersi conto che in
carcere ci finiscono solo i poveracci».
Padova:
Protestano i detenuti al Due Palazzi. La visita di Zanella (Verdi)
Il Mattino di Padova, 10 settembre 2002
Ieri mattina la parlamentare dei Verdi, Luana Zanella, ha visitato il carcere
penale del Due Palazzi. La visita rientra nell’iniziativa di alcuni deputati
verdi per «monitorare» la protesta partita proprio ieri nelle carcere di
tutt’Italia: i detenuti infatti denunciano il sovraffollamento degli istituti
di pena, chiedono l’indulto e puntano il dito contro i tagli economici e di
personali che sono previsti per la scuola del carcere.
«A Padova c’era una protesta in atto quando sono entrata, dopo mezzogiorno»,
dice Luana Zanella, «i detenuti per un’ora hanno battuto le scodelle contro
le sbarre, molti di loro hanno rifiutato il cibo. La protesta è comunque stata
pacifica. Nel corso della visita ho prima parlato con il direttore del carcere,
poi con alcuni detenuti che hanno ribadito le loro richieste». E i detenuti,
appunto protestano contro il sovraffollamento, chiedono l’indulto
generalizzato e la riforma del codice penale. Ritengono, inoltre, necessario
l’aumento della liberazione anticipata a 4 mesi e il passaggio della sanità
penitenziaria al sistema sanitario nazionale.
«Al Due Palazzi», aggiunge la Zanella, «sono preoccupati anche per il taglio
economico e di organico previsto nella scuola nel carcere; ci sono solo due
educatori per 650 detenuti, e il programma di riabilitazione è difficile da
attuare. Anzi, se non fosse per i volontari, non sarebbe proprio possibile».
Radio Evasione, spazio di Radio Sherwood, segue la vicenda in diretta,
collegandosi con i parlamentari dei Verdi che ogni giorno entrano nelle carceri.
Luana Zanella era ieri in diretta dal Due Palazzi, oggi altri collegamenti.
Enna:
Detenuti protestano a suon di stoviglie.
La
Sicilia, 10 settembre 2002
Hanno
sbattuto le posate, i piatti e altri oggetti metallici contro le sbarre delle
loro celle per tutto il giorno in segno di protesta contro il carcere
sovraffollato e le condizioni igienico sanitarie inaccettabili. Sono 150 i
detenuti della casa circondariale di Enna che ieri hanno aderito alla giornata
di agitazione dall’associazione «Papillon» di Roma che rivendica, tra
l’altro, l’applicazione del nuovo regolamento carcerario approvato oltre un
anno fa e non ancora attuato ed il miglioramento delle condizioni di vita
all’interno degli istituti di pena. Una protesta iniziata ieri mattina di buon
ora e senza disordini.
Ma i detenuti si sono schierati anche contro i decreti di proroga del «41 bis»
e chiedono la reintroduzione della norma sulla «legittima suspicione». Lo
stato di agitazione nel carcere di Enna si è concluso ieri sera ma riprenderà
oggi e fino al 14 settembre. A chiedere l’appoggio dei detenuti è stata
l’associazione «Papillon» attraverso un volantino che ha fatto il giro di
altri 47 istituti di pena italiani.
In particolare, le richieste dei detenuti sono un indulto generalizzato di tre
anni, l’abolizione dell’ergastolo, la depenalizzazione dei reati minori,
l’abolizione dell’art. 41 bis, l’aumento della liberazione anticipata a
quattro mesi e l’incremento delle misure alternative al carcere. In alcuni
istituti, tra cui Rebibbia considerato avamposto dello stato di agitazione, da
oggi i detenuti rifiuteranno anche il cibo del carrello e mangeranno solamente
quello che hanno in cella. Altre forme di protesta, annunciate
dall’associazione «Papillon» e a cui si uniformeranno anche i reclusi del
carcere di Enna, sono lo sciopero dei lavoranti, lo sciopero della fame a turno
di 20/30 persone alla volta per 3/4 giorni, e l’astensione dall’acquisto del
cosiddetto sopravvitto.
«Abbiamo varato questa importante iniziativa pacifica - ha detto il
vicepresidente dell’associazione "Papillon" Vittorio Antonini -
affinché i detenuti si presentino a tutti gli effetti come cittadini liberi da
ogni ipocrita tutela». I promotori chiedono ai partiti politici di ricercare
unitariamente «le migliori soluzioni legislative che riaprano, dopo tanti anni
di sostanziale regressione, la strada delle riforme dell’universo
penitenziario, che di fatto rappresenta il primo e più grave tra i tanti
problemi della giustizia».
Ma il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni
Tinebra, commenta: «Le adesioni allo stato di agitazione non sono state
tantissime e la protesta si è mantenuta nei limiti preannunciati. Non sappiamo,
però, se ci sono elementi dall’esterno che pilotano questa manifestazione.
Ufficialmente, comunque, è organizzata dall’associazione
"Papillon", un movimento spontaneo di detenuti che ha mandato in giro
questo volantino di invito alla protesta per migliorare le condizioni della
realtà carceraria. Staremo a vedere gli sviluppi che avrà la protesta,
sperando che non degeneri».
Fossombrone:
I detenuti partecipano allo "sciopero del carrello"
Il
Messaggero, 10 settembre 2002
La
metà dei 170 detenuti del carcere di Fossombrone ha partecipato ieri allo
"sciopero del carrello", cioè il mancato ritiro del vitto offerto
dall’amministrazione carceraria, per protestare contro il sovraffollamento
nelle carceri e chiedere l’indulto generalizzato di tre anni, l’abolizione
dell’ergastolo, la depenalizzazione dei reati minori, l’abolizione del 41
bis, l’aumento della liberazione anticipata a quattro mesi e l’incremento
delle misure alternative al carcere. Lo sciopero è stato proclamato dai
detenuti di 48 istituti di pena italiani, ma nella Marche, al momento, l’unico
carcere dove è stata segnalata la partecipazione allo sciopero è quello di
Fossombrone. Non si registrano altre forme di protesta (battiture di stoviglie,
astensione dall’ora d’aria) che invece sono state attuate da detenuti in
altre parti d’Itala.
Salerno:
La protesta contro il carcere duro di 50 detenuti
La
città - Quotidiano di Salerno, 10 settembre 2002
Una cinquantina di detenuti del casa circondariale di Fuorni hanno aderito alla
protesta nazionale, scattata in molti istituti di pena italiani, contro il
carcere duro. Ieri i reclusi hanno rinunciato al pasto servito
dall’amministrazione penitenziaria, ufficializzando la loro scelta di seguire
l’esempio che era stato lanciato dai boss della mafia. Tra le rivendicazioni
dei detenuti di Fuorni, che oggi dovrebbero proseguire nel loro sciopero della
fame, anche la concessione di un indulto generalizzato. E la denuncia per le
precarie condizioni in cui i reclusi sono costretti a vivere, una situazione di
disagio raccolta ultimamente da alcuni parlamentari, in visita nelle celle
dell’istituto salernitano dove il sovraffollamento e la fatiscenza dei locali
è storia vecchia. La direzione del carcere ha informato della iniziativa il
ministero, rinforzando i controlli e le misure di prevenzione. Anche se la
protesta si è svolta in modo pacifico.
Cremona:
A Cà del Ferro ancora protesta
La
Provincia di Cremona, 10 settembre 2002
C’è
anche il carcere di Cremona tra quelli (di tutta l’Italia) presso i quali è
scattata ieri una clamorosa protesta dei detenuti. Si tratta dello
"sciopero" del carrello, ovvero del rifiuto del vitto del carcere, ma
anche della battitura di oggetti metallici contro le sbarre delle celle. A Cà
del Ferro la protesta, fragorosa, è scattata di buon mattino ed è durata per
tutta la giornata. Dovrebbe continuare per l’intera settimana. A livello
nazionale queste le richieste: indulto generalizzato di tre anni, abolizione
dell’ergastolo, depenalizzazione dei reati minori, abolizione del 41 bis
(carcere duro), aumento della liberazione anticipata a 4 mesi e incremento delle
misure alternative.
Protesta
nelle carceri: in Sicilia un’adesione a metà
Gazzetta
del Mezzogiorno, 10 settembre 2002
Sono 13 su 26 gli istituti di pena siciliani in cui i detenuti hanno aderito
allo sciopero per protestare contro il sovraffollamento nelle carceri e chiedere
l’indulto generalizzato e la riforma del codice penale. Non hanno aderito fino
adesso gli istituti di pena di Catania. A Palermo ieri mattina i detenuti del
carcere di Pagliarelli hanno rifiutato la colazione (è una delle forme di
protesta adottate quella di rifiutare il vitto dell’ amministrazione), e così
pure hanno fatto a Messina, Siracusa, Termini Imerese, Agrigento ed Enna. In
altri 3 istituti di pena è stata invece adottata la protesta della rinuncia «al
passeggio». I detenuti dell’Ucciardone di Palermo invece, hanno attuato
questa sera, a partire dalle ore 22, la battitura delle inferriate. I detenuti
in sciopero ritengono necessario l’ aumento della liberazione anticipata a 4
mesi e il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale.
In un comunicato dell’Associazione culturale onlus "Papillon-
Rebibbia" si legge che dopo un iniziale dibattito adesso tutto sembra
essersi assopito circa le proposte di amnistia e indulto, mentre le carceri
subiscono un sovraffollamento senza precedenti. In particolare tra le richieste
avanzate, si sollecitano: un indulto generalizzato di tre anni; la riforma del
codice penale, a partire dall’abololizione dell’ergastolo e della
depenalizzazione dei reati minori, dall’abolizione del 41 bis, l’espulsioe
dei detenuti stranieri che ne fanno richiesta; l’abolizione delle prescrizioni
contenute nel 4 bis; un aumento delle concessioni delle misure alternative al
carcere.
Bologna:
Ferri contro le sbarre
Il
Resto del Carlino, 10 settembre 2002
Dodici
orologi, tutti fermi. Ognuno insabbiato su un orario diverso, quello in cui le
lancette si sono mosse per l’ultima volta. E nel carcere della Dozza, subito
dopo il Parco Nord dove adesso sventolano le bandiere della Festa dell’Unità,
in effetti il tempo sembra immobile. Ieri, però, la protesta ha spezzato le
catene della monotona routine a cui sono condannati i 930 detenuti di via del
Gomito. Alle 15 e alle 21.30 è "andata in scena" la battitura dei
ferri: qualsiasi oggetto è stato utilizzato per fare rumore sulle sbarre. Le
settanta donne detenute, invece, hanno rifiutato i pasti per tutta la giornata.
E’ lo sciopero delle carceri lanciato dall’associazione ‘Papillon’,
fondata dai detenuti di Rebibbia, a cui hanno aderito tutte le carceri italiane.
Ieri mattina si sono recati in visita alla Dozza i parlamentari Katia Zanotti (DS),
Titti De Simone (PRC) e Mauro Bulgarelli (Verdi), e il consigliere regionale
Bruno Carlo Sabbi (indipendente di Sinistra), insieme ad Antonio Amorosi dei
Verdi disobbedienti.
Fuori, a presidiare, una ventina di no - global, tra cui Valerio Monteventi,
Luca Casarini e Domenico Mucignat.
«L’iniziativa — spiega la De Simone — è anche un messaggio ai
girotondini: quando si parla di giustizia bisogna parlare anche delle carceri,
dei diritti dietro le sbarre».
«Il carcere di Bologna è stato pensato per 450 detenuti: oggi ne ospita il
doppio — riferisce Bulgarelli — . Così, nelle celle ‘singole’ ci sono
fino a tre persone, e la doccia e l’angolo cucina previsti per legge non si sa
dove farli».
«Sono tutti giovanissimi — racconta Amorosi — la maggior parte di loro va
dai 25 ai 40 anni, il 40% è extracomunitario. Ho contato qui dentro 12 orologi,
tutti fermi. Incredibile, è una cosa che mi ha colpito molto».
Nuoro:
La protesta arriva a Badu ‘e carros
L'Unione
Sarda, 10 settembre 2002
Anche
un gruppo di detenuti di Badu ‘e carros ha aderito all’iniziativa di
protesta nelle carceri di tutta Italia organizzata dall’associazione culturale
Papillon. Per tre giorni nella prigione nuorese i contestatori faranno il
cosiddetto "sciopero del carrello", rifiutando cioè il cibo preparato
nelle cucine della struttura. Accanto alle motivazioni nazionali (amnistia e
indulto generalizzato, sospensione dell’articolo 41 bis, abolizione
dell’ergastolo e conseguente riallineamento delle pene, sovraffollamento degli
istituti di pena da affrontare non solo costruendo nuove prigioni) ,a Nuoro sono
state inserite anche alcune rivendicazioni locali.
In un nota diffusa dal carcere che garantisce sugli «intenti assolutamente
pacifici e dettati dal buon senso» della protesta, si sottolinea tra gli
obiettivi per Badu ‘e carros la necessità di aumentare il numero di operatori
civili e la completa attuazione di quelle norme che favoriscono il lavoro
esterno e la semilibertà. Dopo aver sottolineato le carenze dell’assistenza
sanitaria in carcere, nel documento si chiede la cessazione dei trasferimenti a
centinaia di chilometri di distanza dalle residenze delle nostre famiglie, perché
il modo migliore per preparare individui all’inserimento e lasciare che essi
possano vivere con serenità i rapporti personali».
«In particolare chiediamo per questo istituto - conclude il documento diffuso
da un gruppo di detenuti - l’assegnazione di un direttore fisso (da anni il
posto è vacante) per poter avere un punto di riferimento sia per noi che per
gli agenti di custodia».
Treviso:
A S. Bona i detenuti rifiutano il pasto
La
Tribuna, 10 settembre 2002
Anche
i detenuti della casa circondariale di Santa Bona hanno aderito allo sciopero
che da ieri mattina sta mobilitando la popolazione carceraria di tutti, o quasi,
i penitenziari italiani. La protesta è
relativa al trattamento carcerario in generale, ma riguarda soprattutto il
problema del sovraffollamento, problema annoso anche per il carcere trevigiano.
Ma ci sono altri motivi per cui i detenuti si lamentano: le restrizioni relative
all’articolo 41 bis, la gestione dei permessi, ma anche la convivenza fra
detenuti italiani con gli stranieri, soprattutto gli extracomunitari, che
rifiutano determinate pietanze, secondo usi e religioni dei rispettivi Paesi.
A
Santa Bona, i detenuti hanno deciso di aderire alla protesta rifiutando il pasto
che viene preparato nella casa circondariale, ma anche attraverso il battito
delle sbarre. La protesta sonora, ieri, è stata adottata in due diversi
momenti, a mezzogiorno e alle 17, della durata di un quarto d’ora ciascuno. E
andrà avanti anche oggi e domani. Almeno per ora. I
detenuti italiani, a proposito di quelli extracomunitari, propongono che questi
ultimi, anziché essere incarcerati, vengano rispediti in patria. «Il
sovraffollamento è un problema datato - ha sottolineato Luigi Ghedin,
segretario della F.P.S. Cisl - e certamente la convivenza tra etnie diverse
comporta ulteriori problemi».
Como:
Ieri sciopero del vitto al Bassone. Esposto dei detenuti alle autorità
La
Provincia di Como, 10 settembre 2002
Sciopero
del vitto in quattro sezioni maschili su sei e in metà di quella femminile
mentre un’altra sezione ha scritto un esposto a tutte le autorità
istituzionali. Questa la forma nella quale ieri i detenuti della casa
circondariale comasca del Bassone hanno aderito alla giornata nazionale di lotta
promossa all’interno delle carceri italiane dall’associazione Papillon. Una
pacifica battaglia di civiltà che interroga le coscienze e che si fonda su
obiettivi precisi: «un indulto generalizzato in tre anni, il passaggio della
sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale, la riforma del Codice
penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e della depenalizzazione dei
reati minori, l’abolizione delle prescrizioni contenute nell’articolo 4 bis,
l’abolizione dell’anticostituzionale articolo 41 bis, l’aumento della
liberazione anticipata a quattro mesi, un aumento delle concessioni delle misure
alternative al carcere e l’espulsione dei detenuti stranieri che ne facciano
richiesta». «Abbiamo portato la nostra solidarietà e la disponibilità
concreta alla soluzione dei problemi ai detenuti in lotta per i loro diritti»
hanno commentato ieri, al termine della loro visita al carcere del Bassone, il
consigliere regionale di Rifondazione comunista Ezio Locatelli e il capogruppo
in Consiglio comunale di Rifondazione comunista Renato Tettamanti. I quali hanno
preso atto, favorevolmente, della buona organizzazione del carcere. hanno
aggiunto: «Il sovraffollamento va oltre ogni parametro di tollerabilità: a
Como sono 475 i detenuti sui 175 previsti, con ovvie ripercussioni sui servizi
igienici: 4 docce per 70 detenuti!».
Cosenza:
Sit - in dei "Disobbedienti" per i detenuti in sciopero
Gazzetta
del Mezzogiorno, 10 settembre 2002
Puntuali, alle diciotto, i simpatizzanti del movimento i
"Disobbedienti" si sono ritrovati in via Popilia, davanti alla casa
circondariale, per un sit in pacifico, allargato a tutti i "sinceri
garantisti". Un attestato di vicinanza per i detenuti della casa
circondariale in sciopero. Poco dopo, è arrivato, pure, il sindaco Eva Catizone,
a portare personalmente quella solidarietà che qualche giorno fa aveva
comunicato, congiuntamente all'onorevole Giacomo Mancini jr, attraverso una nota
ufficiale, nella quale veniva esternata anche la volontà di visitare l'istituto
di pena cittadino. Mobilitazione all'esterno, protesta pacifica all'interno, coi
detenuti che hanno aderito all'iniziativa nazionale che hanno scioperato
astenendosi dal vitto. Quelli in semilibertà, invece, hanno rinunciato alla
possibilità di lasciare la casa circondariale. Provano a far sentire le proprie
ragioni, i reclusi che chiedono l'abolizione dell'articolo 41 bis, che loro, i
detenuti vorrebbero abolire perché lo ritengono anticostituzionale. Non amano
il "carcere duro", quello che viene applicato nei confronti di boss e
picciotti e che impone aspre limitazioni alle normali concessioni di cui possono
beneficiare gli ospiti degli istituti di pena. Ma non solo. Al centro della
pacifica protesta anche le condizioni di vita nelle carceri, l'abolizione
dell'ergastolo, la depenalizzazione di alcuni reati. Il messaggio che arriva da
dietro le sbarre è chiaro: i detenuti pretendono riforme.