Mi hanno massacrato di botte

 

«Massacrato in carcere»

 

Il Resto del Carlino, 3 ottobre 2002

 

BOLOGNA - «Una decina di agenti mi sono saltati addosso in cella, massacrandomi di botte. Mi hanno tirato fuori e, trascinandomi per i capelli ormai privo di sensi, mi hanno colpito con calci e pugni lungo le scale e il corridoio. Mi hanno portato nel braccio di isolamento del ramo giudiziario e, dopo avermi strappato i vestiti, mi hanno lasciato nudo e sporco di sangue». Così Vito Cannizzaro, 40 anni, transessuale, detenuto per omicidio, racconta in una denuncia presentata alla procura quello che sarebbe successo nel carcere di Parma il 3 luglio del 2001, alle 15.10 circa.
Cannizzaro, attualmente detenuto al carcere della Dozza, il 17 giugno del 2001 era stato trasferito da Rebibbia nel penitenziario di Parma. E a pochi giorni dal suo arrivo sarebbe avvenuto quel pestaggio.
«Ho subito una lesione al timpano, sento ancora dolori alle ossa e quella vicenda mi ha segnato per sempre», dice. La denuncia, contro ignoti, è stata presentata in base al racconto del detenuto e grazie alla ricostruzione fatta in un promemoria. La vicenda viene seguita dall'avvocato Mario Marcuz e dall'associazione Antigone.
Nei prossimi giorni sarà presentata un'interpellanza in parlamento. Secca la smentita del direttore del carcere di Parma, Silvio Di Gregorio, che anche l'anno scorso era al vertice della struttura penitenziaria: «Non ci risulta in alcun modo che sia avvenuto quanto è stato raccontato dal detenuto, che si assumerà tutte le responsabilità di quello che ha dichiarato. Sono assolutamente tranquillo».
Quella vicenda, secondo il racconto di Cannizzaro, si sarebbe snodata lungo sequenze da incubo. Dopo il primo pestaggio, sarebbe stato picchiato una seconda volta. Il giorno seguente, Cannizzaro sarebbe stato portato all'ospedale. «Mi hanno medicato ad una spalla e curato le altre lesioni — ricorda — poi mi hanno dimesso. Tornato in carcere, ho avuto un collasso cardiaco». Il 6 luglio Cannizzaro viene trasferito nel carcere di Reggio Emilia.
Arriva al carcere Dozza il 20 settembre dello scorso anno. «Ho deciso di raccontare tutto — spiega — per impedire che vicende del genere possano succedere di nuovo».

 Il sindacato respinge le accuse
Il trans rischia la denuncia per calunnia

 

Gazzetta di Parma, 6 ottobre 2002

 

Non si placano le polemiche dopo il caso del detenuto transessuale 40enne, Vito Cannizzaro, che ha denunciato alla Procura di essere stato pestato a sangue nella sua cella di via Burla, il 3 luglio del 2001. All’epoca, Vito Cannizzaro, detenuto per omicidio, era stato trasferito da pochi giorni dal carcere Rebibbia (ora si trova alla Dozza di Bologna). «Sono stato massacrato da dieci agenti: botte che mi hanno causato la lesione del timpano», ha raccontato (ma la denuncia è contro ignoti). Secca la smentita del direttore del carcere, Silvio Di Gregorio («Non è vero niente»), altrettanto precisa è stata la reazione dei sindacati autonomi che hanno minacciato di denunciare il detenuto per calunnia; sicuri che dietro tutto questo «polverone» sollevato dal detenuto «ci possa essere una strumentalizzazione politica» sono invece il vicesegretario regionale dell’Emilia Romagna dell’Osapp (organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Alessandro Tamburello e il coordinatore regionale Carmine Riccio. Polemica la posizione del segretario generale Osapp, Leo Beneduci, che in una nota inviata in redazione ha dichiarato: «Ancora una volta, la polizia penitenziaria e nel caso in argomento quella in servizio presso la casa circondariale di Parma, è posta alla berlina per presunte percosse nei confronti di un detenuto per fatti che, tra l’altro, sarebbero avvenuti da oltre un anno in assoluta assenza di qualsiasi effettiva motivazione.

Ferma restando la situazione particolare della casa circondariale di Parma in cui il personale di polizia da anni, per condizioni oggettive in evidente disagio e soggetto a carichi di lavoro ben al di sopra del consentito, ha sempre dimostrato notevolissimo senso del dovere ed encomiabile spirito di sacrificio nell’interesse delle istituzioni e dell’immagine del corpo stesso  continua  appare come sempre insolito che l’unica voce che abbia "difeso" la polizia penitenziaria in tale circostanza sia stata unicamente quella del direttore dell’Istituto. «Non si è avuta, a quanto risulta  scrive  alcuna reazione né da parte del provveditore regionale né tanto meno da parte degli organi di questa amministrazione centrale da cui il personale gerarchicamente dipende e che, pure nelle more di un definitivo accertamento dei fatti potevano esprimersi in favore di coloro che da sempre si trovano in prima linea nella difesa della norma e degli interessi della collettività».

«Le azioni di difesa del Corpo che l’Osapp adotterà nelle competenti sedi  conclude  non costituiscono surrogato né sostituiscono quanto l’amministrazione stessa è tenuta a fare. Restiamo in attesa di conoscere le iniziative adottate sia da codesta amministrazione centrale sia e se del caso delle autorità politiche e parlamentari cui la presente è anche diretta».

 

Precedente Home Su Successiva