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Il Polo Universitario nel carcere di Prato
L’A.V.P. ed il polo universitario nel carcere di Prato
Associazione Volontariato Penitenziario Onlus - C/o Tribunale di Sorveglianza Via Cavour, 57 - C.P. 18276 - 50129 - Firenze Tel. 055.486140 - E-mail: ccapavolpen@supereva.it
L’Associazione ha assunto nella seconda metà del 1999 l’iniziativa per l’avvio di un intervento per lo sviluppo degli studi universitari in carcere, impegnandosi per favorire la realizzazione di un accordo tra l’Università degli Studi di Firenze, l’Amministrazione Penitenziaria e la Regione Toscana, che è stato firmato alla fine di ottobre del 2000. Si trattava infatti di un intervento che poteva essere realizzato solo con un impegno istituzionale rispetto al quale il volontariato potesse dare un contributo sostanziale. A quattro anni di distanza questo intervento è una realtà che impegna quotidianamente l’Associazione e i suoi volontari insieme ai docenti universitari, ai tutor, all’ Amministrazione Penitenziaria: attualmente sono iscritti 22 studenti nella sezione ottava di media sicurezza, 12 in quella di alta sorveglianza, 8 in semilibertà o misure alternative, cinque in altri istituti della Toscana. L’impegno del volontariato nell’istruzione, nella formazione e nelle attività culturali è qualcosa di consolidato sia nella scuola di base che in quella superiore, attiva in diversi istituti della Toscana; l’iniziativa del Polo Universitario Penitenziario, a cui di recente hanno aderito anche le Università di Pisa e di Siena, rappresenta un passo importante che, mentre sollecita l’impegno delle istituzioni, offre una garanzia di solidità attraverso il collegamento che si crea tra l’università e la rete di sostegno esterna di cui l’A.V.P. è parte. Il ruolo del volontariato è venuto definendosi nel tempo in cinque direzioni: la prima e più importante è data da una presenza regolare e continua, che ha assunto particolare rilievo in momenti di difficoltà o di crisi; la seconda consiste in un’azione di organizzazione e realizzazione, in stretto rapporto con l’Università, di attività di tutorato secondo le necessità dello sviluppo degli studi, anche con momenti didattici di base relativi alla lingua italiana e, più in generale, al recupero di conoscenze e capacità; la terza comprende attività di supporto relativamente ai testi, al materiale didattico, al sostegno alle persone in situazione di necessità (la maggioranza) amministrando, allo scopo, una parte dei fondi (quelli dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze) resi disponibili per l’intero progetto; la quarta è orientata all’organizzazione di momenti ricreativi e culturali (dalle partite di calcio alle visite a musei a incontri culturali) rispettando le condizioni e le compatibilità regolamentari; l’ultima consiste nel sostegno nell’area penale esterna, in considerazione delle difficoltà che i detenuti, anche quelli che studiano, incontrano per garantirsi la sopravvivenza. Non c’è bisogno di richiamare l’importanza, per i detenuti, di relazioni regolari con l’esterno, soprattutto se attraverso queste relazioni possono perseguire qualcosa a cui loro attribuiscono particolare significato per il loro futuro. Questo intervento ci mette anche in contatto con i giovani, e con gli studenti universitari in modo particolare, le cui energie e potenzialità vanno coltivate e sostenute: in questo modo il volontariato diventa un soggetto attivo a sostegno della formazione personale e professionale delle nuove generazioni, favorendo contatti ed esperienze di tirocinio, informando, preparando ed organizzando giovani donne ed uomini per un impegno, certo temporaneo, ma molto significativo. La situazione che si è creata rende evidente a ciascuno dei soggetti che hanno promosso il Polo Universitario Penitenziario che nessuno, con le sue forze è in grado di costruire delle opportunità di miglioramento delle condizioni di vita in carcere, che è importante questa pratica dei diritti delle persone e che questa pratica contribuisce ad avvicinare il carcere all’ambiente sociale, soprattutto pensando alle nuove generazioni per le quali l’incontro con una simile realtà rappresenta certamente un momento importante di formazione e di presa di coscienza: i :frutti verranno, anche se la pianta che stiamo coltivando crescerà lentamente. Temi ed argomenti per un rapporto di valutazione, di Saverio Migliori
Le pagine che seguono costituiscono una parte del rapporto di valutazione sull’esperienza del polo universitario per studenti detenuti presso il carcere della Dogaia di Prato: l’argomento centrale è costituito dai concetti e dalle dimensioni che possiamo considerare essenziali sia nelle relazioni tra studenti, docenti e tutors, sia tra l’ambiente carcerario e l’università o l’ambiente esterno. Nella stesura finale il testo conterrà anche gli elementi dell’intero processo avviato ed altri materiali tra i quali, gli esiti della giornata odierna.
Visti dal carcere, o dall’università, interno ed esterno non hanno lo stesso significato o almeno non la stessa intensità. Dal carcere ciò che è fuori è veramente esterno, mentre dall’università il carcere ha assunto com’è del resto per grandissima parte della società più la connotazione di ciò che è estraneo e tale deve rimanere. Su questa dimensione si gioca molta dell’efficacia collegata alla pratica degli studi, attraverso l’incontro con persone non solo docenti che di questi studi sono la guida e il sostegno. L’incontro tra sistema universitario e sistema carcerario ha conosciuto negli ultimi anni una nuova dimensione. Sino al 1998 l’università ha mantenuto col carcere un rapporto formale, basato sulle norme almeno per quanto riguarda la cura e l’organizzazione degli studi accademici all’interno. Salvo poche esperienze l’università ha sostenuto gli studenti in stato di detenzione organizzando le sole commissioni esaminatrici. Non sono pochi i docenti che ricordano di essere entrati per la prima volta in un carcere proprio grazie ad una commissione d’esame, nell’atto stesso di adempiere ad un dovere istituzionale. D’altra parte l’amministrazione penitenziaria ha favorito lo studio mediando con gli organismi accademici per la predisposizione di questo evento, in se stesso semplice e capace di garantire formalmente il diritto individuale allo studio ma certamente scarno di opportunità formative e relazionali autentiche. Il detenuto ha continuato a giocare la partita in solitudine da privatista con grande forza di volontà e con quella testardaggine propria di chi "sceglie" di non rinunciare e di non cedere ai tempi "burocratici" ed alle ragioni organizzativo securitarie del carcere. Questo quadro sarebbe però incompleto se non prendessimo in considerazione quelle persone che hanno accompagnato e sostenuto questi percorsi di studio, e che in virtù della loro qualità di volontario, insegnante docente universitario o operatore penitenziario hanno contribuito alla riuscita di un’esperienza formativa. È sufficiente ricordare un esempio per tutti. In una bella intervista Lorenzo Contri - fino a qualche anno fa docente di Scienza delle Costruzioni della Facoltà di Ingegneria presso l’Università di Padova - racconta di uno dei primi tentativi di integrazione fra università e carcere. L’esperienza risale alla fine degli anni ‘60 e quello sforzo di costruire un progetto istituzionale rimase fondamentalmente legato alla sensibilità ed alle motivazioni personali dei promotori dell’iniziativa. Lo dimostra un’affermazione di Contri quando rivelando un segreto taciuto per trent’anni dice: il dottor De Mari (allora direttore del carcere di Padova) consentiva che accompagnassi lo studente all’Università, insieme a un agente in borghese. Allora non esistevano i permessi. Se fosse successo qualcosa durante il tragitto sarebbero stati guai grossi! Ma mai nessuno degli studenti detenuti ebbe il minimo dubbio sulla lealtà da rispettare. Ne andava dell’intera esperienza! Avevano residui di pena ancora lunghissimi, ma sapevano che qualunque sciocchezza sarebbe ricaduta sui loro compagni. D’altra parte non c’erano alternative. Le commissioni d’esame non andavano in carcere. Lungo, lunghissimo, è stato il tragitto che ha permesso la nascita del primo polo universitario per studenti detenuti presso il carcere de "Le Vallette" di Torino nel 1998 l’avvio dell’esperienza di Prato nel 2000 e delle iniziative di Pisa e San Gimignano nel 2002. Ha dunque ragione Contri quando alla domanda se e come il carcere sia cambiato nel corso degli ultimi quarant’anni, risponde seccamente: è cambiato in meglio. Enormemente in meglio. Nella maggior parte delle carceri italiane lo studio universitario continua ad essere una scelta "solitaria", solo nella migliore delle ipotesi accompagnata dall’impegno di volontari ed operatori. Le iniziative degli atenei di Torino, Firenze, Pisa e Siena, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, segnano però un nuovo modo di interpretare sia il dovere istituzionale di istruire che il diritto ad istruirsi. L’istituzionalizzazione degli studi accademici presso la Casa Circondariale di Prato ha innanzitutto posto le basi per una più forte collaborazione tra università di Firenze ed amministrazione penitenziaria. La firma del protocollo d’intesa tra Università, Ministero della Giustizia e Regione Toscana ha impostato su basi nuove la possibilità di studiare in carcere superando le logiche tradizionali di tipo assistenziale secondo le quali, in passato, l’università si "spostava" in carcere per l’effettuazione di "interventi chirurgici", fossero essi esami, ma anche conferenze e seminari organizzati da una od altra associazione. L’accordo ha introdotto un elemento essenziale, raramente praticato nelle attività trattamentali del carcere e, cioè, la continuità dell’intervento: non è più il caso singolo ad innescare l’interessamento dell’università in un dato momento, ma esiste oggi un’azione organica strutturata disponibile per tutti gli studenti detenuti in qualsiasi momento. La reciprocità del progetto ha imposto poi la necessità di una comunicazione più autentica tra gli enti coinvolti, una comunicazione ed un confronto che non hanno intaccato l’autonomia delle singole amministrazioni, ma che certamente hanno sottolineato e posto in luce gli elementi di autoreferenzialità di questi sistemi e la conseguente difficoltà di accettazione reciproca dei modi di valutare ed affrontare i problemi: il contatto assunto come impegno è fattore di mutamento, senza il quale è impossibile proseguire l’azione avviata. Ma vi sono almeno altri due effetti che derivano dall’aver scelto la strada dell’accordo istituzionale. In primo luogo le singole strutture hanno iniziato ad organizzarsi in funzione della nuova figura dello studente detenuto, riadattando progressivamente apparati organizzativi e risorse. Questo significa che in qualche misura sia l’università che il sistema penitenziario hanno "preso in carico" formalmente lo studente detenuto. Col tempo diverrà normale iscrivere un soggetto in stato di detenzione, vi sarà un sistema di accesso collaudato e condiviso che semplificherà sia l’iscrizione che le tappe successive. Il detenuto che si vuole iscrivere non sarà più il "caso singolo" che deve farsi strada tra una segreteria e l’altra o tra un cavillo burocratico e l’altro, costretto ad affidarsi alla buona volontà ed alla sensibilità del personale che cura la sua pratica, ma beneficerà di uno statuto che ne riconosce e ne inquadra le caratteristiche e le modalità di accesso, peraltro secondo norme che riconoscono il diritto all’istruzione e alla formazione. Un ulteriore effetto riguarda invece il network originato dal progetto. Nell’arco di tre anni la rete di collaborazioni si è molto infittita consolidando relazioni e generando nuovi scambi. L’intesa tra Università, Ministero e Regione ha innescato rapporti e collaborazioni che hanno visto collegarsi all’iniziativa enti locali, enti sostenitori, il volontariato ed il privato sociale, gli altri atenei della Toscana ed un certo numero di istituti penitenziari. Anche se non completamente, si può affermare che questo allargamento della rete sia stato favorito proprio dal carattere istituzionale dell’iniziativa: penso, ad esempio, alle fondazioni bancarie che sostengono il progetto. Il fatto di avere come referenti importanti entità pubbliche tra loro diverse che in accordo tra di loro scelgono di sperimentare un percorso, certamente consegna a quanti possono intervenire con risorse proprie un quadro istituzionale definito e referenti facilmente individuabili, potrei aggiungere una "promessa di stabilità" che offre garanzie maggiori di sviluppo e di durata. D’altra parte è a partire da questo che si sono attivati gli atenei di Pisa e Siena, ma anche le Aziende regionali per il Diritto allo Studio Universitario, che dall’A.A. 2002 - 2003 hanno inserito nei bandi per la concessione delle borse di studio gli studenti detenuti quale categoria socialmente svantaggiata. L’istituzionalizzazione del progetto ha mostrato anche dei limiti. Lo sviluppo delle attività è risultato in parte legato alla tempistica propria delle singole amministrazioni: in presenza, ad esempio, di una scelta politica chiara, sono stati i fattori burocratici e l’inadeguatezza dei canali di informazione e comunicazione a condizionare l’entrata a regime del progetto. Pertanto alla decisione di ridurre le tasse dovute dallo studente detenuto, ha fatto seguito un lungo periodo in cui le segreterie studenti hanno dovuto riorganizzare le proprie prassi (modulistica, modalità di pagamento, autocertificazioni, collegamento con i corsi di laurea, etc.) e diffondere le specifiche informazioni all’interno del sistema di ateneo. In tal senso l’istituzionalizzazione ha mostrato un irrigidimento dei processi amministrativi, almeno durante tutto il periodo di avvio del progetto. D’altro lato le dinamiche interistituzionali hanno rischiato di porre in ombra l’apporto dei volontari e delle associazioni coinvolte nell’iniziativa. È fuori discussione il ruolo chiave del volontariato, sia nelle fasi di avvio dell’esperienza che durante lo svolgimento delle attività didattiche ed organizzative: tuttavia questo ruolo è apparso, in qualche occasione, meno riconosciuto, essendo percepito, a tratti, come subalterno all’iniziativa istituzionale, come schiacciato dalla macchina organizzativa. La percezione di questa difficoltà ha portato all’individuazione consensuale di attività come l’organizzazione del tutorato, l’organizzazione di alcune attività didattiche di base, l’acquisizione dei testi e dei materiali per la didattica, l’amministrazione di parte dei fondi erogati dagli enti sostenitori. Ma, soprattutto, il volontariato garantisce quella presenza regolare e quell’approccio ai problemi personali che permettono di intervenire in momenti di particolare difficoltà nell’ambiente di vita carcerario, com’è accaduto nell’estate del 2001. Partecipa dunque agli incontri che si tengono con la direzione e gli operatori, nei quali si assumono decisioni che riguardano il funzionamento del progetto. Al di là dei fattori più formali l’esperienza ha coagulato anche qualcosa d’altro, quella disponibilità a cui accennava il prof. Contri, la stessa che spinge un docente o un direttore ad assumersi dei rischi, a forzare le maglie del "dover essere professionale", mettendo in gioco anche parte di se stessi. L’accordo istituzionale non basta a spiegare l’andamento, pur essendone una garanzia: molti dei partecipanti al progetto hanno collegato la loro disponibilità ad entrare in carcere ad un insieme di motivazioni, sensibilità ed esperienze del tutto personali, a volte private, e certamente legate al proprio sistema di valori, facendo emergere stili di lavoro personali, capacità di relazione con persone in situazioni spesso molto diverse tra loro. Università e carcere hanno trovato un loro punto di equilibrio anche grazie ad alcune scelte di fondo: il riconoscimento del diritto allo studio in situazioni di detenzione, dal quale discendono almeno altri due principi. Il primo si basa sulla libertà di scelta del soggetto: il riconoscimento del diritto allo studio diventa veramente pieno se l’individuo può scegliere davvero rispetto all’intera offerta formativa universitaria. Pertanto università e carcere hanno inaugurato il progetto accogliendo opzioni universitarie su tutte le facoltà presenti a Firenze. Il secondo principio si fonda invece sull’ordinarietà dell’esperienza di studio e cioè il tentativo di rendere gli studi accademici in carcere simili agli studi accademici affrontati da qualsiasi persona fuori dal carcere. L’affermazione può avere una connotazione piuttosto utopica, in quanto è evidente - e il presente rapporto ne è una testimonianza - che lo studio in carcere necessita di approcci e strategie differenziati e specifici; ma per ordinario si vuole intendere la possibilità di porsi dinanzi allo studente detenuto allo stesso modo con cui ci si pone con qualunque altro studente, assumendone la scelta iniziale, fornendo orientamento, indicazioni di lavoro etc. Gli obblighi ed i vincoli per l’accesso all’università, le condizioni per il pagamento delle tasse o per la fruizione delle borse di studio, ma anche i servizi per l’assistenza alla didattica o di tutorato sono stati organizzati in questa fase di avvio del progetto operando una serie di adattamenti che ora è necessario affinare e consolidare inserendoli in un quadro condiviso e stabile. Gli ordinamenti e le prassi universitarie potranno contenere il riferimento alla detenzione ogni qualvolta tale condizione venga riconosciuta causa effettiva di svantaggio o intralcio per la piena fruizione del diritto allo studio e quindi per l’accesso all’università, per l’organizzazione della didattica etc. Questo tipo di sviluppo è già stato registrato nella concessione delle borse di studio. Nei primi due anni di progetto gli studenti hanno ottenuto supporti economici straordinari: una tantum dall’Azienda regionale per il Diritto allo Studio Universitario ed all’occorrenza da parte delle associazioni di volontariato; col terzo anno la figura dello studente detenuto, al pari delle altre categorie di studenti, è confluita nello "strumento ordinario" del bando regionale per la concessione delle borse. Ma non è tutto, poiché lo stesso bando ha riconosciuto anche la specifica condizione di svantaggio del detenuto, promuovendo una modalità di valutazione dei requisiti di merito e di reddito differenziata e più pertinente allo status detentivo. Fra i motivi ispiratori del progetto se ne devono ricordare almeno altri due: la volontà di ampliare l’offerta formativa disponibile per i detenuti e la progressiva estensione al territorio regionale degli studi universitari. L’attivazione di un’offerta formativa universitaria presso l’istituto di Prato ha completato di fatto il sistema di istruzione presente nelle carceri toscane. Dalla fine del 2000 il soggetto in stato di detenzione ha potuto scegliere di istruirsi, contando su un’offerta che va dall’alfabetizzazione ai diversi corsi di laurea. A questo si è collegata la regionalizzazione dell’esperienza, in virtù della quale gli enti promotori del progetto hanno individuato nel territorio regionale il primo bacino di utenza del progetto. La presenza della Regione Toscana, l’esistenza di istituti penitenziari in tutte le province della regione e l’attivazione degli atenei di Pisa e di Siena, anch’essi impegnati nella realizzazione di progetti analoghi a quello fiorentino, confermano oggi la dimensione regionale dell’iniziativa. In sede di valutazione i rapporti tra università e carcere e le ricadute del progetto sui singoli sistemi hanno evidenziato una serie di elementi di forza e di debolezza nell’impostazione appena descritta. Le scelte costitutive del progetto e gli effetti derivanti dall’istituzionalizzazione dell’iniziativa possono essere infatti riconsiderati e, in qualche misura, ponderati, in funzione di questi elementi.
Gli studenti detenuti inseriti nel polo universitario sono complessivamente 548. Gli inserimenti per l’A.A. 2002 - 2003 risultano 16, mentre nell’A.A. 2001 - 2002 erano 23. L’anno di inaugurazione del progetto (2000 - 2001) ne contava invece 15. Gli studenti si distribuiscono su tutte le facoltà presenti presso l’ateneo fiorentino, evidenziando un’alta concentrazione della domanda di studio sulle facoltà di giurisprudenza, scienze politiche e lettere. Risulta piuttosto alto anche il numero dei corsi di laurea prescelti, ben 31, che mostra raggruppamenti più consistenti della domanda sui corsi di scienze giuridiche, servizi giuridici, scienze politiche e servizio sociale. Come ben noto esiste una relazione tra scelta universitaria e stato di carcerazione. È innegabile che l’esperienza processuale e detentiva induca i soggetti ad avvicinarsi alle materie giuridiche, ed a praticare una larga parte delle discipline legate al diritto. I detenuti sono esperti navigatori di queste acque e le loro "ragioni" sono frequentemente argomentate da buone, pure se circoscritte, cognizioni legali maturate nel corso del tempo. Si spiega anche così l’opzione per giurisprudenza e, più genericamente, per scienze politiche, tuttavia non è il solo motivo: le due facoltà corrispondono anche a quelle meglio avviate e a quelle che, nell’esperienza di Torino "Le Vallette" sono a tutt’oggi le uniche facoltà attive. Il fatto dunque di avere solo due facoltà attive o di percepire queste come meglio organizzate rispetto ad altre può aver prodotto un "effetto calamita", attraendo una domanda di studio potenzialmente rivolta anche ad altre discipline. Questo fenomeno di omologazione della domanda si è progressivamente ridotto grazie alla piena articolazione dell’offerta universitaria, articolandosi su molte aree di studio. Dal punto di vista della valutazione quanto detto può essere considerato come un indicatore dell’efficacia della relazione iniziale oltre che della qualità dell’orientamento svolto: dalla prospettiva degli studenti, la scelta del corso di studio può essere collegata a fenomeni ben noti (come l’influenza di persone significative), ma trova sicuramente nella relazione iniziale un punto di appoggio per riprendere progetti interrotti, per disporsi verso una futura attività di lavoro, per valutare l’effettiva motivazione a muoversi in una certa direzione. La scelta iniziale e la relazione con i docenti che ne deriva supporta anche l’autonomia personale rispetto al sistema penitenziario e l’assunzione di responsabilità. Queste variabili sono presenti in altra forma nella normale scelta degli studi universitari, per quanto i due percorsi non siano sovrapponibili. Gli studenti uomini sono di gran lunga la maggioranza con ben 50 unità su 54: d’altra parte le donne in Toscana sono circa 180 a fronte di 3.900 uomini. L’età media degli studenti al momento dell’iscrizione si attesta sui 36 anni. Sono di nazionalità straniera 8 soggetti (14,8%), mentre la provenienza territoriale degli studenti italiani, sulla base del luogo di nascita, è riconducibile per il 7,4% a regioni del nord, per il 16,7% a regioni del centro e per il 57,4% a regioni del sud. Si aggiungono a questi due studenti nati all’estero, ma con cittadinanza italiana (3,7%). Gli studenti nati in Toscana rappresentano il 13% del totale. Naturalmente la peculiarità carceraria aggiunge nuovi elementi all’analisi. Si tratta di quelle variabili strettamente collegate con la vicenda detentiva individuale e in qualche misura relazionabili con i percorsi di studio. Si tratta della loro posizione giuridica (imputati, definitivi) e della durata della pena comminata, in particolar modo dei cosiddetti residui pena, cioè il tempo che rimane ancora da maturare prima della definitiva scarcerazione. Queste variabili incidono direttamente sull’impostazione e la realizzazione dell’attività formativa, poiché caratterizzano una maggiore o una minore stabilità del detenuto presso l’istituto penitenziario, con la conseguente possibilità di tracciare modalità didattiche ed azioni di accompagnamento individualizzate e continuative. Dette variabili non sono state assunte come determinanti per l’accesso del detenuto al polo universitario penitenziario, tuttavia il residuo pena e lo status di condannato o di imputato inquadrano una tipologia di studente che necessita di una personalizzazione del percorso di studio a partire proprio dalle caratteristiche della sua detenzione. Si pensi soltanto al soggetto in attesa di giudizio che si iscrive ad un corso universitario quando ancora si trova in custodia cautelare: otterrà delle agevolazioni per l’iscrizione ed un’attività di orientamento specifica, con molta probabilità potrà avviare anche il proprio programma di lavoro. Nel caso in cui intervenga una condanna definitiva proseguirà il lavoro all’interno dell’istituto, in caso contrario manterrà un contatto con i docenti delegati per il progetto e le misure di accompagnamento di cui dispongono gli altri studenti detenuti. Qualora il soggetto venga scarcerato definitivamente sarà comunque sostenuto per il tempo necessario a sviluppare un approccio autonomo alla realtà universitaria esterna. A queste variabili se ne aggiunge una terza, anch’essa estremamente importante, perché in grado di individuare il regime detentivo a cui è sottoposto il detenuto. Non tutti gli studenti si trovano presso la sezione di media sicurezza di Prato: una parte consistente si trova presso una delle due sezioni di alta sicurezza del medesimo istituto e l’altra parte è distribuita su altri istituti della regione o in area penale esterna. Il regime detentivo al quale è sottoposto lo studente detenuto rappresenta un fattore non secondario nell’organizzazione dell’offerta formativa: i livelli di sicurezza che differenziano le sezioni a custodia attenuata, da quelle di media o alta sicurezza certamente producono effetti sia sull’accesso e la frequenza di docenti o tutors nelle sezioni detentive, che sulle modalità di gestione delle attività didattiche. In tal caso l’integrazione tra esigenze di sicurezza del carcere e necessità universitarie è possibile solo grazie ad un’efficace comunicazione tra i due sistemi14. Dopo tre anni di attività il polo universitario penitenziario non ha più una sola sede detentiva di riferimento. Il numero di iscritti è progressivamente cresciuto e con esso si è articolata anche la tipologia dei detenuti. A causa di questa differenziazione non è stato possibile procedere ad un inserimento di tutti gli studenti detenuti presso la sezione di media sicurezza della Casa Circondariale di Prato, originariamente istituita quale specifica sede del progetto. Alcuni detenuti si trovano oggi presso altri penitenziari e ciò è collegabile almeno a tre ordini di variabili. Le donne, com’è facile intuire, sono accolte presso istituti o sezioni di istituti ad esse dedicati e Prato non ha una sezione femminile. Secondariamente vi sono ragioni di carattere cautelare o detentivo che impongono al detenuto di rimanere in certi istituti penitenziari o sotto determinati regimi detentivi. Infine debbono essere considerate le ragioni personali: in taluni casi il detenuto, pur optando per l’iscrizione universitaria, preferisce rimanere nell’istituto di provenienza poiché in quel contesto mantiene un lavoro o legami significativi a cui non vuole rinunciare. Tutto questo consegna una situazione difficile da gestire, poiché l’offerta formativa e i livelli di prestazione dei docenti assicurati presso l’istituto di Prato, non sono riproducibili nelle stesse forme presso le altre realtà carcerarie. Agli studenti ristretti presso queste strutture vengono comunque riconosciute le stesse condizioni applicate a quanti si trovano a Prato, mentre l’offerta didattica è supportata, laddove possibile, da un’attività di tutorato. Date queste condizioni di partenza, centrate da un lato sulla posizione giuridica e dall’altro sugli esiti della relazione con i docenti, la decisione di iscriversi a questo o quel corso appare orientata da numerose variabili. I bisogni formativi ed il loro collegamento con i progetti personali sono stati oggetto di un lavoro di gruppo continuativo dove la produzione di autobiografie ha avuto un ruolo centrale. Da un’analisi prevalentemente qualitativa di questi materiali è emerso che la spinta motivazionale per la ripresa degli studi può essere sostanzialmente compresa tra due polarità: quella della strumentalità e quella della progettualità. Nelle motivazioni personali confluiscono molte variabili, tutte fortemente condizionate dagli eventi, dalle persone o dagli ambienti. Nonostante questa mutevolezza di fondo sembrano però emergere delle tipologie di variabili preminenti che riescono più di altre a spiegare la scelta individuale, collocandola tra le due polarità di partenza. Le variabili a cui mi riferisco sono ricomponibili come segue ed hanno un peso maggiore o minore a seconda della condizione della persona:
La percezione dello studio può variare anche in rapporto a condizioni soggettive quali l’essere stranieri, l’avere o meno una famiglia di riferimento, l’aver intrapreso e magari interrotto a causa del reato, della vicenda processuale o della carcerazione progetti di studio precedenti. È altresì presente la dimensione strumentale (accesso alle misure premiali, miglioramento delle condizioni detentive), ma questa deve essere anche rapportata alla strumentalità normalmente agita dai giovani universitari in libertà (rinvio del servizio militare, risposta a pressioni familiari, possibilità di accedere a benefici economici ecc.). Complessivamente gli studenti distribuiti presso istituti penitenziari diversi da quello di Prato sono 9, di cui uno ristretto in un carcere extraregionale. A Prato invece vi sono in tutto 29 studenti: 17 presso la sezione di media sicurezza destinata al progetto, 11 presso l’alta sicurezza ed uno presso le sezioni ordinarie. Per l’A.A. 2002 - 2003 la sezione di media sicurezza può dirsi a regime in quanto dispone di 23 posti ed i presenti sono 20. L’alta sicurezza non si caratterizza come sezione specificamente destinata a studenti detenuti, anche se l’istituto è riuscito a riunire in un’unica sezione quanti siano impegnati in studi universitari o secondari superiori. Tuttavia la situazione di sovraffollamento delle sezioni di alta sicurezza di Prato sembra precludere per il momento l’incremento di altri studenti. Se pur con maggiori difficoltà, legate generalmente al più intenso regime di sorveglianza, gli studenti della sezione A.S. ricevono opportunità didattiche analoghe a quelle rese disponibili per la media sicurezza. Come fatto nuovo emerge lo studente in area penale esterna che grazie alla misura alternativa di cui dispone può fruire autonomamente dei servizi universitari all’esterno, rimanendo in contatto con il delegato di facoltà per il progetto. Risultano in area penale esterna 11 studenti, uno si trova in sospensione pena ed uno sotto servizio di protezione, 3 persone sono in libertà. Dei 54 studenti inseriti nel progetto 3 di essi non hanno rinnovato l’iscrizione all’A.A. 2002 - 2003 ed uno ha effettuato il trasferimento all’ateneo di Pisa, venendo inserito nel polo universitario di quella città. Con il 2001 - 2002, anno di avvio della riforma degli ordinamenti universitari (3+2), si sono registrate 7 domande di passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo, mentre 13 studenti hanno deciso di rimanere al vecchio ordinamento. Tutti gli altri sono regolarmente iscritti a corsi del nuovo ordinamento. L’insieme delle variabili che caratterizzano la scelta degli studenti fornisce, dal punto di vista della valutazione, la possibilità di cogliere due processi: il primo riguarda le prospettive della vita personale dentro e fuori e contiene variabili che possono essere ritrovate anche nei percorsi dei normali studenti; il secondo riguarda la possibilità di cogliere il valore "tratta mentale" del percorso di studio e necessita dell’individuazione di elementi specifici. Rientrano nel primo ambito i condiziona menti e le risorse derivanti dalla famiglia, dagli eventuali vissuti lavorativi in relazione con l’età, dall’esistenza di un progetto personale nella forma di una sorta di "vocazione", dall’azione di gruppi o persone influenti ecc., tutte variabili facilmente reperibili nei normali curricoli di istruzione e formazione. Le variabili riferibili al cosiddetto trattamento sono molto problematiche da cogliere, essendo impossibile discriminare quanto nelle decisioni, nel comportamento o nell’atteggiamento verso gli altri sia attribuibile agli effetti di un qualunque programma. L’atto stesso di iscriversi all’università appare più come il frutto di una scelta soggettiva verso uno spazio di maggiore libertà, che come l’esito di un trattamento programmato. L’esperienza sin qui condotta risulta ancora caratterizzata dalle singole situazioni, ed è quindi molto difficile tentare una qualsiasi generalizzazione. Sarà comunque importante in futuro comprendere i nessi che legano l’ambiente di provenienza, le esperienze del reato e della pena, la ricostruzione di un progetto personale. Per il momento, ai fini della nostra valutazione, le esperienze fatte sembrano mostrare un’efficacia rilevante degli studi universitari su tutte le dimensioni che caratterizzano la vita in carcere: l’uso del tempo, la ricerca di senso in ciò che si fa, la positività delle relazioni interpersonali, lo sviluppo di logiche cooperative rispetto a quelle puramente conflittuali.
Il lavoro dei docenti nel carcere di Prato presuppone una scelta e mantiene la libertà di modificarla. Diversamente da quanto avviene nell’università il lavoro verso gli studenti detenuti, deve necessariamente essere frutto di una scelta personale ancorché sia ufficialmente riconosciuto dall’ateneo. Questa è la ragione per cui una valutazione sui docenti non può che partire dalla conoscenza delle ragioni, per cui un docente abbia preso la decisione di impegnarsi in questo progetto. Molte altre decisioni seguono questa prima andando a configurare quella che possiamo definire come relazione formativa. Da alcune interviste effettuate con i primi docenti coinvolti nel progetto emerge una mescolanza di motivazioni tra loro diverse, ma frequentemente convergenti, che giustificano la loro partecipazione a questa esperienza. le motivazioni attengono principalmente al senso del servizio, alla possibilità di promuovere i diritti di cittadinanza, primo fra tutti il diritto all’istruzione, alla volontà di confrontarsi con un mondo sostanzialmente sconosciuto come quello carcerario. Del resto i tre filoni fanno emergere un più sottile meccanismo, che ha a che fare in qualche modo con una ricerca di senso più profonda. Mi riferisco in particolare al significato di un’attività didattica, di formazione, o più genericamente culturale, effettuata in un mondo "altro", "separato", per il quale davvero l’università può essere vettore di una nuova inclusione sociale. Non posso tacere a questo proposito la riflessione di uno dei docenti coinvolti, il quale afferma che l’Università deve avere una capacità d’insegnamento che sia aderente alle basi sociali del mondo in cui vive, e quindi, deve soddisfare pienamente tutte le fasce sociali del mondo in cui è inserita. E parlando della sua scelta, prosegue: io ero attratto dalla sfida, la sfida di portare studi tecnico - scientifici in un ambiente di reclusione. Ho subito collegato questa iniziativa con il nuovo corso di studi universitari con la laurea triennale, con un allargamento del mondo universitario su fasce lavorative sempre più ampie e quindi con la capacità anche di mettere a punto gli strumenti. Ma vi è forse di più, vi è un nesso nella scelta dei docenti tra dovere professionale e richiamo civile, tra il dovere istituzionale dell’insegnamento e una sensibilità individuale che promuove ed accompagna questo impegno. Sono molte le risposte che potrei citare in questo senso e che, come per gli studenti, fanno oscillare il pendolo della motivazione dei docenti tra le polarità del dovere professionale e dell’impegno civile, o, azzardando un po’, del dovere morale. Afferma un altro docente: Mi ha spinto, in generale, il fatto di poter allargare il discorso dell’insegnamento e del servizio universitario al di là dei diritti tradizionali consolidati, il fatto che questo lavoro umano di aiuto nei confronti di altre persone passi attraverso la cultura; questo lo ritengo fondamentale. Il lavoro universitario è qui declinato in chiave solidaristica, un’attività quella dell’insegnamento che oltre a generare cultura veicola aiuto e, soprattutto, relazioni. Ma ritengo determinante anche un’altra spiegazione sul perché si è scelto di partecipare al progetto, dove si dice: Perché prima di tutto io sono un vecchio servitore dello Stato, sono da moltissimi anni in altri ruoli dello Stato, poi sono passato all’università, dove ho idea che si debba essere tali, cioè servitori dello Stato, c’è una funzione e la si fa. Non credo di fare alcuna forzatura affermando che in questa logica si inserisce anche la partecipazione al progetto dell’associazione Ingegneri senza frontiere, un gruppo di 14 studenti di ingegneria che ha scelto, fra le altre iniziative, di impegnarsi volontariamente a favore del carcere realizzando un lavoro di tutorato interno. È partita così un’esperienza di impegno civile che tenta di costruire un primo, importante, ponte tra studenti universitari. I docenti che attraverso il polo universitario hanno varcato la soglia del carcere per realizzarvi un’attività di insegnamento sono oggi 81, di questi almeno il 20% è entrato e continua ad entrare con una certa regolarità, mentre i restanti appartengono a quella categoria di insegnanti che si alternano per attività di orientamento, insegnamento e tutorato, ma in modo non necessariamente continuativo. Ai docenti si affiancano gli studenti, i laureandi o i laureati che conducono il tutorato, ad oggi risultano circa 27. Fra questi rientrano anche alcuni docenti ed alcuni volontari impegnati direttamente nelle iniziative di supporto. Si deve notare come i 14 tutors indicati per ingegneria facciano capo all’associazione Ingegneri senza frontiere, l’attività dei quali si rivolge a tutti quegli studenti che manifestano una necessità di supporto nelle discipline tecnico-scientifiche, a prescindere dalla facoltà di appartenenza. Fra i tutors vi sono anche 4 volontari dell’Associazione Volontariato Penitenziario (A.V.P.) che assieme agli studenti di ingegneria svolgono l’attività di supporto a titolo gratuito. I tutors dell’A.V.P. svolgono un’attività prevalentemente di collegamento fra studenti e docenti. Sono dunque 9 i tutors attivati con i fondi del progetto, specificamente finalizzati al supporto delle attività didattiche. L’attività di docenza è riconosciuta come istituzionale anche se la decisione di partecipare al progetto è rimessa fondamentalmente al singolo soggetto. Generalmente sono i delegati di facoltà ad attivarsi, in relazione alle necessità, al fine di individuare i colleghi da coinvolgere nelle attività di formazione presso il carcere. L’esperienza dei primi tre anni ha mostrato alcuni limiti di questo meccanismo, che fortunatamente hanno prodotto soltanto dei rallentamenti nei processi organizzativi, senza determinare veri e propri blocchi nelle diverse iniziative. In virtù del riconoscimento istituzionale, l’attività docente presso le sedi carcerarie può essere incentivata economicamente mediante gli strumenti ordinari a disposizione dell’università. In questi anni lo strumento dell’incentivazione della didattica è stato però sotto utilizzato, mancando così di valorizzare a pieno l’impegno individuale dei docenti. Si tratta allora di dare maggior visibilità a questa possibilità, informando coloro che partecipano al progetto circa le modalità di utilizzazione di questo strumento. D’altra parte l’impegno del docente risulta piuttosto oneroso sia per l’effettuazione delle attività didattiche, di tutorato e di coordinamento, che per le modalità di accesso all’istituto (distanza da percorrere, tempi tecnici per entrare all’interno etc.). La presenza di iscritti presso altre carceri della Toscana rende poi necessari altri spostamenti del docente verso quelle sedi per l’effettuazione almeno del lavoro di orientamento e di consulenza iniziale. In ultima analisi vi è l’allargamento del numero dei corsi di laurea dopo la riforma degli ordinamenti, il quale ha posto in luce l’esigenza di articolare più efficacemente l’opera dei docenti. Al delegato di facoltà dovrebbe probabilmente essere affiancato un delegato di corso di laurea (almeno per i corsi attivi), così da distribuire meglio i carichi di lavoro e di coordinamento, recuperando peraltro maggiori livelli di informazione per ciascun corso di studio. In una prospettiva di valutazione, dando per acquisita una motivazione pro sociale nell’agire dei docenti, l’esperienza sin qui fatta suggerisce di orientarsi verso l’area dell’innovazione per comprendere se la scelta fatta misuri un atteggiamento favorevole all’innovazione, la capacità di far dialogare tra loro modelli didattici diversi, la possibilità di fornirsi reciprocamente di supporti che migliorino la didattica, in una parola, se misuri o lo possa fare in futuro, un accrescimento di integrazione disciplinare e culturale. Queste variabili sono in parte oggettive (si pensi solo all’avvio della teledidattica, che non è solo uno strumento tecnico), ed in parte maggioritaria soggettive, in quanto attengono ad esperienze personali. Si tratta in ogni caso di elementi imprescindibili in relazione a decisioni che riguardano il mantenimento, l’incremento, la trasformazione del progetto avviato.
Per offerta formativa intendiamo quel complesso di attività, esperienze, opportunità, ordinate secondo un qualche programma codificato e secondo delle finalità rese note, con cui una struttura interagisce con domande e bisogni di persone in differenti condizioni: nell’offerta didattica, le sue varie forme, il tutorato, le verifiche e le valutazioni, le misure di accompagnamento, l’eventuale sostegno economico ed altri elementi, pur valutabili separatamente, devono essere ricondotti a questa dimensione generale. Valutare l’offerta formativa significa cogliere ciò che è attribuibile ai legami tra le diverse attività, in modo da comprendere l’unità di un programma ed i suoi risultati complessivi al fine di deciderne la prosecuzione, la modifica o la cancellazione. Rientrano fra questi l’uso efficiente delle risorse, un’organizzazione efficace e non burocratizzata, positive relazioni tra ruoli che si occupano di aspetti diversi, l’esistenza di riconoscimenti materiali e simbolici, il regolare conseguimento di obiettivi intermedi ecc. Nel caso dell’ambiente penitenziario, l’offerta formativa assume un obiettivo specifico che è quello di una trasformazione nelle persone che consenta loro di costruire o riprendere gradualmente e attraverso misure specifiche (permessi, misure alternative) una collocazione libera nella società. Nei precedenti paragrafi si sono enucleati gli elementi che compongono l’offerta formativa realizzata per gli studenti detenuti: sono stati chiariti la struttura delle facoltà e dei corsi di laurea, l’articolazione e le caratteristiche della domanda di formazione e l’insieme dei docenti e dei tutors, tenendo conto anche dello schema individuato dal Nucleo di valutazione di ateneo. Prima di affrontare separatamente alcuni degli elementi che costituiscono l’offerta formativa, è necessario soffermarsi sulle risorse che rendono possibile lo sviluppo dell’offerta formativa. Le attività universitarie di orientamento, consulenza, insegnamento e tutorato hanno luogo principalmente presso la sezione detentiva di media sicurezza della Casa Circondariale di Prato, dove oltre alle 23 camere di pernottamento ad uso singolo, vi sono una sala attrezzata per le attività didattiche e due stanze per i colloqui tra docenti e studenti. Esternamente alla sezione esiste una terza stanza a disposizione dei docenti. L’attrezzatura presente nella sala comprende 4 computer fissi e 6 portatili, una lavagna luminosa, una fotocopiatrice ed un televisore con videoregistratore. Nello stesso ambiente si sta costituendo un fondo librario a disposizione degli studenti che oggi conta circa 350 volumi. I costi per l’acquisto dei volumi e della necessaria cancelleria, dopo un primo massiccio investimento dell’amministrazione penitenziaria, vengono assorbiti in larga misura dall’Associazione Volontariato Penitenziario grazie ai fondi messi a disposizione dalla Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze. L’associazione gestisce lo stesso servizio anche presso la sezione di alta sicurezza dell’istituto di Prato e presso gli altri carceri dove vi siano studenti detenuti. È frequente il sostegno in tal senso anche per i soggetti in area penale esterna, i quali, oltre a poter usufruire delle sedi universitarie, dal 2003 potranno appoggiarsi anche su una struttura di accoglienza situata in Firenze e gestita dalla medesima associazione, sulla base di un intervento predisposto dalle amministrazioni comunale e regionale. Le attività didattiche presso la sezione di alta sicurezza di Prato avvengono presso le salette disponibili al piano, in attesa di una più chiara definizione degli spazi per la didattica, sul modello di quanto accaduto presso la media sicurezza. In alta sicurezza le camere di pernottamento ospitano due detenuti anziché uno, tuttavia l’amministrazione penitenziaria ha ritenuto utile riunire gli studenti universitari e di scuola superiore nella medesima sezione, promuovendo così una comunanza di interessi fra detenuti che senz’altro ha giovato sia alla convivenza reciproca che allo studio personale. Anche in questa sezione esiste un fondo librario che si sta progressivamente incrementando. Le caratteristiche degli spazi si legano anche alla possibilità di una loro adeguata fruizione. Dal 22 maggio 2002 la sezione di media sicurezza dispone del cosiddetto "orario di apertura lungo", ciò significa che i detenuti possono muoversi liberamente presso la sezione dalle ore 8.30 alle ore 18.40, senza obbligo di tornare nelle camere di pernottamento. Questa operazione ha mostrato effetti positivi sull’andamento degli studi, perché ha permesso da un lato di aumentare la possibilità di incontro con i docenti ed i tutors, evitando brusche interruzioni, e dall’altro ha contribuito al miglioramento delle condizioni di vita: maggiore libertà di movimento, incremento delle relazioni con soggetti esterni, maggiore fruizione delle strumentazioni didattiche e possibilità di integrare lo studio con momenti di lavoro (esperienze di telelavoro). Meno efficaci a tal proposito risultano gli orari praticati presso la sezione di alta sicurezza, l’apertura è qui compresa tra le 9.00 e le 11.00 durante il mattino e tra le 13.00 e le 17.00 nel pomeriggio. La situazione è resa difficile da più fattori, fra i quali si debbono citare l’elemento securitario, il livello di affollamento delle sezioni A.S. e la gestione del personale di custodia. Su questo terreno sarà interessante valutare le capacità di comunicazione fra università ed amministrazione penitenziaria, e capire quanto i due modelli organizzativi possano adeguarsi alle nuove esigenze. Va infine ricordato il livello organizzativo inteso nella sua globalità, e quindi comprendendo anche le attività di custodia e trattamento. Un’organizzazione efficiente può facilitare i rapporti tra docenti e struttura carceraria, migliorando complessivamente la qualità dell’intervento. Nella prospettiva della nostra valutazione gli aspetti logistici, cosi come sono stati descritti, rispondono alle finalità del progetto, ma aprono interrogativi su una loro migliore utilizzazione e sulla loro rispondenza a fronte di una domanda maggiore. Nella dimensione organizzativa devono essere richiamati i rapporti tra personale e funzionamento del progetto, individuando le ragioni dell’atteggiamento generale e dei comportamenti che favoriscono o inibiscono lo sviluppo del progetto. In questa stessa direzione si deve considerare l’organizzazione dell’apporto che ciascun docente, tutor o volontario dà alla realizzazione del progetto individuando, ad esempio le funzioni dei delegati di facoltà e di quelli dei corsi di laurea, al fine di avere degli esiti uniformi. Considerando queste variabili è possibile prospettare una valutazione molto positiva dell’articolazione dell’offerta didattica, così come è possibile prospettare una valutazione positiva del modo in cui i docenti hanno costruito il loro inserimento nel carcere. Ai fini della valutazione dell’offerta formativa si devono tener presenti alcuni elementi generali suscettibili di osservazione, di descrizione e di misurazione. Il primo riguarda la collocazione degli studi universitari nella struttura carceraria di Prato come parte di quei detenuti (circa 150) che in complesso sono impegnati nello studio ai vari livelli (obbligo, superiore, università). Si deve dunque considerare l’offerta formativa globale, che attenua la percezione degli studi universitari come eccezione e mostra una risposta ai diversi livelli, senza escludere attività di alfabetizzazione. All’esistenza di un’offerta formativa differenziata non sembra corrispondere in modo diffuso la percezione di una unità di disegno da parte di coloro che ne sono coinvolti detenuti, docenti, volontari, personale ed altri: ciascun segmento di attività lavora ancora separatamente ed il livello di comunicazione è limitato. Ciò non toglie che questo debba rimanere il punto di riferimento per una valutazione sugli studi in carcere e che si debba considerare, nella valutazione, se l’offerta formativa si sviluppi su un fronte ampio o meno. Il secondo elemento riguarda l’offerta formativa intesa non solo come studio indirizzato all’acquisizione di titoli formali, ma anche come formazione al lavoro, come attività culturale sul piano della conoscenza (seminari, conferenze), dell’espressività (sport, teatro, cinema etc.), dei contatti. La valutazione dell’esperienza degli studi universitari deve essere fatta, dunque, nel quadro generale di un’offerta formativa che è parte di quello che si è chiamato "trattamento", ma che potrebbe essere più semplicemente definito costruzione e rafforzamento di legami sociali con e per persone in situazione di marginalità. La numerosità delle iniziative e la loro differenziazione, la possibilità aperta di partecipazione, la multiformità dei contributi da istituzioni, associazioni e persone sono altrettante variabili utili alla valutazione di un’offerta formativa che diventa uno dei campi essenziali dell’intervento all’interno del carcere, anche verso l’area dell’immigrazione. Il terzo elemento riguarda il legame tra studio e lavoro, una questione molto rilevante per persone che, nella stragrande maggioranza, non dispongono di risorse o ne dispongono in maniera molto limitata. L ‘offerta formativa deve tener conto di questo problema a tutti i livelli: nel caso dell’università, l’esperienza del telelavoro è risultata molto positiva, grazie all’apporto del Comune di Prato, ma non sono mancate le difficoltà derivanti, nel periodo del lavoro, da una giornata troppo "pesante", nella quale diventava difficile usufruire delle ore d’aria per la concomitanza dello studio e del lavoro. La valutazione dell’offerta formativa deve dunque tener conto delle compatibilità con l’organizzazione di una vita quotidiana che lascia pochi margini di autonomia. In questo senso, l’esistenza di aggiustamenti ed adattamenti dei ritmi di vita può essere assunta come misura di una trasformazione della struttura e delle sue relazioni. Il quarto elemento riguarda il nesso tra offerta formativa ed esigenze di custodia, il che significa essenzialmente, dal nostro punto di vista, due cose. La prima riguarda la capacità - volontà della struttura di rendersi più flessibile: misura di questa variabile sono le decisioni assunte di comune accordo nella condivisione delle finalità assunte (periodicità delle riunioni per valutare ciò che è possibile fare, allargamento dell’apertura e delle possibilità di socializzazione, cura delle procedure di ingresso, attenzione alle risposte su bisogni materiali). La seconda riguarda il lavoro del personale carcerario in tutte le sue componenti, da quelle direttive a quelle amministrative a quelle professionali a quelle di custodia. Qualunque offerta formativa non può svilupparsi senza una condivisione da parte del personale, e l’efficacia, l’efficienza e la qualità di quell’offerta trovano nelle scelte del personale una misura che può ritenersi affidabile, come ben sanno i nostri colleghi. Non si tratta di una prerogativa del carcere, ma di una problematica generale che riguarda ogni organizzazione complessa in cui un gruppo, assumendo un atteggiamento di collaborazione o di conflitto, sia in grado di influire in modo rilevante sull’intero processo. Ciascuno di questi quattro elementi (che non sono certo gli unici) può essere scomposto in variabili osservabili che forniscono informazioni preziose, oggetto di possibili rilevazioni sistematiche, narrazioni, comunicazioni, discussioni, decisioni. Questo lavoro è sicuramente parte del monitoraggio, ma alimenta anche la ricerca e la riflessione sul lavoro e sui suoi esiti, oltre a fornire a studenti in formazione un terreno di apprendimento e di esperienza. Infine, l’analisi di questi elementi costituisce anche una opportunità di incontro tra persone che nell’offerta formativa operano con studenti diversi ed a livelli diversi. In generale, l’offerta formativa in carcere presenta gli stessi problemi di relazione che presenta nella società, con analoghi bisogni di comunicazione con l’esterno, di creazione di opportunità di esperienze, costruzione di percorsi differenziati e flessibili. Il nostro progetto è partito dal concentrarsi sui compiti specifici dell’università e verrà aprendosi a nuove esperienze ed a nuove relazioni: per questo la didattica universitaria ha assorbito fino dall’inizio la quasi totalità delle nostre risorse. Oggi è nelle condizioni di sviluppare relazioni più ampie.
Valutare la didattica, come qualunque altra attività, comporta l’assumere diversi punti di vista propri degli attori del processo (docenti, studenti, personale della struttura, pubblico a contatto, eventuali destinatari esterni come nel caso delle attività mediche, altri soggetti esterni che contribuiscono alla didattica come nel caso dei tirocini e degli stages o enti finanziatori); comporta altresì l’individuazione dei singoli elementi da considerare (orientamento e tutorato, diversi tipi di attività didattiche, verifiche ed esami) e, infine, il sistema di relazioni che si sviluppa. Se possiamo convenire sul fatto che per didattica intendiamo un complesso di azioni finalizzate all’apprendimento in termini cognitivi, esperienziali, pratici e comunicativi, rivolti a persone inserite in un programma più o meno lungo, destinato, di solito ma non esclusivamente, all’acquisizione di conoscenze, competenze ed abilità da spendere in attività lavorative, espressive e relazionali, la valutazione dovrà fornire un’analisi il più attenta possibile del grado e delle modalità di realizzazione dei programmi previsti, tenendo conto di quanto nel tempo si è consolidato in termini di conoscenza. Nel nostro caso, data la novità dell’impostazione, possiamo cercare innanzitutto di cogliere il modo in cui la didattica si è realizzata e come essa metta in pratica il mandato ricevuto ed accolto. Valutare la didattica in un contesto come il nostro comporta quindi l’individuazione prioritaria dei suoi elementi e dei suoi processi, senza dimenticare mai, come già detto, che questa esperienza pone di per se il confronto con un obiettivo, quello del cosiddetto trattamento, rispetto al quale la posizione dell’università può concordare, distinguersi in tutto o in parte, elaborare risposte diverse da quelle attese, individuare strategie alternative, impostare programmi di ricerca. Si potrebbe dire che l’università deve saper adottare il punto di vista del suo interlocutore, riflettendo su come reagirebbe lei stessa di fronte ad un’istituzione che immettesse all’interno delle attività di ricerca, didattica e formazione qualcosa di diverso: i sistemi umani hanno delle reazioni difficilmente prevedibili, e non è scontato che una decisione legittima, persino doverosa, dia gli esiti voluti e previsti. Possiamo cominciare col dire che l’attività di insegnamento in ambiente penitenziario propone sostanziali modifiche rispetto alla didattica in ambito universitario. È banale dirlo, ma contrariamente a quanto avviene "fuori", dove lo studente si sposta verso la sede universitaria trovandovi il docente, qui sono proprio i docenti ed i tutors a spostarsi verso gli studenti, almeno fino a che questi non siano in grado di muoversi più liberamente (esito anche del programma stesso). La sede carceraria pertanto diviene sede universitaria soprattutto grazie al costituirsi e allo svilupparsi di una relazione didattica tra insegnanti e studenti. Il progetto, specialmente se considerato nella sua applicazione presso la sezione di media sicurezza di Prato, consegna una serie di modalità didattiche molto diverse rispetto a quelle per così dire ordinarie e generalmente realizzate nelle diverse facoltà. La classica "didattica frontale", ad esempio, viene meno, sia per l’assenza dei numeri che la richiedono, sia per la periodicità delle lezioni. Il docente può organizzare una presenza che va dall’incontro settimanale all’incontro quindicinale e, generalmente, si trova dinanzi un gruppo ristrettissimo di studenti o, addirittura, un solo studente. Ora, questa situazione si attaglia sicuramente meglio ad una didattica seminariali con forti interazioni dirette, attraverso la quale si privilegiano di più il colloquio, il dialogo. In qualche misura allora la lezione si piega verso una più o meno intensa attività di tutorato. Nel passaggio da una "didattica frontale", maggiormente centrata sulla trasmissione di determinati saperi disciplinari, ad una "didattica circolare", aperta al dialogo, al commento, alla discussione, al feedback, scatta la possibilità di adeguare l’offerta didattica ai bisogni formativi individuali, a quello che comunemente viene definito come il processo formativo individuale. Paradossalmente le condizioni di coazione determinate dal carcere: nell’uso del tempo, nell’uso dello spazio, nello sviluppo delle relazioni, produce un setting formativo più definito di quanto non lo sia all’esterno, che però è più frutto delle condizioni che non della scelta: prova ne sia la situazione che si crea nel caso di uscita in misura alternativa. Qui le specificità non possono essere ridotte a facili generalizzazioni, ma devono assolutamente rimanere tali, perché basilari per la costruzione di un’offerta formativa efficace. A supporto di questo, senza tirare in ballo gli elementi di contesto che pure sono importantissimi, è sufficiente ricordare solo alcune delle variabili che possono entrare in gioco: disabitudine allo studio, "storie d’istruzione" interrotte, presenza di stranieri con difficoltà nella comprensione dell’italiano e con caratteristiche socio-culturali diverse. Il contesto penitenziario dunque chiama a ripensare e a ricollocare le strategie didattiche e formative, valorizzando modalità molto sensibili ai percorsi individuali. Le attività di docenza, dopo un primo periodo di incertezza e di non completa copertura per tutti i corsi di laurea attivati, stanno progressivamente andando a regime, supportate da iniziative di tutorato, anch’esse suddivise per area disciplinare. Tali attività si differenziano non solo in rapporto alla numerosità, ma anche agli ambiti di studio e agli obbiettivi delle singole fasi di studio. Nel primo periodo di realizzazione del progetto la definizione di queste modalità è stata lasciata all’autonomia di ogni singolo docente; la novità della situazione ha richiesto che ciascuno mettesse a fuoco il suo compito, lo rendesse compatibile con il suo normale lavoro (cadenza, orari), definisse tempi di apprendimento ecc. In questo processo di definizione s’inserisce anche l’azione di tutorato, che solo in parte si sovrappone a quella immaginata nell’università, nel senso che la relazione personale fa del tutor al tempo stesso un sostegno allo studio e un collegamento essenziale con il corso di laurea e con la segreteria del progetto: verso il primo per individuare, insieme al docente, i colleghi del corso di laurea da attivare successivamente, a definizione dei programmi e delle bibliografie, i momenti di incontro; verso la seconda, collegata con il volontariato, l’acquisizione di mezzi di lavoro (libri e altro materiale, dispense, programmi e bibliografie etc.). Il tutorato completa quindi l’azione del docente e, quando si tratti di persone particolarmente esperte, la integra in accordo con il docente stesso. Questo lo schema che sta prendendo forma: la realtà dei diversi corsi di laurea è stata però molto differenziata, polarizzandosi tra situazioni in cui lo schema si è costruito più facilmente, e situazioni in cui ci sono state molte difficoltà. Per valutare questa situazione è necessario tener conto di variabili che ci dicano in quali corsi sono maggiori le difficoltà di creare il primo contatto, di costruire una regolare comunicazione, di assicurare continuità, di reperire e mettere in attività una figura di tutor (torneremo su questo punto). Nella costruzione del primo contatto pesano variabili come l’esistenza di un delegato di facoltà attivo e reperibile, l’attivazione del primo gruppo di colleghi quando vi sia il primo iscritto, la necessità, col nuovo ordinamento e data la numerosità dei corsi di laurea, di individuare delle figure specifiche per corso di laurea triennale, la motivazione e l’interesse che spingono chi si assume un compito come questo; per altro verso pesano le condizioni soggettive del detenuto che decide di iniziare il percorso universitario, tanto dal punto di vista personale che di competenze possedute che di condizioni di detenzione. Come si vede, la numerosità e la differenza qualitativa di queste variabili comporta molte difficoltà di individuare nessi con il processo e gli sviluppi del lavoro didattico, senza trascurare il fatto che lo status di numerosi studenti detenuti è mutato, nella prima fase di lavoro, spesso senza possibilità di programmazione di alternative (trasferimenti improvvisi, oggi per fortuna superati, accesso a misure alternative - detenzione domiciliare, sospensione della pena per motivi di salute, trasferimenti a seguito di vicende interne, passaggio alla possibilità di permessi per le lezioni). Si potrebbe dire che l’attività didattica, e in particolare la docenza, sottostanno ad un’altissima contingenza derivante dal docente, dal detenuto, dall’organizzazione. A tre anni dall’inizio, siamo nelle condizioni di aver osservato queste situazioni, cercando di adottare delle soluzioni, raramente facili. A dimostrazione di questo sta il fatto che gli immatricolati dell’anno in corso hanno avuto la possibilità di partecipare al bando per le borse di studio, mentre sono stati penalizzati quegli studenti che avevano iniziato negli anni precedenti, a causa del fatto che l’avvio delle attività didattiche era stato lento, impedendo quindi loro di acquisire i crediti necessari per partecipare al bando. La decisione dell’Azienda regionale per il Diritto allo Studio Universitario di applicare agli studenti detenuti le condizioni di accesso previste per gli studenti disabili è stata una variabile che ha influito molto sia sui docenti che sugli studenti: maggiore attenzione da parte dei primi, che ritrovano una condizione nota nell’università, maggiore pressione da parte dei secondi che aggiungono, alle finalità dello studio, anche quella di ottenere dei benefici economici. Le pressioni degli studenti sono un’altra variabile qualitativa da considerare, dal momento che essa si presenta con differenti connotazioni, tutte da interpretare. È comunque interessante osservare come l’ambiente penitenziario, dal punto di vista del nostro progetto, si presenti come un ambiente ad altissima contingenza, il che richiede ai docenti una crescita di attenzione ed un costante impegno. A supporto della didattica e dello studio personale degli studenti hanno trovato spazio anche alcuni insegnamenti di base e l’avvio di una prima esperienza di teledidattica. Gli insegnamenti di base vengono ripetuti ciclicamente ed hanno ad oggetto l’apprendimento della lingua inglese, il consolidamento delle abilità informatiche e lo studio della lingua italiana. Quest’ultima attività intende supportare sia gli studenti stranieri che gli studenti italiani con gap linguistici nella produzione scritta ed orale. La teledidattica sarà inaugurata invece nel corso del 2003. Il progetto elaborato dalla facoltà di ingegneria ed avallato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - si colloca come ulteriore supporto allo studio dei detenuti presenti presso la sezione di media sicurezza di Prato e, in caso positivo, potrà essere esteso ad altri istituti. Il collegamento tra facoltà di ingegneria e sezione detentiva consentirà lo scambio di materiali didattici fra docenti e studenti di qualsiasi corso di laurea; tecnicamente quindi la sezione si collegherà esclusivamente con la facoltà di ingegneria, senza possibilità alcuna per i detenuti di accedere alla rete libera, così come previsto dalla normativa vigente. La teledidattica ed il servizio di tutorato costituiscono dunque due validi strumenti per un’efficace espletamento della didattica: la prima consente di mantenere aperto un canale costante di comunicazione tra studente e docente; il secondo contribuisce a mantenere una continuità didattica laddove la presenza del docente sia meno frequente o assente. Il tutorato acquisisce grande importanza specialmente se effettuato presso gli istituti diversi da Prato, dove la presenza dei docenti è generalmente più scarsa. In relazione alle attività pratiche o di laboratorio previste da taluni corsi di laurea, si sono evidenziate delle difficoltà legate all’impossibilità per il detenuto di prendervi parte. Questo tipo di ostacolo non è facilmente superabile ed attiene più genericamente alla frequenza delle diverse attività didattiche che non si possono realizzare all’interno del penitenziario. Il problema, pur essendo reale, deve essere considerato da due angolazioni, l’una riferita alla programmazione del percorso di studio personale, l’altra legata alla maturazione della pena. Per la pianificazione del programma di studio si dovrà tener conto ad esempio delle misure premiali o alternative alle quali il detenuto accede o potrà essere ammesso in seguito. Una studentessa ha seguito alcune lezioni grazie alla concessione di permessi orari, mentre in un altro caso lo studente ha ottenuto un programma per la semilibertà che teneva conto, tra le altre cose, dell’impegno di studio del soggetto. Ciò significa che la reale impossibilità per un detenuto di accedere ad un determinato corso di laurea è da verificare di volta in volta, e con l’ausilio degli operatori penitenziari e degli uffici di sorveglianza. Laddove risultino inapplicabili le misure che consentono al detenuto di frequentare l’università sull’esterno sarà l’intervento del delegato di facoltà ad orientare le scelte dello studente, applicando se possibile strategie che tendono a posticipare l’effettuazione di quei corsi che richiedono l’obbligo di frequenza. Torna ancora una volta la necessità di immaginare per ciascun caso un’offerta formativa ad hoc. Ciò vale anche per gli studenti che si trovano in area penale esterna (semilibertà, affidamento in prova etc.) per i quali l’attività didattica torna ad essere quella ordinaria, cioè quella praticata normalmente nelle sedi accademiche. Tuttavia, anche in tal caso, allo studente restano due supporti: il delegato di facoltà o di corso di laurea ed i tutors. Nella delicata fase del reinserimento il delegato di facoltà continua a rappresentare il più importante punto di riferimento per la prosecuzione degli studi, mediante il quale, se la situazione lo richiede, potrà essere valutata anche l’attivazione di una specifica azione di tutorato. L’elevata contingenza della situazione sin qui descritta, rende problematica anche la valutazione dei risultati, dovendosi misurare con molti eventi (anche apparentemente minori); al di là dei due obiettivi generali definiti come avanzamento negli studi e sviluppo delle relazioni di inserimento o reinserimento sociale, si deve tener conto anche di vicende personali, che ci sono note solo in piccola parte. Veniva rilevato, di recente, il nesso tra uso di psicofarmaci ed impegno negli studi, nel senso che quest’ultima condizione si presentava come causa della diminuzione forte nell’uso di quel tipo di farmaci. Non disponiamo di nostre e specifiche evidenze empiriche in questa direzione, ma se questa relazione fosse confermata (o direttamente sulla popolazione carceraria interessata nel carcere di Prato o indirettamente da studi già consolidati), mostrerebbe come questo esito sia condizione per il primo obiettivo e rappresenti un risultato importante per le condizioni del secondo. Lo stesso può dirsi a proposito della crescita dell’autostima o della ripresa di progetti interrottisi al momento del reato e della pena; lo stesso vale per la ricostituzione di legami familiari o con persone affettivamente importanti. Un’ultima dimensione da considerare riguarda il rapporto tra studio e relazioni all’interno del gruppo di studenti : considerando infatti la condizione di detenzione, la decisione di lasciare libertà di movimento nei locali della sezione ottava nell’arco della giornata, se da un lato facilita il lavoro dei docenti e degli studenti, rendendo possibile anche la combinazione dello studio con il telelavoro (nei periodi in cui questo è possibile, dall’altra crea però una situazione in cui è assolutamente necessaria la costruzione di relazioni cooperative a cui possono essere di ostacolo sia le vicende carceraria, sia le vicende interne al gruppo stesso. Come si vede, è ancora lontano il momento in cui potremo proporre uno studio sistematico dei diversi aspetti che caratterizzano l’evolversi della situazione: per il momento, possiamo rilevare come in questa direzione ci sarebbe bisogno del coinvolgimento di colleghi competenti su specifiche questioni: il che è come dire che al lavoro didattico e a questo primo monitoraggio che ha definito alcune condizioni generali, dovrebbe seguire uno specifico progetto di indagine che potrebbe essere promosso proprio dall’università in accordo con gli studenti e l’amministrazione penitenziaria.
Il tutorato riprende e ripropone, formalizzandolo, un insieme di attività tradizionalmente presenti in modo informale e, in qualche caso, formalizzato, come nel tirocinio formativo: la funzione di relatore nelle tesi di laurea si è configurata da sempre come una sorta di tutorato, nel senso di un rapporto che si avvia quando ormai la selezione tra gli studenti è compiuta e chi si avvicina alla fine degli studi può essere seguito in un lavoro personale. Ne si deve pensare che l’università di massa abbia fatto scomparire questo tipo di relazione. Il tutorato rappresenta una modalità di riprendere, generalizzare a tutti gli studenti e per tutte le fasi dei loro studi, una relazione personale che li sostenga, li orienti, risolva dei problemi. Se questo è vero per l’università in generale, lo è ancora di più in un progetto come il polo universitario penitenziario. All’inizio questa funzione era come contenuta nel rapporto che i docenti instauravano: successivamente, con l’ampliarsi della domanda e con lo sviluppo degli studi, oltre che con l’accresciuta offerta di percorsi formativi con le lauree triennali, è diventato evidente che solo l’attivazione di un’azione di tutorato costante e massiccia avrebbe permesso di mantenere i contatti e di qualificare il lavoro. Questo anche perché i docenti hanno visto crescere, in questi ultimi anni, il loro impegno didattico. Ai fini della valutazione, l’esistenza, la continuità e la qualità de tutorato costituiscono delle variabili importanti. L’anno accademico in corso, segna un’importante novità, perché l’università di Firenze ha incluso gli studenti in stato di detenzione ( quindi anche coloro che si trovano in area penale esterna), fra le categorie di studenti svantaggiati, attivando così la procedura per le borse di studio e per una forma di tutorato soprattutto nel senso del sostegno necessario per seguire il corso di studi. La decisione rende evidente il riconoscimento della condizione di svantaggio, ma, al tempo stesso, richiede un’applicazione coerente con la condizione effettiva di questi studenti, che non hanno tanto la necessità di un sostegno per l’accompagnamento in vista della frequenza, quanto piuttosto di un sostegno che si saldi all’azione dei docenti garantendo la continuità e fungendo da legame costante per varie esigenze. Con delibera del novembre 2002, il Senato Accademico rimette alle facoltà il compito di valutare ed attivare gli specifici interventi attingendo ai fondi destinati al tutorato e stanziati per ciascuna facoltà. La decisione non si occupa ancora esplicitamente degli studenti presso gli istituti penitenziari, numericamente maggioritari, tuttavia individua una prima soluzione per la categoria degli studenti in area penale esterna. La decisione è stata assunta in questi termini perché l’appoggio degli enti sostenitori ci permette, per ora, di affrontare l’intervento all’interno degli istituti. Ai fini della valutazione complessiva questa decisione è importante perché segnala la progressiva inclusione di questi studenti nell’università, in direzione di quella "ordinarietà" di cui si parlava all’inizio di queste pagine. Sino ad oggi tutti gli interventi di tutorato sono stati assicurati dalle associazioni di volontariato che partecipano al progetto, le quali hanno attivato le diverse figure grazie ai fondi messi a disposizione dalle Fondazioni Cassa di Risparmio di Firenze e Cassa di Risparmio di Prato. L’intervento dell’università si aggiunge dunque a quello gestito dalle associazioni, nella prospettiva di far fronte più efficacemente alle esigenze degli studenti. D’altra parte nel triennio è aumentato il fabbisogno complessivo a causa del progressivo aumento del numero di studenti in area penale esterna e della moltiplicazione dei corsi di laurea introdotta dalla riforma degli ordinamenti didattici, che ha contribuito a produrre nuove discipline e nuove competenze, non sempre gestibili da un unico tutor. L’attivazione dei tutors avviene sulla base di un’effettiva necessità di sostegno evidenziata dallo studente o dai docenti che ne seguono la formazione e può riguardare una singola materia o un’area disciplinare. Il servizio può essere attivato per un solo studente o per gruppi di studenti che portino avanti programmi di lavoro analoghi. Normalmente il reclutamento dei tutors è coordinato dal delegato di facoltà, ad esclusione dei tutors selezionati dalle facoltà, per i quali vige una specifica normativa.I tutors attivati nel triennio ammontano complessivamente a circa 27 unità e generalmente corrispondono a studenti universitari, laureandi e neo laureati, in qualche caso a volontari o insegnanti. Come già detto questi tutors operano grazie ai fondi degli enti sostenitori o come volontari. A partire dal 2003 il trattamento economico di questi tutors è stato uniformato al trattamento praticato dalle facoltà per il medesimo servizio, in modo tale da non creare disparità fra tutors impegnati nello stesso progetto, ma reclutati in modo diverso a seconda del loro impegno all’interno o all’esterno del carcere. Per entrambe le tipologie di tutors è previsto un momento di informazione finalizzato a sviluppare un miglior approccio ai contesti carcerari ed ai vissuti degli studenti detenuti. Le caratteristiche del progetto di studi per i detenuti fanno sì che l’attività di tutorato possa essere immaginata come un servizio che può essere svolto sia per decisione volontaria gratuita, sia con un modesto compenso. In futuro, attività come queste potrebbero costituire un lavoro d’impegno civile, secondo l’espressione di Ulrich Beck, un lavoro auto-organizzato, con motivazioni solidaristiche, in cui impegnare risorse di diversa provenienza, pubblica e privata. In questo modo può essere letta l’esperienza, appena iniziata, di un’associazione studentesca, Ingegneri senza frontiere, che da poco svolge un’azione di tutorato nelle discipline ingegneristiche e scientifiche. Il tutorato è certamente un punto nodale del progetto; l’inefficacia o l’inappropriatezza del quale produce effetti negativi sull’intera attività didattica. Il panorama che si sta delineando è quello di un intervento integrato, che vede da un lato i tutors attivati direttamente dalle facoltà a favore degli studenti che possono frequentare liberamente le sedi accademiche, e dall’altra i tutors attivati col sostegno degli enti sostenitori e generalmente impiegati negli istituti penitenziari. A queste tipologie si aggiunge l’esperienza degli studenti di ingegneria, che in maniera trasversale supporta gli studenti in misura alternativa e quanti si trovano ancora in stato di reclusione. Queste azioni devono certamente trovare momenti di forte coordinamento, per il quale il delegato di facoltà o il delegato di corso di laurea, qualora venisse istituito, sembrano rappresentare un punto di riferimento essenziale, in grado, insieme alla segreteria interna del progetto, di programmare ed articolare gli interventi in tal senso. Possiamo concludere ponendo l’accento su almeno due linee di possibile sviluppo. Il servizio di tutorato otterrebbe un’ulteriore spinta se l’università avviasse degli interventi anche per gli studenti in carcere, così come ha fatto per quanti si trovano in area penale esterna. Certamente l’attività presupporrebbe impostazioni diverse rispetto al sevizio ordinario, ma a partire da quanto già realizzato a favore degli studenti disabili nell’ateneo fiorentino, non credo sarebbe difficile organizzare delle attività specifiche finalizzate al soggetto recluso. Quest’operazione avrebbe il merito di ricondurre tutti gli studenti del polo universitario alle politiche di sostegno generalmente applicate dall’ateneo, mantenendo comunque le dovute differenziazioni per quanti si trovano in condizioni o contesti del tutto particolari. In seconda battuta penso alle potenzialità espresse dagli studenti dell’ateneo. Probabilmente, una parte consistente del tutorato in carcere potrebbe essere sviluppata proprio grazie ad un impegno degli studenti "liberi", come forma d’impegno civile, gratuito nel senso della disponibilità, con un modesto compenso nel senso del riconoscimento. Dal punto di vista della valutazione del progetto, il tutorato esalta la funzione dell’incontro tra persone all’interno e all’esterno del carcere: probabilmente, ai fini dell’esperienza formativa dei giovani sui temi della marginalità sociale, è molto efficace un’esperienza di contatto in un’azione di tutorato, dove la conoscenza delle persone e dei loro bisogni permette di prendere coscienza degli stereotipi correnti e di verificare la possibilità di ricostruire legami sociali che il reato e la pena hanno compromesso.
Lo svolgimento della didattica e del tutorato è accompagnato da un’opera di orientamento alla quale generalmente assolve il delegato di facoltà o di corso di laurea, a cui lo studente si rivolge per capire come procedere, quali esami sostenere, come impostare il proprio percorso. Quest’attività è contestuale alla didattica (in quanto non si esaurisce con l’iscrizione) e si sviluppa durante il corso degli studi, soprattutto nella sua fase iniziale. Ai fini della valutazione del progetto l’assoluta necessità dell’orientamento risulta evidente, basti pensare alla condizione di chi debba scegliere un corso universitario senza disporre di informazioni, né di quelle accessibili in rete, né di quelle provenienti da contatti con persone, con l’unica eccezione dei detenuti che abbiano conseguito in carcere il diploma di scuola superiore e che siano stati seguiti dai loro insegnanti. Rispetto all’orientamento che normalmente si svolge nell’università ed in occasioni comuni tra università e scuole superiori, la situazione del detenuto presenta innanzitutto il problema di inquadrare una o più opzioni nella sua condizione, con il residuo di pena dato, con l’opportunità di misure alternative, con le attese personali e familiari, con la maggiore o minore difficoltà di inserimento in un lavoro o attività professionale. Per questa ragione l’orientamento non può essere compito esclusivo dell’università, ma deve necessariamente coinvolgere operatori penitenziari ed altre persone che intrattengano col detenuto un rapporto durevole, in particolare figure di tutori (nel senso giuridico del termine) o altre persone significative come, nel caso almeno degli imputati, gli avvocati. Le variabili osservabili in questo processo sono l’estensione, l’intensità del reticolo personale di relazioni e la loro frequenza; il livello di coinvolgimento di insegnanti, volontari, operatori penitenziari; la diffusione regolare di informazioni sulle opportunità formative disponibili. Una prima importante attività di orientamento la troviamo nella fase dell’iscrizione universitaria. Generalmente la persona che manifesta la volontà di iscriversi può contare su due momenti di orientamento: il primo di carattere più generale e funzionale alla raccolta della domanda di iscrizione ed il secondo, specifico, e diretto ad orientare verso un’area di studio. Le iscrizioni avvengono in linea di massima con il seguente iter: la domanda di iscrizione universitaria e di inserimento nel progetto viene raccolta dal carcere di Prato o dalla segreteria del progetto. Quest’ultima, coordinata direttamente dal delegato del rettore per il polo universitario penitenziario, pensa ad effettuare un primo incontro con quanti hanno fatto domanda; il colloquio ha il compito di verificare le caratteristiche della domanda e di fornire un’informazione circa l’offerta universitaria ed il funzionamento del progetto. Questo momento di orientamento rappresenta anche il primo contatto tra università e detenuto. Nella pratica questa fase avviene tra il luglio ed il settembre ed ha luogo presso gli istituti dove si trovano i detenuti che chiedono l’iscrizione. Tra il settembre e il novembre si svolgono invece gli orientamenti specifici tenuti direttamente dai delegati di facoltà o da altri docenti. Questi colloqui non hanno avuto un andamento regolare nel primo triennio, non sempre i docenti hanno raggiunto i detenuti nei rispettivi carceri, e dunque il colloquio è slittato ad un momento successivo all’inserimento del detenuto nella sezione di Prato. Al di là dell’iscrizione universitaria - diritto di cui il soggetto può fruire liberamente ed autonomamente - l’inserimento nel polo universitario penitenziario e l’eventuale inserimento presso la sezione di media sicurezza di Prato è decisa dal Comitato didattico - organizzativo del progetto. L’organismo decide gli inserimenti nell’iniziativa dopo il primo colloquio e prima del termine di scadenza delle iscrizioni, cercando nei limiti del possibile di dar risposta a tutte le domande. Nella valutazione delle domande il Comitato segue alcuni criteri di ammissione; mentre la posizione giuridica e il fine pena non costituiscono un ostacolo all’inserimento nel progetto, lo costituisce la provenienza da carceri extraregionali, in quanto l’iniziativa si rivolge a soggetti detenuti nelle carceri toscane. In via straordinaria e soprattutto per l’esistenza di spazi disponibili presso la sezione di Prato, sono stati accolti anche alcuni detenuti da altre regioni. Fra i criteri per l’inserimento nel progetto vi è poi quello della continuità didattica: hanno infatti la precedenza quei detenuti che si sono diplomati in carcere e nell’anno di iscrizione. Nella valutazione viene considerato anche l’andamento della carcerazione e in tal senso il Comitato acquisisce il parere degli operatori penitenziari, in quanto le direzioni degli istituti non perdono alcuna delle loro prerogative. Le fasi di valutazione della domanda, di inserimento nel progetto e di iscrizione presentano però un punto debole. Nel triennio non si è riusciti a costruire un legame permanente tra scuole superiori interne e sistema universitario: un maggior scambio tra insegnanti delle scuole superiori e referenti universitari consentirebbe di anticipare ed ottimizzare le fasi di orientamento universitario, oltre ad affinare le opzioni degli studenti. Spesso i soggetti manifestano un certo disorienta mento nella scelta universitaria, dovuto anzitutto ad una scarsa informazione. La partecipazione della scuola semplificherebbe anche le operazioni di valutazioni della domanda, presentando uno studente che ha già un percorso di studio conosciuto. Ma c’è di più, in quanto verrebbe probabilmente valorizzato l’accesso al polo universitario di coloro che hanno appena terminato gli studi superiori. La costruzione di un rapporto con le scuole superiori che operano nel sistema penitenziario regionale merita davvero molta attenzione. Scuola ed insegnanti possono realmente sostenere gli studi universitari, integrando l’opera dei docenti universitari. Le forme di questa collaborazione devono certamente essere studiate, ma esistono già degli esempi positivi. Presso l’Istituto di Massa vi sono attualmente 5 iscritti all’università di Pisa che, grazie all’opera di alcuni insegnanti (volontari e non) attivi presso quell’istituto, portano avanti gli studi. Gli insegnanti sviluppano un lavoro di tutorato e mantengono uno stretto contatto con i docenti universitari di riferimento. Le fasi di primo orientamento e di iscrizione sono state curate di fatto da questi insegnanti. Un buon rapporto con le scuole produrrebbe effetti anche sull’andamento del progetto universitario nel suo insieme, sia all’inizio, sia nel suo sviluppo. Questa sinergia favorirebbe innanzitutto gli studenti che non vengono trasferiti a Prato. L’integrazione fra insegnanti, docenti e tutors potrebbe di fatto dar vita a nuclei di universitari in diversi istituti, sull’esempio di quanto successo a Massa. Peraltro questa strada potrebbe risultare obbligata qualora la sezione di media sicurezza di Prato si saturasse e l’amministrazione penitenziaria non fosse in grado di aprire altre sezioni finalizzate agli studi universitari. In questa prospettiva le sezioni in corso di apertura presso la Casa Circondariale di Pisa e la Casa di Reclusione di San Gimignano rappresentano un’utilissima opportunità. Le iscrizioni vengono coordinate dalla segreteria interna del progetto in stretta collaborazione con le segreterie studenti dell’università di Firenze. La segreteria interna ricompone ed ordina tutte le domande di iscrizione, sostituendosi in molti passaggi allo studente che non può rivolgersi autonomamente agli sportelli universitari. La medesima segreteria segue ed accompagna la formalizzazione dell’iscrizione eseguita dalle segreterie studenti dell’università. Le procedure amministrative sono a tutt’oggi piuttosto faticose e spesso richiedono più tempo di quello normalmente previsto. Il recupero della documentazione necessaria all’iscrizione e le difficoltà delle segreterie nell’inserimento di una tipologia nuova di studenti, con caratteristiche di accesso parzialmente diverse dagli altri, crea ancora qualche difficoltà. L’inserimento nel polo universitario, sia per gli studenti che studieranno a Prato, sia per coloro che resteranno negli istituti di provenienza, dà diritto ad alcuni vantaggi. L’ateneo fiorentino, tenendo conto dei disagi economici in cui versa la maggior parte dei detenuti, ha ridotto la tassa universitaria annua alla sola quota di competenza ministeriale, rinunciando interamente alla propria parte. Dall’altro lato le quote di competenza regionale sono state coperte per il primo triennio mediante contributi una tantum erogati ad personam dall’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Firenze, riducendo ancor più il carico fiscale dovuto per l’iscrizione. Le strutture universitarie, ed in particolar modo le segreterie, devono ancora perfezionare le procedure di accesso di questa particolare categoria; i sistemi di gestione informatizzata degli studenti, ad esempio, non comprendono ancora lo studente detenuto e pertanto gli inserimenti devono essere fatti separatamente. Questi problemi saranno sanati via via che il progetto si consoliderà, tuttavia si rileva la necessità di un maggior livello di informazione sull’esistenza ed il funzionamento del progetto. La mancanza o la scarsità di informazione è un problema che tocca allo stesso modo parte delle strutture didattico - amministrative dell’università e delle aree funzionali attraverso cui si organizza il carcere. Negli A.A. 2000-2001 e 2001-2002 il Senato Accademico ha consentito l’accesso degli studenti detenuti a tutti i corsi universitari a numero programmato, permettendone l’iscrizione in soprannumero. La concessione non riguardava chiaramente quei corsi i cui contingenti vengono stabiliti direttamente dal Ministero. Di questa possibilità hanno beneficiato di fatto pochissimi studenti, ma l’apertura era sicuramente da collegare alla volontà di incentivare la libera scelta da parte degli studenti e alla consapevolezza che detti studenti non avrebbero impegnato le strutture universitarie. A partire dall’A.A. corrente si è convenuto che, salvo eccezioni, lo studente detenuto dovesse partecipare ai test di ingresso, fatta salva però l’autonomia delle facoltà di proporre comunque l’iscrizione a fronte della rilevanza che per la persona detenuta può avere lo sviluppo della propria formazione. Per molti aspetti la decisone complica la vita al detenuto, ma per altri valorizza ancora una volta l’idea di ricondurre questa esperienza di studio alla normalità, alle politiche ordinarie dell’università. Ciò rimarca però la necessità di un collegamento con le scuole superiori interne e di un’anticipazione delle attività di orientamento e tutorato dell’università, in modo da supportare la preparazione degli studenti per il test di accesso. Al termine di questi primi tre anni e considerando gli sviluppi delle modalità di accesso, le variabili di legame con la scuola superiore, di attivazione dei docenti e degli operatori penitenziari, di preparazione delle prove di accesso, rendono l’orientamento sempre più importante e da organizzarsi con precise scadenze. Così com’è necessaria l’azione dei docenti universitari, altrettanto importante è l’orientamento che può essere fatto dagli operatori degli istituti rispetto all’organizzazione del polo universitario: si tratta infatti di un passaggio che può portare cambiamenti rilevanti nella situazione del detenuto. Poiché l’università di Firenze ha avviato, dal 1998, un servizio di consulenza psicologica, sarebbe importante attivarlo anche in direzione degli studenti detenuti e segnatamente per il carcere di Prato.
L’espressione "contratto formativo" segnala una dimensione di reciprocità che in carcere assume molti significati anche a causa della connessione, già segnalata, tra gli obiettivi di studio e quelli del cosiddetto trattamento. Difficile dire se siamo di fronte ad un contratto "a tre", università – carcere – detenuto, in cui l’università si attiva per gli studi del detenuto con l’assenso del carcere che si aspetta un comportamento rispettoso delle regole dell’istituzione carceraria stessa. Il protocollo d’intesa che ha dato l’avvio al progetto sembrerebbe escluderlo, in quanto si limita a richiamare i compiti istituzionali dei contraenti (Università, Regione, Amministrazione Penitenziaria). Tuttavia l’esperienza mostra gli inevitabili nessi che uniscono l’ingresso e la permanenza nelle sezioni dedicate agli studi universitari con il comportamento dei detenuti stessi, come ne fanno fede provvedimenti assunti in particolari circostanze. Difficile immaginare che non esista nessun rapporto tra il comportamento dei detenuti e il loro inserimento, in particolare, nella sezione di media sicurezza di Prato. Diversa la situazione dell’università, che ha liberamente deciso di assumersi la responsabilità di promuovere l’esperienza degli studi universitari come riconoscimento del diritto che una persona mantiene anche in condizioni di detenzione. Per queste ragioni solo nel caso dell’università si può parlare di un vero e proprio contratto formativo, nel senso di una reciprocità di impegno come avviene per tutti gli studenti. È da segnalare però la circostanza delle valutazioni comuni che vengono fatte con l’amministrazione penitenziaria e che fino ad oggi, sia pure tra difficoltà, hanno teso a rendere possibile l’espletamento dei compiti didattici di orientamento, di tutorato. Prova ne sia il fatto che nella sezione di media sicurezza l’apertura delle stanze di pernottamento si sviluppa nell’arco di tutta la giornata, è stata favorita l’esperienza del telelavoro, sono stati regolarmente discussi i problemi che si manifestavano. I bisogni formativi espressi dai detenuti rispondono ad una doppia dimensione, individuale e di contesto. I primi si riferiscono alla storia personale, ai vissuti del soggetto e si legano ad una serie di elementi che motivano la scelta universitaria. Il soggetto fa riemergere disegni personali abbandonati, progetti non completati, esigenze di acquisire nuovi strumenti culturali o, semplicemente, la volontà di impreziosire un tempo percepito come troppo vuoto. Si accompagnano a questi anche elementi pragmatici, del tutto comprensibili in ogni ambito sociale, come l’idea di migliorare le proprie condizioni di detenzione o di accelerare la concessione di misure premiali e alternative mediante il conseguimento di buoni risultati. Tutto ciò rientra in una sfera individuale che talvolta riesce ad orientare persino la scelta disciplinare. Questi bisogni hanno un’origine interiore e derivano da un’elaborazione molto personale. La dimensione contestuale del bisogno formativo si riferisce principalmente all’ambiente carcerario e all’insieme di relazioni che vi si sviluppano. Nella quotidianità del detenuto i tempi e gli spazi sono regolati, cadenzati, rapiti per così dire all’autonomia ed alla piena responsabilità del soggetto, a causa delle impostazioni securitarie dell’istituzione. In quel contesto si sviluppano anche le relazioni interpersonali, tra detenuti, delle relazioni tra detenuti e personale di polizia o civile, tra detenuti e soggetti della comunità esterna. Le coordinate spazio-temporali risultano allora profondamente legate al sistema carcerario, fino, in taluni casi, a dipenderne. La percezione e l’organizzazione del tempo, ad esempio, dipendono dai ritmi della struttura e in rarissimi casi si piegano alle esigenze soggettive. L’ambiente carcerario riverbera i propri effetti anche sulle relazioni interpersonali, conformandone talune a puri e semplici rapporti gerarchici o, peggio ancora, a rapporti di forza e, in ogni caso, influenzando le altre. Anche laddove i rapporti si sviluppano in maniera maggiormente collaborativa o semplicemente più distesa, restano in qualche misura vincolati alle prassi, agli orari, alle esigenze di sicurezza, ai luoghi del carcere, alle decisioni insindacabili della struttura. Pertanto contesti e relazioni incidono più o meno profondamente sui bisogni formativi individuali ed è facile pensare che ne condizionino gli aspetti più interiori e soggettivi. Del resto questo fenomeno è osservabile anche fuori dal carcere, anche se qui assume una pregnanza molto più spiccata. Il fatto di voler riprendere gli studi per dar seguito ad un progetto formativo interrotto nel passato, nella prospettiva di impegnare anche il tempo della carcerazione in modo costruttivo, è un bisogno che senz’altro attiene alla dimensione individuale. Ma a questa si sovrappone quella contestuale che reinterpreta il bisogno in chiave detentiva, alla luce per esempio delle stimolazioni allo studio ricevute dai compagni, dagli operatori, dagli insegnanti o dai volontari, del consenso ottenuto dalla direzione dell’istituto, delle effettive possibilità di studiare all’interno, degli ostacoli da superare ecc. Può accadere che il soggetto, dopo una valutazione di queste variabili, cambi addirittura la prima scelta disciplinare, pensando che un corso si attagli meglio che un altro alla dimensione-condizione carceraria. È opportuno dunque che l’offerta formativa sia costruita tenendo presenti entrambe le dimensioni, poiché l’una ha probabilità di spostare l’altra e viceversa. La costruzione dell’offerta universitaria si fonda quindi su una contrattazione formativa che, in prima battuta, si sviluppa attraverso la relazione tra docente e studente. Questo momento punta essenzialmente a tracciare un percorso di lavoro individuale a partire dai bisogni manifestati dal soggetto, sia quelli di natura individuale che quelli di natura contestuale. Vengono messe a punto le scelte, le modalità didattiche e di tutorato, i tempi di apprendimento, le verifica, gli obiettivi ed i traguardi da conseguire. In seconda battuta i livelli di contrattazione superano il rapporto docente - studente, andando ad interessare gran parte del sistema universitario e di quello carcerario. La relazione docente-studente si amplia ad una contrattazione formativa che pone dinanzi le strategie educative universitarie e le strategie trattamentali del carcere. Strutture ed attori delle due amministrazioni sono dunque chiamati ad interagire, nella prospettiva di rispondere ai bisogni formativi degli studenti detenuti, specialmente a quelli di natura contestuale. Questa dimensione contrattuale concerne il "mettere le condizioni per", il "costruire modalità di comunicazione efficace tra", il "prender coscienza dei diritti e dei doveri di", il riconoscere i "bisogni e le potenzialità espressi da". L’offerta formativa universitaria può sostenere o, in taluni casi, trainare l’azione trattamentale interna qualora vi sia un’effettiva interazione tra i due sistemi ed un coinvolgi mento pieno di tutti gli attori che vi partecipano. In questo triennio i passi compiuti in tal senso sono stati molti, ne sono un esempio l’apertura delle stanze di pernottamento per l’intera giornata e i periodici incontri di programmazione che si tengono tra gli operatori del carcere (direzione, area pedagogica ed agenti di polizia), referenti universitari e responsabili delle associazioni di volontariato. Rimangono tuttavia da perfezionare talune azioni che sono state tentate nel passato ma che non hanno ancora prodotto una reale integrazione delle prospettive, segnando qualche rallentamento nello sviluppo complessivo del progetto. Mi riferisco per esempio al contatto tra personale di polizia ed università. Le attività universitarie presso l’istituto di Prato, potevano inizialmente apparire come un carico di lavoro di difficile gestione per gli organici a regime presso quel carcere, già sottoposti ad un’alta pressione determinata dal sovraffollamento e dalle iniziative trattamentali correnti. Il diritto allo studio di alcuni si "scontrava", per così dire, col diritto di lavorare in sicurezza di altri. Il verificarsi pertanto di un "conflitto di interessi legittimi" ha dato origine in passato a resistenze al progetto di una parte, all’inizio maggioritaria, di agenti. Fortunatamente nel triennio i problemi di ordine organizzativo si sono progressivamente risolti, in virtù di un’adeguata articolazione dei servizi e della positiva condotta tenuta dagli studenti detenuti. Ma quel che conta oggi, al fine di individuare strategie comuni di intervento educativo è la "necessità di fare sistema", di creare le condizioni affinché i processi di "contrattazione formativa" tra sistema universitario e sistema carcerario producano azioni di senso ed un’offerta formativa di qualità, realmente centrata sui bisogni del soggetto. In tal senso i rischi da evitare sono sicuramente quelli della scarsa partecipazione del personale di polizia alla varie fasi del progetto e quelli di schiacciarne il loro coinvolgimento sulle sole questioni di sicurezza e di custodia. Gli agenti possono giocare un ruolo fondamentale rispetto alla "contrattazione formativa" subentrando come soggetti attivi sia dell’osservazione che del trattamento. Per far questo occorre lavorare in due direzioni, l’una che punta ad estendere l’informazione e la conoscenza del progetto e, l’altra, interessata ad avviare una riflessione sul ruolo e le competenze professionali degli agenti di polizia. Il progetto per essere efficace non può rimanere dominio di pochi - delle sole persone che detengono le responsabilità dirette nel carcere - ma deve essere socializzato, condiviso con gli operatori. Questo processo espone a dei rischi, forse a delle critiche o a degli insuccessi, ma se accompagnato da una riflessione seria sul sistema, sulle professionalità, sul senso delle attività, può generare anche nuove risorse. Sino ad oggi i tentativi di avviare una comune riflessione sul polo universitario penitenziario tra personale di polizia e referenti universitari non è decollato, ma resta ugualmente un’esigenza ineludibile alla quale, probabilmente, deve essere dato il tempo di maturare. Partendo dalle responsabilità che università e carcere hanno, in rapporto alle loro competenze, è necessario che interagiscano per sviluppare un’offerta di qualità. Nei limiti del possibile le diverse figure professionali del carcere, specialmente quelle educative, e le figure universitarie devono mantenere i loro specifici ruoli, evitando di sovrapporli o di scambiarli. L’attività di osservazione del detenuto ad esempio non compete all’università, ma agli operatori del carcere; ciò significa che un intervento dei docenti o dei tutors in tal senso risulterebbe improprio, creando disorientamento un po’ in tutto il sistema. È altrettanto vero che l’università sviluppa una propria osservazione sullo studente per quanto attiene all’andamento degli studi; pertanto, in una dimensione di reciproca interazione questi elementi, e non altri, possono essere assunti in una valutazione più complessiva dello studente detenuto. Il monitoraggio dell’avanzamento degli studi, delle presenze dei docenti, degli eventi che hanno segnalato l’esistenza di fratture nel gruppo o di conflitti con il personale di custodia ha mostrato l’utilità di una valutazione continua del senso che assumono eventi e comportamenti. Le variabili prevalenti da indagare sono il grado di realizzazione dei piani individuali di studio, il mantenimento della reciproca autonomia tra università ed amministrazione penitenziaria, le cause scatenanti di momenti, per fortuna rari, di elevata conflittualità, le modalità con cui detenuti ed agenti di polizia penitenziaria giocano i loro rispettivi ruoli con annesse argomentazioni; si tratta necessariamente di un lavoro qu-antitativo e qualitativo, nel senso che alla registrazione di fatti ed eventi deve corrispondere l’acquisizione del senso che i soggetti coinvolti vi attribuiscono. Qualcosa è già stato fatto, ma il grosso del lavoro è per il futuro.
L’insieme delle misure di accompagnamento e di sostegno ai percorsi formativi degli universitari si lega molto strettamente alla rete di supporto che in questi anni si è progressivamente costituita. Gli interventi che i diversi enti realizzano a favore degli studenti e del progetto nel suo complesso, derivano in buona parte dalle relazioni tra i partecipanti e dalla tenuta complessiva di questa rete. Propongo degli esempi in modo da ricostruire alcune attività di sostegno. La Regione Toscana è uno degli enti fondatori del progetto, la cui presenza conferma l’importanza e la natura istituzionale dell’iniziativa, conferendole quel valore di sistema che trova attuazione nelle analoghe iniziative degli atenei di Pisa e di Siena. In termini concreti la Regione Toscana, in collaborazione con l’università, contribuisce a sostenere il monitoraggio e le attività di valutazione del progetto, indagini essenziali per un’iniziativa sperimentale come questa. In relazione ai percorsi individuali degli studenti, la Regione ha promosso il coinvolgimento e l’intervento delle Aziende regionali per il Diritto allo Studio Universitario, le quali hanno elargito per l’intero triennio dei contributi una tantum finalizzati alla copertura delle tasse regionali dovute dagli studenti. Dall’A.A. 20022003 hanno inserito la figura dello studente detenuto nel bando per la concessione delle borse di studio. Contestualmente, in considerazione della particolare condizione di svantaggio di questo studente, le Aziende hanno anche adeguato i criteri di merito necessari per l’ottenimento della borsa, permettendo così agli studenti detenuti di poter partecipare al concorso, cosa che ha consentito a 7 degli studenti iscritti all’università di Firenze di ottenere una borsa di studio. Più recentemente l’Azienda ha potuto erogare alcuni contributi straordinari nel quadro degli ulteriori interventi generali di sostegno al diritto allo studio. Gli studenti vengono supportati anche dalle associazioni di volontariato che in modi diversi seguono i vari percorsi di studio. L’Associazione per il Volontariato Penitenziario si occupa di sostenere gli studenti in difficoltà attraverso la copertura delle tasse di iscrizione, l’acquisto dei libri, della cancelleria e delle attrezzature tecniche. Contribuisce poi all’attivazione dei tutors, degli insegnamenti di base e della teledidattica. Tutti questi interventi sono realizzati grazie ai contributi messi a disposizione dalla Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze, che sin dall’inizio ha appoggiato il progetto. I volontari dell’associazione sono altresì impegnati in attività di tutorato e nelle iniziative culturali e sportive per i detenuti. Nel triennio hanno avuto luogo alcune visite ai musei fiorentini ed una partita di calcio tra studenti detenuti e studenti del Centro Universitario Sportivo. Le attività sono state realizzate sul modello di quanto già accade presso l’ateneo fiorentino, rispetto alle iniziative culturali e sociali a favore di tutti gli studenti. Il progetto è sostenuto anche dalla Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Prato che, analogamente all’Ente fiorentino, interviene per supportare le situazioni di particolare indigenza degli studenti, gli insegnamenti di base, le attività di tutorato e la teledidattica. È certamente da rilevare l’esperienza di impegno civile realizzata dall’Associazione Ingegneri senza frontiere, impegnata dal 2003 nel sostegno degli studi tecnico-scientifici. L’iniziativa, oltre a rafforzare le azioni di tutorato, ha il pregio di avviare un più ampio scambio tra studenti universitari. Al progetto partecipa infine L’Altro Diritto, associazione da tempo impegnata in attività di consulenza extragiudiziale rivolta ai detenuti di molti istituti penitenziari della Toscana. L’associazione, in collaborazione con il Comitato didattico - organizzativo del polo universitario penitenziario, ha sostenuto ed appoggiato molte delle operazioni che hanno permesso la concessione del contributo da parte della Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Prato, nonché la realizzazione dell’esperienza del telelavoro. Grazie alla partecipazione di queste associazioni ed ai contributi messi a disposizione dagli istituti bancari diventa dunque possibile sostenere in maniera più puntuale anche gli studenti in area penale esterna e quei detenuti che non possono o non vogliono trasferirsi presso la sezione di media sicurezza di Prato. Per questi ultimi l’università non si è assunta un impegno formale, per quanto, nei limiti del possibile, tenti di attivare o mantenere un contatto tra docenti e studenti, ma com’è facile intuire tutto questo è rimesso alla disponibilità ed alle possibilità delle persone. A maggior ragione in questa situazione risultano fondamentali i tutors e l’attività di collegamento svolta dai volontari. Molto spesso sono proprio i volontari a divenire un punto di riferimento anche per gli studenti in area penale esterna, che allo studio assommano tutte le difficoltà derivanti dal loro percorso di reinserimento. Questo primo triennio ha registrato l’avvio di altre due iniziative a favore degli studenti detenuti, non direttamente legate ai percorsi universitari, ma sicuramente di supporto per la condizione detentiva. Com’è noto la possibilità di lavorare all’interno degli istituti penitenziari è molto ridotta e questa situazione genera una fortissima domanda di lavoro da parte di tutti i detenuti. Generalmente le condizioni economiche individuali sono estremamente sfavorevoli, e ciò contribuisce a spiegare perché si rendono necessarie le molteplici forme di supporto economico agli studi dei detenuti. Nel 2001 presso la sezione di media sicurezza di Prato è stato sperimentato il telelavoro, un’iniziativa professionale che ha coinvolto tutti gli studenti allora presenti nella sezione. Il Comune di Prato ha commissionato all’istituto la revisione degli archivi toponomastici della città, in vista del Censimento della popolazione previsto per l’ottobre del medesimo anno. Gli studenti detenuti hanno dunque corretto i dati direttamente sul formato elettronico, inviando il lavoro ultimato via rete, per mezzo di un collegamento tra Comune di Prato ed istituto penitenziario. Il collegamento non consentiva nessun accesso alla rete libera da parte dei detenuti. La sostanziale riuscita dell’esperienza di lavoro ha posto le condizione per una seconda iniziativa e, cioè, la costituzione di una cooperativa sociale di tipo B, denominata Pangloss, in grado di includere fra i soci lavoratori anche gli studenti detenuti. La cooperativa si è regolarmente costituita nel 2002 e punta a ripetere esperienze di telelavoro, con il Comune e la Provincia di Prato e con quanti siano interessati a commissionare lavori analoghi. In un prossimo futuro probabilmente diventeranno possibili anche inserimenti degli studenti in area penale esterna in quelle che l’università definisce come "attività a tempo parziale". Si tratta di forme di collaborazione degli studenti ai servizi offerti dall’università di Firenze, ed in genere riguardano: i servizi di orientamento ed accoglienza, i servizi di informazione e assistenza sull’utilizzazione della strumentazione, del patrimonio librario e di altre attrezzature di ateneo. Le attività a tempo parziale hanno visto un aumento costante delle richieste da parte delle unità amministrative universitarie, al quale è corrisposto un progressivo aumento degli stanziamenti annui dell’ateneo. L’ipotesi quindi di una possibile partecipazione degli studenti in area penale esterna a tali attività può forse essere percorsa ed avere effetti positivi anche sull’andamento degli studi di questi soggetti.
Sicuramente non è semplice parlare dei risultati conseguiti dal progetto nell’arco di questo triennio: l’attività di valutazione ha bisogno di tempi piuttosto lunghi per individuare ed elaborare tutte le variabili che entrano in gioco e, ad oggi, si è in grado di evidenziare soltanto un insieme di esiti di percorso. Nell’elaborazione del testo ho cercato di ricomporre questi esiti attorno a tre nuclei principali: le persone coinvolte, l’offerta formativa e la rete di riferimento del progetto. Questo primo rapporto deve essere letto come un lavoro di valutazione sull’intero progetto e non soltanto sull’andamento dei percorsi formativi degli studenti. Questo aiuta a comprendere il perché si è scelto di inserire i dati sugli esami sostenuti dagli studenti alla fine. Ho ritenuto infatti che gli esami rappresentino soltanto uno dei risultati del progetto, forse il più visibile, ma certamente il frutto di un processo ben più complesso. L’analisi di questo processo fornisce una serie di elementi che attestano la complessiva tenuta e la sostanziale positività del polo universitario penitenziario, il che conferma anche l’opportunità di procedere in questa direzione. I dati sulle persone coinvolte informano su una progressione delle iscrizioni universitarie e su un costante allargamento della partecipazione dei docenti e dei tutors. Il coinvolgimento di questi ultimi, assieme all’azione del volontariato, evidenzia che la scelta di prender parte all’iniziativa è spesso connessa con le sfere della sensibilità personale o dell’impegno civile. In questo triennio è emerso frequentemente un intreccio delle motivazioni professionali con quelle più personali, tale da creare stili di lavoro diversificati, ma convergenti nella volontà di supportare lo studio dei detenuti e di creare un legame tra carcere ed università. Il progetto ha posto degli interrogativi anche per l’università. Il contesto carcerario ha infatti proposto una situazione di marginalità che ha richiesto una revisione delle strategie formative e didattiche. Le storie di vita, i contesti penitenziari, la percezione dello spazio e del tempo da parte dei detenuti e le caratteristiche della domanda universitaria, hanno mostrato l’esigenza di individuare approcci didattici diversi, attenti ai bisogni formativi individuali e centrati sulla relazione studente - docente. Dall’altro lato l’introduzione degli studi universitari ha posto interrogativi per l’amministrazione penitenziaria, riguardo soprattutto alla predisposizione delle attività trattamentali interne. La realizzazione di un trattamento penitenziario in grado di valorizzare le caratteristiche dei percorsi individuali si lega infatti sia alla capacità di comunicare tra sistema carcerario e sistema universitario che alla partecipazione di tutti quei soggetti che interagiscono nelle attività di osservazione e trattamento del detenuto. La rete di riferimento del polo universitario ha subito una duplice articolazione, si è allargata dal punto di vista dei soggetti coinvolti ed ha affinato le prestazioni, le competenze ed, in generale, il tipo di apporto dei singoli partecipanti. Questo consolidamento ha significato anche una migliore comunicazione tra i nodi della rete, ponendo le condizioni per svolgere un’efficace azione di sostegno al progetto ed ai singoli studenti universitari. Il polo universitario penitenziario si è caratterizzato come un "corso di studi di ateneo" proprio per la sua caratteristica di coinvolgere tutte le facoltà dell’università fiorentina. È auspicabile pertanto che i feedback che questa esperienza riuscirà a rimandare verso il mondo accademico vengano valorizzati al fine di sviluppare innovazione didattica e nuovi ambiti di ricerca. Nell’arco del 2003 l’esperienza del polo universitario penitenziario troverà spazio nel sito ufficiale dell’università di Firenze. Avviandomi verso la conclusione inserisco alcune indicazioni sugli esami effettuati dagli studenti detenuti nel triennio 2000 - 2003. In questo periodo gli esami sostenuti sono stati 94. Gli esami hanno avuto una fortissima impennata a partire dalla fine del maggio 2002, periodo in cui è stata concessa "l’apertura lunga" delle stanze di pernottamento presso la sezione di media sicurezza di Prato. L’evento, insieme alla rinnovata possibilità di incontrare i docenti, sembra aver influito positivamente sull’andamento dei percorsi di studio. Ma non è il solo, poiché hanno avuto un’incidenza sia la progressiva crescita del numero di iscritti che la stabilizzazione dei singoli percorsi di lavoro. A questo si deve aggiungere, a partire dall’agosto 2002, la possibilità per gli studenti detenuti di partecipare alla concessione delle borse di studio, ulteriore motivazione per accelerare i tempi ed accumulare un congruo numero di crediti. Prima del maggio 2002 gli esami sostenuti ammontavano soltanto a 10. Attualmente la situazione è ulteriormente migliorata, andando ad inserire una più decisa ed organica attività di tutorato.
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