Il dramma
quotidiano dei detenuti
La Nuova Sardegna, 25 gennaio 2003
Buoncammino: dopo l'ultimo suicidio, parlano i
volontari che assistono i carcerati
"Un carcere che
scoppia, con servizi che funzionano male e una carenza di personale che, di
fatto, limita ogni possibile attività". Dopo il suicidio di un giovane di 25
anni avvenuto, domenica scorsa, tornano ad infiammarsi le polemiche sul carcere
di Buoncammino. Questa volta a parlare sono i volontari dell'Orsac (Opera
redenzione sociale assistenza carcerati) associazione che, sin dagli inizi del
secolo scorso, si occupa dell'assistenza ai detenuti e alle loro famiglie.
"Quando abbiamo saputo della morte di Alessio siamo rimasti sconcertati", spiega
Cecilia Mecucci, presidente dell'associazione. "Qualche mese fa si era rivolto a
noi perché ci occupassimo della pratica per la sua pensione, che peraltro è
ancora in corso. Non ci saremmo mai aspettati un simile epilogo". In fondo, per
i volontari, Alessio era come tutti gli altri: un carattere indomabile certo, ma
questa è una caratteristica comune a quasi tutti i detenuti. L'episodio porta
comunque a riflettere sul disagio di chi sta dietro le sbarre: oltre
quattrocento persone, la maggior parte delle quali tossicodipendenti o con
problemi di natura psichiatrica, stretti stretti in una struttura che, a
dispetto di quanto dice la nostra Costituzione, offre ben poche possibilità di
rieducazione. "Ed è proprio questo il dramma", dice Mecucci, "i detenuti non
sono stimolati a fare nulla, le prospettive di reinserimento una volta fuori,
sono pressoché inesistenti. Così, senza un lavoro, annoiati e scontenti si
deprimono".
E giù a raccontare di quanto si lamentino ogni volta che loro, i volontari, si
recano al penitenziario per un colloquio. "A sentir loro va tutto male -
racconta la signora Cecilia - molti di loro dicono di essere innocenti, cercano
di far ricadere le loro colpe sugli altri e spesso, si tratta di bugie". Un
atteggiamento tipico soprattutto dei più giovani. "Ma è da capire - continuano i
volontari - spesso fanno così perché si sentono poco protetti. Per la maggior
parte di loro infatti, sono nominati degli avvocati che non sempre si prendono
davvero a cuore i casi affidategli. Loro lo sentono e hanno paura".
A un contesto di per sé già difficile, si aggiungono altri problemi, primo tra
tutti la carenza di personale di vigilanza. Un handicap che limita qualsiasi
attività rieducativa. Le lezioni con gli educatori, anche loro insufficienti,
spesso saltano proprio per questo. Stesso discorso anche per la biblioteca:
"Dato che manca il personale che possa accompagnarli o sorvegliarli mentre
stanno lì, i detenuti non ci possono entrare". Per la presidente
dell'associazione, sino a quando il carcere starà in queste condizioni parlare
di recupero sarà assolutamente impossibile: "E pensare che la commissione del
Senato, venuta in visita qualche mese fa, rimase scandalizzata, vedendo le
condizioni di vita là dentro. Tornata a Roma però, non ha mosso un dito".
In questa situazione, l'Orsac cerca di dare ai detenuti tutto l'aiuto morale e
materiale di cui hanno bisogno: sbrigando pratiche, contattando avvocati,
procurando persino i capi di vestiario di cui possano aver bisogno. Un impegno
che si estende anche alle loro famiglie, per le quali tirare avanti con un
familiare dietro le sbarre, spesso diventa impossibile. "Dopo l'ultimo episodio
sono arrabbiatissime. Credono che non sempre ciò che viene detto corrisponda a
verità. Su molte cose vorrebbero vederci chiaro".
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