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Detenuto muore in carcere. Potrebbe trattarsi di morte naturale, ma il magistrato ha disposto l’autopsia
L’arena, 26 aprile 2003
Godeva di ottima salute, ma ieri l’hanno trovato privo di vita nel suo letto, in cella, nel carcere di Montorio. E l’improvviso decesso si è subito tinto di giallo, anche perché il magistrato di turno, Beatrice Zanotti, ha disposto l’autopsia per verificare le cause della morte di quel detenuto. Da un primo esame esterno, l’uomo potrebbe essere deceduto per cause naturali. Antonio Barbato, 25 anni, napoletano di origine, doveva scontare una condanna per rapina e sequestro di persona. Invece ha cessato di vivere alle 8.05, all’interno della sua cella. A fare la triste scoperta è stato il personale di polizia penitenziaria, che stava eseguendo l’ispezione del mattino. Il corpo dell’uomo era ancora caldo, a significare che la morte aveva colto il detenuto poco tempo prima della macabra scoperta. E gli altri due detenuti che dividevano la cella con lui, hanno detto alla polizia penitenziaria, che li ha sentiti a verbale, di non essersi accorti di nulla. Ogni mattino, le guardie fanno il giro delle varie sezioni del carcere. Sono loro infatti responsabili dell’incolumità dei detenuti. Ieri mattina, gli altri due hanno risposto all’appello, ma Barbato, non si è mosso dal letto. Per questo le guardie sono entrate in cella, scoprendo il cadavere. Barbato, secondo quanto s’è appreso godeva di ottima salute, ma in passato aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. Quando venne arrestato, nel settembre del 2002, assieme al complice Antonio Abramo, al giudice che ne aveva convalidato l’arresto, i due dissero che avevano deciso di compiere una rapina perché avevano bisogno di denaro per acquistare droga. I due erano penetrati nella gioielleria di Carla Maria Stevanella, in via Unità d’Italia 182, in due momenti successivi, avevano estratto una pistola e l’avevano puntata alla donna e al marito Renzo Fanini. I malviventi, s’erano fatti consegnare gioielli avevano ammanettato i due titolari, quindi avevano tentato di uscire. Ma il negozio è dotato di un sofisticato sistema di allarme con doppia porta blindata. I due erano rimasti intrappolati fino all’arrivo dei carabinieri di San Michele Extra partiti dalla caserma subito dopo l’allarme collegato direttamente a loro. Se il colpo fosse andato in porto, avrebbe fruttato ai due ben 60mila euro. Invece per la coppia s’erano aperte le porte del carcere.
Quando la solitudine diventa killer
La morte, in carcere è spesso in agguato. La solitudine, la depressione spesso giocano tragici scherzi. Ci si impicca, si fanno cocktail di farmaci, si respira il gas dei fornellini. Alle volte si muore incredibilmente di overdose. Il penultimo decesso nell’istituto di pena di Montorio si registrò il 24 dicembre 2001. Si trattò di un marocchino, che decise di farla finita impiccandosi con una corda ricavata da una coperta di lana. A trovare il corpo, un agente, che aveva fatto il possibile per tentare di rianimare il marocchino che tre giorni prima aveva avuto la condanna a sei anni per spaccio di stupefacenti. Nel luglio dello stesso anno, fu la volta di un trentasettenne veronese, detenuto da un anno, ma che era stato condannato a una pena complessiva di quattro anni di carcere. L’uomo si era suicidato infilando la testa in un sacchetto di plastica, aspirando il contenuto di una bomboletta di gas. Andando sempre a ritroso nel tempo si arriva a giugno 2000. Quella volta il suicida era stato condannato a una carcerazione di 24 anni, poiché coinvolto in un omicidio consumato nel Trentino. E anche quella volta, la morte prescelta fu quella per impiccagione. Nel luglio 1998, a impiccarsi fu un trentenne che si era illuso di poter uscire dal carcere grazie alla legge Simeone, ma la sua domanda venne respinta. L’uomo che aveva una condanna "breve" a poco più di due anni, in passato era stato anche carabiniere, poi era finito nei guai per reati come la bancarotta e la truffa. Era fiducioso di veder accolta la richiesta di scarcerazione, essendo, la sua, una pena inferiore ai tre anni di detenzione. Anche una donna decise di impiccarsi, l’unica negli ultimi dieci anni. Era il marzo 1997. La detenuta fu trovata impiccata, appesa a un lenzuolo. Da giorni andava dicendo alle sue compagne di cella che aveva intenzione di farla finita. Sempre impiccato era morto anche un cittadino tunisino nel settembre 1995. L’uomo era stato trasferito a Montorio da Trento, poiché condannato per il tentato omicidio della moglie. Lo trovarono impiccato con una corda fatta di pezzi di lenzuola. A uccidersi l’uomo ci aveva provato anche qualche giorno prima. La seconda volta ci era riuscito. Sempre nel 1995, ma a maggio, si uccise un detenuto bergamasco. Si impiccò nella sua cella. Fu quello il primo suicidio nel nuovo carcere, da poco spostato dal Campone a Montorio.
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