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Quale spazio per la valutazione in ambito penitenziario?
Parlare di valutazione in ambito penitenziario è oggi, a nostro avviso, fondamentale. Il lavoro per progetti è infatti presente in misura consistente in diversi istituti ed orienta anche il lavoro all’esterno; notevoli sono le risorse economiche destinate a questo settore, sufficiente è l’esperienza acquisita e dunque meno giustificabile è l’atteggiamento di chi pensa che l’importante sia "fare qualcosa". Oggi possiamo aspettarci di imparare a fare in primo luogo ciò che serve veramente, di farlo al meglio, di rispondere con argomentazioni intelligenti a chi si domanda perché investire sulla popolazione detenuta, di rendere trasparenti processi di lavoro che fino ad ora sono rimasti oscuri, di incidere sulle politiche sociali in modo diretto. Iniziare a porsi il problema della valutazione è allora una priorità. In questa sede sarà fornito un punto di vista della questione che è chiaramente orientato e che costituisce una prima riflessione ma anche una prima proposta metodologica mutuata da alcune esperienze condotte in progetto territoriali sia nazionali che europei. Cercheremo di collocare innanzitutto la questione della valutazione alL’interno del lavoro sociale per proporre successivamente un metodo possibile, quello della valutazione partecipata, e infine offriremo alcune considerazioni specificamente legate alla progettazione in ambito penitenziario. Valutazione e lavoro sociale Parlare di valutazione nel sociale, significa affrontare un tema oggi fortemente sentito, ma ancora molto giovane per il nostro Paese. Per molto tempo infatti si è ritenuto che il lavoro sociale non fosse sostanzialmente valutabile perché in questo settore si lavora su questioni molto complesse (la tossicodipendenza, la marginalità, la prostituzione, 1’immigrazione, l’handicap, ecc.), in cui il fattore umano è elevatissimo sia perché si lavora sulle e con le persone, sia perché sono altri esseri umani ad operare. Le variabile soggettive diventano allora innumerevoli e i metodi usati in altri ambiti, come quello economico, per esempio, non sono automaticamente applicabili al sociale. I criteri di efficacia e di efficienza, concetti classici del mondo aziendale produttivo, assumono significati molto diversi quando si parla di beni come la salute, il benessere psico-fisico, i diritti umani, ecc. Per molto tempo dunque, in particolare in Italia, il mondo che ha operato nel sociale (sia quello pubblico che quello del cosiddetto "terzo settore") ha progettato e realizzato interventi senza porre molta attenzione alla valutazione di quanto andava facendo. Negli ultimi vent’anni (in ritardo rispetto ad altri paesi sia europei che d’oltre oceano), con la crisi del Welfare, anche da noi si è incominciata a porre la questione della carenza di risorse economiche destinate a questi settori di intervento e dunque ci si è trovati di fronte alla necessità di una diversa distribuzione delle stesse. Mentre originariamente il sistema vigente in Italia prevedeva finanziamenti a pioggia, con l’avvio dei primi progetti obiettivo, si sono iniziate a definire priorità di intervento (quello sugli anziani, per esempio, è stato il primo progetto obiettivo dello Stato Italiano ), a indicare linee guida per le progettazioni, a costruire parametri di valutazione sulla base dei quali attribuire i fondi disponibili. La necessità di valutare nasce dalla necessità di fare delle scelte di carattere economico. In tutti questi anni il mondo del sociale si è fortemente ampliato (basta pensare che il terzo settore dà lavoro a moltissimi giovani in tutta Italia), le capacità progettuali dei soggetti che lavorano nell’ambito dei servizi alla persona sono aumentate e conseguentemente anche la richiesta di supporto per le attività di valutazione. Sta dunque crescendo, parallelamente, il mondo della consulenza sui processi valutativi che oggi è rappresentato anche da una vera e propria associazione a livello nazionale, l’A.I.V. (Associazione Italiana di Valutazione ). Si tratta dunque di un nuovo e interessante settore di intervento che, per chi oggi si sta costruendo una futura professione, può rappresentare uno sbocco effettivo. Scopo di queste pagine è fornire un contributo di carattere fortemente operativo che parte dalla mia esperienza diretta, sperimentata in diverse regioni e che fa riferimento alla valutazione partecipata. Si tratta di un modo di fare valutazione che, a mio avviso, è fortemente congruente con il lavoro nel sociale perché si costruisce come un vero e proprio percorso di ricerca, costruito collettivamente, che consente di usare il meccanismo valutativo anche come un’azione di comunicazione e di trasparenza. Un lavoro con le persone è infatti spesso un lavoro che ci si inventa, che si basa su motivazioni umane forti ma che ha a che fare con infinite variabile non sempre razionali, misurabili, quantificabili. Poter valutare in modo partecipato, significa allora poter far emergere punti di vista diversi, rispettare la complessità dei fenomeni sui quali si opera, non ridurre le riflessioni alla ricerca di "verità" uniche. Quanto seguirà è dunque il frutto di saperi teorici ma anche e soprattutto di esperienze concrete: è questa connessione tra teoria e prassi che consente infatti di ricondurre tutto al senso stesso della valutazione. Benché l’esigenza valutativa sia nata dall’esterno e sulla base di esigenze economiche, questo processo è in realtà parte della professionalità stessa di un operatore sociale che voglia agire la sua vita professionale in modo coerente. Partiamo allora proprio da questioni di senso per giungere poi alla descrizione di come può avvenire un percorso di valutazione partecipata comprendendone anche i vantaggi e gli svantaggi. Valutare questioni di senso: Il processo valutativo di un’azione sociale, sia esso un progetto o un servizio, ne rappresenta una dimensione costitutiva dal momento che la valutazione consente di raggiungere diversi obiettivi: definire il perché vogliamo valutare è allora il primo passaggio che consente di chiarire il senso stesso di questa attività che non può essere considerata semplicemente un fatto tecnico, "oggettivo". Per valutare, infatti, è necessario selezionare e gerarchizzare fatti, atti, effetti, trasformazioni, che hanno a che fare anche coi fini qualitativi e con l’impatto che le prestazioni hanno sulle persone e sulle popolazioni che le recepiscono. La valutazione ha dunque a che fare non con una, ma con molte interpretazioni, con diversi criteri di giustificazione. Si può fare valutazione per diverse ragioni:
Nei settori di intervento a cui si fa riferimento in questa sede può essere importante riferirsi ad una definizione del concetto di valutazione che vede in questo strumento la sua potenzialità di far acquisire, produrre, circolare infondazioni significative per l’azione che si valuta e rilevanti per migliorare la qualità del proprio agire. Da qui l’adozione di un modello teorico e metodologico che prevede un percorso di valutazione ex ante ( ossia in fase di avvio del progetto), in itinere (nel corso della sua realizzazione) e conclusiva (al termine dell’intervento) e che poggia le sue fondamenta sul concetto di partecipazione. La valutazione partecipata La valutazione partecipata nasce nell’ambito della psicologia di comunità e deriva in particolare dalle elaborazioni di D. Chavis che ipotizza processi partecipati nell’intero percorso di valutazione. Ciò consente di dare un senso alla valutazione in termini di "accompagnamento" delle azioni progettuali garantendo la partecipazione di più soggetti nella fase di interpretazione delle infondazioni e di decisione dei cambiamenti da attivare. In questa prospettiva la valutazione non è patrimonio di un esperto esterno, ma un "progetto nel progetto" costruito con coloro che vi partecipano attivamente (beneficiari, operatori, committenti). E’un sistema di controllo, ma non solo sul grado di successo rispetto agli obiettivi (efficacia), o sul rapporto costi benefici (efficienza), ma anche e soprattutto sulle capacità elaborative e metodo logiche che un progetto stesso attiva e sugli elementi esperienziali che la realtà di un servizio produce. Si possono cosi valutare sia la qualità di ciò che viene prodotto e il tipo di ricadute che gli interventi inducono nel sistema che li realizza e nei sistemi esterni ma ad esso connessI. In questa logica si parte dalla consapevolezza che in un progetto a forte valenza sociale le variabili che concorrono al raggiungimento dei risultati sono numerose e non possono prescindere dalla compresenza di più attori che concorrono al raggiungimento dei risultati; gli esiti di un progetto non sono legati solo alle azioni di chi vi lavora materialmente e in modo diretto, ma anche dai processi che caratterizzano il sistema in cui si opera e quelli limitrofi (basti pensare a come gli esiti di un intervento preventivo nella scuola sono fortemente connessi al livello di connessione costruito con gli insegnanti, alla ricaduta che può esserci nelle famiglie, al grado di interrelazione che l’intervento in classe produce con il sistema dei servizi esterni, ecc. ). In questa stessa logica non è possibile prescindere dalla realtà stessa dei beneficiari e dalla loro attiva partecipazione all’intero percorso, compresa la fase valutativa. Ecco perché, proprio alla luce di questa consapevolezza, nei percorsi di valutazione partecipata può trovare ampio spazio il processo dell’auto valutazione da cui è possibile trarre spunti fondamentali, per esempio, per verificare le azioni formative Ciò vale soprattutto per i progetti che intendono sviluppare la peer-education all’interno della quale il processo di cambiamento individuale e collettivo che si vuole sviluppare non può che partire da una considerazione dei beneficiari come soggetti attivi, in grado di ripercorrere la propria esperienza, capaci di assumersi responsabilità, in grado di comprendere "la propria parte" all’interno del quadro più complessivo di interlocutori coinvolti. Dall’altro lato, l’attenzione al processo auto valutativo consente al mondo dei progettisti e degli operatori, nonché ai ruoli istituzionali presenti in un progetto, di comprendere pienamente il proprio ruolo attivo nella riuscita di un percorso e di vedere le eventuali contraddizioni che lo stesso può produrre. Si tratta dunque di un modo di intendere il processo valutativo come un’occasione di sviluppo di empowerment su tutti i livelli che caratterizzano un sistema complesso. Si tratta di lavorare sulla trasparenza di quanto viene fatto e di come viene fatto e, attraverso la capacità di guardare collettivamente il processo, acquisire esperienza e, come sostiene Weiss, "studiare gli effetti di un programma rispetto alle conseguenze attese e non attese per la popolazione e le organizzazioni coinvolte"25. Un processo di valutazione partecipata consente infatti di comprendere da più punti di vista anche quanto non era stato considerato in partenza in termini di obiettivi, sia che ciò costituisca una variabile positiva, sia che invece costituisca eventuali effetti indesiderati. Questo presuppone naturalmente un effettivo interesse da parte dei partecipanti e rendere evidenti i propri metodi, i propri punti di forza e anche quelli di debolezza e la disponibilità a sottoporli al giudizio esterno. Ciò è possibile se si assume un atteggiamento rispetto alla valutazione che è soprattutto orientato alla ricerca, in cui l’elemento del giudizio consiste nel dare peso e significato a quanto viene realizzato in un progetto, non nell’attribuzione di categorie di tipo normativo. È un modo di intendere il processo valutativo molto coerente con i progetti di tipo sperimentale il cui scopo è proprio quello di rappresentare un laboratorio in cui ciò che accade non va difeso o distrutto, ma piuttosto attentamente osservato. In questo senso è a nostro avviso importante fare riferimento al concetto di utilità sociale rispetto al quale valutare è portare un giudizio con l’aiuto o meno di tecnologie (test, esami, griglie), sul valore sociale (utilità sociale) di un oggetto (prestazioni, risultati, ecc.) relativo a un attore sociale. Fare riferimento a concetti come quello di utilità sociale può dare adito ad una serie di critiche, soprattutto se si prendono in esame modelli di valutazione quantitativi, maggiormente orientati all’uso di strumenti di rilevazione statistica, mirati a definire oggettivamente la realtà. L’enfasi sull’aspetto qualitativo della valutazione, infatti, potrebbe indurre ad operazioni riduzionistiche, di tipo puramente soggettivo, dove la relatività stessa dei termini può condurre adire tutto e il contrario di tutto. Ciò che può ridurre questo rischio è soltanto la visibilità del metodo con cui l’attività di valutazione viene portata avanti e, a nostro avviso, L’onestà intellettuale di chi opera nell’ambito di progetti che hanno a che fare con le persone; questo riconduce al perché si fa valutazione e alle modalità di utilizzo delle informazioni che vengono raccolte. Se obiettivo prioritario della valutazione è comprendere quanto stiamo facendo allo scopo di migliorare la qualità del nostro intervento e se siamo disposti a rivedere le nostre ipotesi di partenza, allora riteniamo che modelli valutativi di tipo qualitativo, frutto di dinamiche partecipate, possano essere di grande utilità. D’altro canto, anche in una logica di tipo qualitativo, gli elementi di un progetto che vengono sottoposti a valutazione non possono non prevedere il grado di raggiungimento dei risultati, il tipo di processi messi in atto, il tipo di impatto prodotto. Proprio dalla Psicologia di Comunità vengono allora identificati come impianto complessivo di valutazione i tre elementi chiave: i risultati, che hanno diretta attinenza con gli obiettivi di un progetto, i processi che sono connessi alle dinamiche che le azioni attivate producono tra gli interlocutori coinvolti e i cambiamenti prodotti tra i diversi sistemi, l’impatto che è costituito dalle modificazioni di carattere macrosociale e dalle trasformazioni di tipo culturale. Come si possa sviluppare operativamente questo metodo di valutazione è quanto cercheremo di illustrare nel paragrafo seguente segnalando però al lettore che quanto sarà descritto non è da intendersi come un percorso rigidamente defInito. Si tratta piuttosto di un modo di applicare il metodo della valutazione partecipata che, essendo stato sperimentato in più contesti26, ha dato prova di applicabilità, pur presentando anche degli svantaggi che saranno illustrati successivamente. Le possibili fasi di lavoro di un percorso di valutazione partecipata Volendo ricostruire quanto realizzato attraverso alcune esperienze concrete, si propone in questa sede un "percorso tipo" che può subire modifiche a seconda del contesto in cui la valutazione viene applicata. Non ci sembra tuttavia che le fasi, cosi come vengono indicate, siano modificabili nella loro essenza perché è il rispetto di questi passaggi che dà garanzia rispetto all’effettiva partecipazione e in qualche modo costituisce la cornice entro la quale si definisce anche il ruolo di chi opera come "valutatore". Fase A costituzione del gruppo di lavoro La prima fase di lavoro, per realizzare questo modello di valutazione, è la costituzione del gruppo. E’importante che vi siano rappresentati i diretti interlocutori del progetto, ma anche interlocutori esterni che, pur non avendo partecipato alla progettazione e pur non operando direttamente nell’ambito del progetto, proprio per questo offrono un punto di vista altro da chi vi è coinvolto. Non solo, offrire l’opportunità ad altri interlocutori di partecipare al percorso valutativo, consente di aprire canali comunicativi tra sistemi diversi in un clima di effettiva parità: la valutazione di chi è esterno vale quanto quella di chi opera direttamente nel progetto, anche se l’impegno concreto è solo di questa parte del gruppo. Ciò presuppone un atteggiamento di critica costruttiva da parte degli esterni e un atteggiamento non difensivo da parte di chi lavora concretamente al progetto. Da entrambe le parti ci deve essere un intento di ricerca comune. In questa fase è molto importante il clima comunicativo che si riesce ad instaurare tra i partecipanti e proprio in questa fase è fondamentale il ruolo di chi conduce il gruppo. Nell’esperienza si giunge sovente a strutturare un meccanismo che prevede la presenza di un primo gruppo di valutazione ristretto, in cui sono rappresentati gli operatori del progetto e i partners più vicini, e momenti di valutazione con un gruppo più allargato a cui partecipano anche interlocutori più esterni. Si tratta di una scelta che va fatta in relazione allo specifico contesto. Per favorire questo percorso è tuttavia indispensabile condividere tra i partecipanti il senso della valutazione e il modello operativo che si vuole sperimentare e dunque alla fase B possono partecipare tutti gli interlocutori interessati alla valutazione.
Fase B
Condivisione del senso e del modello di valutazione AlL’interno di questo approccio il metodo prevede che venga innanzitutto condivisa una cultura della valutazione. Questo termine richiama infatti significati diversi sulla base dei quali ciascuno di noi struttura atteggiamenti rispetto alla valutazione stessa: in molte situazioni questo è un atto dovuto perché richiesto formalmente dalla committenza ma non viene visto come utile per gli operatori, spesso si assiste ad atteggiamenti che oscillano da una percezione di "impossibilità" di valutare quando si parla di sociale e di lavoro con le persone a tentativi, al contrario, di tenere tutto sotto controllo attraverso impostazioni quasi ossessive in cui il tempo destinato alla registrazione di dati diventa superiore a quello destinato all’operatività, in altre situazioni ancora si finisce per confondere la raccolta dei dati con la valutazione e soprattutto non ci si pone la questione del potere rispetto all’uso delle informazioni. Un primo momento formativo, aperto a tutti gli operatori coinvolti nel progetto ed eventualmente anche ad altri interlocutori interessati, consente di realizzare questo primo passaggio in cui la valutazione può uscire dalle cornici citate per diventare invece oggetto di analisi di coloro che nel progetto dovranno lavorare. Questo passaggio consente anche di sviluppare empowerment negli operatori e farli uscire dalla logica della delega ad un esterno incentivandoli ad assumersi direttamente la responsabilità della valutazione. In questo modo diventa possibile rendere esplicito ciò che implicitamente viene comunque fatto dal momento che "la valutazione è un’attività che tutti fanno nel!’agire quotidiano, continuamente, anche inconsapevolmente... e dunque... i soggetti della valutazione sono molti, hanno bisogni, domande, interessi, linguaggi diver. Attraverso questo primo momento è allora possibile confrontarsi su questioni di senso e anche di atteggiamento rispetto alla valutazione e costruire le premesse per i successivi passaggi. È in questa fase che si condividono con il gruppo anche le regole che governeranno il lavoro dello stesso, sia sul piano della comunicazione che sul piano delle responsabilità condivise e sul versante prettamente organizzativo (chi farà che cosa). È in questa fase che si devono condividere anche i limiti e gli eventuali svantaggi di questo metodo di valutazione. Fase C La definizione dell’impianto valutativo Dopo aver condiviso alcune questioni di senso, diventa possibile individuare collettivamente il vero e proprio impianto valutativo del progetto in cui si individuano le aree di interesse della valutazione, i risultati che si vogliono ottenere per ciascuna area, i processi che si devono sviluppare sempre nell’ambito delle aree specifiche e l’eventuale livello di impatto che si Vuole produrre con il progetto. Da questa prima impostazione diventa possibile individuare indicatori sui quali misurare il lavoro svolto tenendo conto delle indicazioni anche esterne al gruppo di formazione: gli standard stabiliti per legge, l’interesse specifico dell’ente pubblico, la costruzione di indicatori utili anche per le realtà territoriali coinvolte a diverso titolo nel progetto. In questa fase è cioè importante che chi lavorerà all’interno del progetto, a diverso titolo, possa individuare alcuni elementi di interesse specifico: questo favorirà 10 sviluppo di appartenenza al progetto, la disponibilità al confronto, l’investimento diretto nelle diverse azioni. In questo modo L’attività di valutazione finisce per essere anche promozionale rispetto allo sviluppo di connessioni che potranno proseguire localmente anche al termine del progetto. Proprio da queste connessioni L’esperienza ha dimostrato che possono nascere nuove progettazioni che presentano fin dall’inizio caratteristiche di co-progettazione sulla quale la rete trova concreta realizzazione. In ogni caso l’impianto valutativo si traduce in un documento che costituisce la guida operativa che sarà utilizzata in tutto il percorso valutativo. Fase D La definizione degli strumenti La fase successiva prevede l’identificazione di alcuni strumenti di rilevazione che possono fare riferimento a strumenti già esistenti, ma che possono essere anche costruiti ad hoc con la collaborazione diretta degli operatori. Rientrano nelle possibilità strumenti sia di carattere statistico che strumenti di tipo qualitativo e tecniche di gruppo mirate alla valutazione (per esempio le discussioni guidate). Gli strumenti variano inoltre in relazione alle fonti da cui si intendono trarre le informazioni: i beneficiari, la rete esterna, i componenti del gruppo di progetto, i docenti di un corso, i rappresentanti della comunità civile, ecc. La definizione degli strumenti è sicuramente uno dei punti che possono rivelarsi come maggiormente critici e criticabili nei processi valutativi. La necessità di utilizzare strumenti sufficientemente attendibili costringe a mettere in atto definizioni piuttosto precise di che cosa si voglia valutare e questo, quando si ha a che fare con il lavoro con le persone e realizzato da persone, non è cosi semplice. Accade sovente che ad uno stesso termine gli operatori diano significati tra loro diversi o che alcuni processi non siano riconducibili a definizioni rigide (basti pensare al classico "aumentare la consapevolezza" che si trova in tanti degli obiettivi indicati in progetti di questo tipo). Ammesso che si possa uscire da questa strutturale difficoltà, lo sforzo che probabilmente è necessario fare è quello di rendere espliciti i significati delle parole e su questo costruire indicatori che abbiano la possibilità di essere misurati. Ma anche questo, la misurazione, è un problema di difficile soluzione. Spesso lo si affronta utilizzando il criterio delle percentuali che vengono attribuite, sostanzialmente in modo arbitrario, e su questo si basano poi le successive valutazioni. Nelle esperienze di valutazione partecipata a cui si fa riferimento in questa sede, la scelta è stata sempre di adottare strumenti costruiti ad hoc, di carattere sostanzialmente qualitativo e descrittivo, con domande quasi sempre aperte o comunque con la possibilità di indicare opzioni diverse da quelle indicate. Questo naturalmente rende molto oneroso il lavoro di sgrezzatura dei dati, ma sembra essere più corrispondente alla possibilità di disporre di informazioni "vere" (perché definite da colui che compila lo strumento, perché non ingabbiate in traduzioni numeriche). Ovviamente questo implica che la soggettività è una variabile che non si intende negare.
Le quattro fasi fin qui evidenziate fanno parte del percorso ex ante della valutazione; da queste prime attività è infatti possibile rivedere insieme l’ipotesi progettuale, anticiparne gli eventuali momenti critici, ridimensionare obiettivi troppo alti, interrogarsi sulle procedure pensate, evidenziare la questione delle risorse sia economiche che umane, ecc. Si tratta infatti di un lavoro che viene svolto prima della realizzazione concreta delle diverse azioni del progetto o comunque nella fase di avvio dello stesso proprio per consentire aggiustamenti e tarature anche sulla base della realtà specifica dei beneficiari (il lavoro con le persone ha infatti a che fare con le variabili soggettive che non possono essere efficacemente rappresentate fino a che non si ha il polso di chi siano davvero i singoli soggetti con cui si lavorerà). In tutte queste fasi di lavoro il ruolo dell’esperto alL’interno di questo modello, non è solo quello di aiutare il gruppo sul piano formativo e tecnico in relazione al processo valutativo (formazione iniziale, predisposizione di strumenti di rilevazione, elaborazione dei report), ma anche quello di agevolare lo sviluppo di meccanismi di anticipazione attraverso i quali i componenti del gruppo siano messi nelle condizioni di prendere decisioni e promuove nel gruppo il mantenimento di un atteggiamento di ricerca al fine di equilibrare il rischio che l’attività valutativa sia orientata soprattutto alla conferma delle ipotesi progettuali iniziali. Fase E La realizzazione delle azioni e la valutazione in itinere Il processo valutativo prevede successivamente la fase che viene definita in itinere. La valutazione in questo caso assume caratteristiche di un vero e proprio accompagnamento progettuale sulla base dell’impianto formulato all’inizio. Nell’approccio partecipato la valutazione in itinere è un dato costitutivo che prevede alcune riunioni del gruppo di valutazione all’interno delle quali viene effettuato il vero e proprio lavoro di valutazione. Di volta in volta vengono prese in esame le informazioni raccolte sulle aree di valutazione concordate e vengono espressi i punti di vista e le interpretazioni da parte dei componenti del gruppo. Per facilitare questa operazione viene messo a disposizione dei partecipanti, prima di ogni riunione, il materiale raccolto nei momenti di somministrazione degli strumenti valutativi. I dati e le informazioni vengono sistematizzati e ordinati prima, ma le interpretazioni vengono effettuate nel corso dell’incontro del gruppo e opportunamente registrate in modo da costituire via via la base per il report finale di valutazione complessiva. n procedimento in questa fase vede il conduttore della valutazione impegnato su più livelli ma coadiuvato da uno o due membri del gruppo ( che si propongono volontariamente) che intendono acquisire abilità e competenze nel processo valutativo. Ai coadiutori possono essere affidati diversi compiti, dalla sgrezzatura dei dati, alla elaborazione delle bozze utili per le riunioni di valutazione, al mantenimento della comunicazione con i diversi membri del gruppo, alla comunicazione costante con il conduttore della valutazione per segnalare difficoltà, necessità di revisioni, necessità di incontri ulteriori, ecc. Si tratta di dare vita concretamente ad un processo di empowerment rivolto agli operatori che possono cosi acquisire competenze specifiche nella valutazione e diventare a loro volta una risorsa autonoma per la realtà locale in cui si lavora. In ogni riunione di valutazione i componenti del gruppo giungono con la lettura della bozza già acquisita e in modo rigoroso ciascuno si essi esprime il proprio punto di vista sui contenuti emersi. Da questo primo "giro" è possibile far emergere le diverse letture dei dati ed è fondamentale che non si elimini questa diversità, ma che anzi la stessa venga espressa apertamente. Nel corso della riunione solitamente emergono i punti di forza e di debolezza del lavoro che si sta svolgendo e si individuano anche gli eventuali cambiamenti da attivare. Tutto il materiale emergente viene utilizzato per integrare la bozza del report parziale che in questo modo sarà il frutto di un effettivo lavoro partecipato. La quantità di riunioni va defInita in base alla specificità del progetto, alle disponibilità del gruppo, ecc., cosi come le ore dedicate alla singola riunione. In questa fase viene anche presa in esame la eventualità che i benefici ari possano far parte del gruppo di valutazione; l’esperienza indica che questa scelta non va intesa in senso ideologico ma costruita in tenDini di opportunità e questo il più delle volte si traduce in momenti ad hoc costruiti proprio insieme ai beneficiari. n ruolo del conduttore in tutta questa fase è quello di facilitare la comunicazione nel gruppo, far emergere e tenere conto dei diversi punti di vista, supportare nell’analisi dei problemi, offrire indicazioni operative per introdurre eventuali modifiche, ricordare la connessione con l’impianto valutativo.Questo presuppone che il conduttore sia sostanzialmente un esperto di processo, ma il suo lavoro può essere più efficace se dispone anche di competenze relativamente ai contenuti (non si tratta tuttavia di una pre-condizione assoluta). Fase F La chiusura del progetto, la valutazione finale e le azioni di restituzione Ultima tappa del processo è la valutazione ex post. Al termine del progetto, il più delle volte a qualche tempo di distanza dalla chiusura ufficiale dello stesso (il tempo può variare a seconda del progetto), si verifica generalmente l’impatto che il progetto ha avuto e in particolare l’effetto botto e dunque la ricaduta che le azioni del progetto hanno avuto in termini di amplificazione del risultato. Fa parte di questa tappa anche la possibile valutazione del processo valutativo stesso; dal momento che la valutazione si è condotta attraverso una metodologia partecipata e il gruppo di lavoro in genere rimane stabile, è possibile valutare il peso che la valutazione ha avuto, la sua utilità e l’eventuale ricaduta esterna. Si tratta di un momento molto significativo del lavoro di valutazione perché consente di verificare anche quanto i partecipanti al gruppo hanno maturato competenze, acquisito strumenti, ampliato conoscenze. In ogni caso un processo valutativo che voglia essere realmente partecipato prevede delle iniziative di restituzione pubblica per fare in modo che il sapere acquisito attraverso l’esperienza progettuale sia diffuso a diversi livelli e diventi patrimonio del territorio in cui il progetto è stato realizzato. Mettere a disposizione il materiale e garantirne la circolazione è dunque 1’ultima fase di lavoro di un processo valutativo che voglia essere effettivamente partecipato. In questo momento il materiale si è strutturata via via come un vero e proprio report contenente tutto quanto è emerso dalla valutazione e nel quale vengono messi a disposizione anche i materiali grezzi e gli strumenti di rilevazione utilizzati; questo consente al lettore di comprendere i passaggi interpretativi e di vedere in modo trasparente il metodo utilizzato per giungere alle diverse interpretazioni contenute nel report. Vantaggi e svantaggi di un metodo Il processo valutativo partecipato presenta sia vantaggi che svantaggi ed è bene che di questi si sia consapevoli per non adottarlo in modo acritico. È un modo di fare valutazione che si dimostra infatti particolarmente utile nei servizi/progetti che devono strutturalmente operare in rete e nei progetti di carattere innovativo attraverso i quali si intende realizzare azioni che non sono ben definite in partenza e i cui esiti possono essere molteplici. n fatto che si caratterizzi in tenDini di "accompagnamento" garantisce infatti che tutto il percorso sia tenuto sotto controllo e che i cambiamenti stessi siano posti sotto osservazione. È utile quando si vogliono sviluppare le capacità valutati ve degli operatori e quando si intende trasmettere competenze trasversali. È utile, ancora, quando si vogliano sviluppare processi comunicativi entro ed intersistemici. Tra gli svantaggi si possono annoverare i costi che non sono riconducibili solo al ruolo del o degli esperti coinvolti, ma anche di tutte le figure chiamate a partecipare alla valutazione che devono investire ore di lavoro non solo nella registrazione ma anche e soprattutto nei momenti della valutazione. Un secondo possibile svantaggio è dato dalla complessità stessa del metodo. Non potendo ricorrere a dati "oggettivi", il lavoro di sgrezzatura delle informazioni e anche il lavoro di interpretazione e lettura dei dati deve essere molto accurato e deve rispettare fortemente il lavoro del gruppo: questo significa che la stesura del materiale costituisce una grande parte del lavoro di valutazione. Volendo riassumere i pU1lti di forza e di debolezza di questo metodo, posso rifarmi a quanto emerso nella valutazione dello stesso da parte del gruppo che ha lavorato alla valutazione del progetto "Idea Anteros" realizzato a Palenno, ad opera della Cooperativa Fenice (progetto Integra con cui si è istituito il primo drop-in della città). Dai questionari compilati dai membri del gruppo di valutazione sono emersi questi punti forti:
Proprio per questa ragione non è detto che lo stesso sia applicabile sempre e dovunque. Fondamentale è allora la capacità, da parte di chi si occupa di valutazione, di verificare inizialmente la possibilità di applicazione del metodo in tenDini di opportunità e utilità per il committente stesso. In questa prospettiva il criterio di fondo che va garantito è che ci sia disponibilità, da parte di tutti gli interlocutori coinvolti in un progetto, di rendere trasparenti i processi con cui lo stesso viene pensato e realizzato. L’elemento della trasparenza dei processi è forse quello che più consente di costruire operativamente strategie di rete perché gli attori della stessa interagiscono mentre fanno qualcosa insieme e si tratta di un "fare pensante" attraverso il quale è anche possibile misurarsi reciprocamente, esporsi, riconoscere le diversità. In questo modo diventa forse possibile che il lavoro direte si costruisca come una vera scelta reciproca e non solo una direttiva esterna legata al reperimento di risorse economiche o, peggio, una sorta di "moda" che nega le differenze e i potenziali conflitti. Quali connessioni con il mondo del penitenziario Ci sembra di poter affermare che quanto detto fin qui possa connettersi al mondo del quale ci stiamo occupando in questa sede. In primo luogo perché il lavoro in ambito penitenziario è lavoro sociale per eccellenza; in secondo luogo perché la dimensione della rete è costitutiva di questo mondo; in terzo luogo perché questa impostazione ci sembra coerente con la logica dell’empowerment e, infine, perché nel contesto penitenziario si valuta continuamente (il detenuto è tale perché è stato sottoposto ad un giudizio, i pareri espressi nella osservazione/trattamento sono valutazioni, il meccanismo premi/punizioni è la diretta conseguenza di processi di valutazione). Si valuta il detenuto il più delle volte prescindendo dal contesto. Forse è importante allora affrontare questo tema da un altro punto di vista: porre l’attenzione al modo in cui si lavora in carcere, verificare i risultati che si ottengono con le diverse azioni progettuali, valutare i processi circolari che si sviluppano, significa poter articolare meglio la nostra azione, dare confini più precisi alle nostre e altrui aspettative, elaborare sagge "differenze" anche all’interno della popolazione detenuta. Valutare in modo partecipato significa inoltre dare spazio ai punti di vista di tutti coloro che sono impegnati in questo settore evidenziando e rivedendo criticamente anche la dimensione degli stereotipi reciproci. Tuttavia, data la particolarità del contesto, ci sembra importante sottolineare alcune questioni di fondo che possano fungere da elementi di senso condivisi. La prima questione ha a che fare con il che cosa valutare. In questo settore la domanda non è di poco conto; rispondere a questo significa interrogarsi sugli obiettivi. E ciascun interlocutore, rispetto a ciò che si vuole ottenere da un detenuto (e conseguentemente da quanto viene realizzato con lui e per lui), ha opinioni molto diverse. Chi ritiene che sia valido solo quanto modifica realmente la persona, chi ritiene che sia valido solo ciò che fa diminuire la recidiva, chi ritiene che sia importante solo ciò che conduce alla percezione del disvalore di quanto commesso, ecc. Ciascuno, cioè, misura gli eventuali risultati di un intervento sulla base della sua teoria implicita e del modello trattamentale che gli è proprio. Cosa valutare è allora la prima questione sulla quale è necessario non dare per scontate le diverse percezioni. Questo comporta una chiara definizione degli obiettivi e la loro traduzione in variabili che possono essere concretamente verificate. Una seconda questione è legata alla consapevolezza della logica sistemica che attraversa tutto l’intervento in ambito penitenziario: i risultati sono il frutto della interazione di più azioni e attori che spesso sono in contraddizione tra di loro. L’attribuzione dei risultati all’interlocutore e all’azione "giusti" non è di facile realizzazione. Basti pensare a quanto un progetto di formazione e lavoro realizzato in carcere, che preveda anche uno stage all’esterno, sia strutturalmente collegato alla situazione giuridica dei detenuti e ai tempi delle procedure (spesso incompatibili con quelle del mondo del lavoro all’esterno). In questo contesto la valutazione non può dunque essere una mera valutazione sui risultati ma piuttosto una permanente valutazione dei processi. Una terza questione fa riferimento al chi deve valutare. Premesso che il committente e finanziatore dei progetti che si realizzano in carcere non è quasi mai l’Amministrazione Penitenziaria (tranne che per una ristretta fascia di progetti trattamentali di cui è titolare), i progetti che oggi si realizzano in carcere sono tenuti a fare valutazione solo laddove questo venga espressamente richiesto dall’Ente finanziatore o se è un interesse specifico dell’ente gestore che valuta perché gli interessa farlo (ma sono pochi anche questi casi). n ricorso ad esperti di valutazione esterni è una prassi ormai molto presente nei progetti territoriali e i modelli utilizzati sono tra i più vari, ma in ambito penitenziario non esiste ancora una prassi organica e ciò, a nostro avviso, non è dovuto solo ad un ritardo o ad una possibile resistenza, quanto alla specificità di questo contesto che richiederebbe una conoscenza specifica a chi si occupa di valutazione. Proprio in questo senso ci sembra che la valutazione partecipata costituisca un modello applicabile più di altri in questo ambito: la scelte di cosa valutare, la predisposizione di strumenti, la costruzione di indicatori corretti, il peso da attribuire alle variabili esaminate. . . tutte azioni che non possono prescindere dal sapere di chi in questo settore lavora concretamente. Si può sostenere che questo vale anche per altri contesti, ma ancor più vero è per un settore la cui complessità è davvero superiore ad altri. A cominciare dalla mission, alla vastità di tipologie di popolazione detenuta che vi è ristretta, alla quantità di categorie professionali coinvolte, alla estensione degli interlocutori e sistemi con cui questo settore è chiamato ad interagire. Un’ultima questione è relativa invece al processo della auto valutazione che potrebbe costituire uno strumento di lavoro utilissimo in questo settore. Si tratta infatti di un vera e propria competenza che potrebbe essere sviluppata con le persone detenute in particolare rispetto alle opportunità a cui partecipano; quanto chi oggi studia, lavora o partecipa ad attività culturali in carcere, dà conto in primo luogo a se stesso dei suoi livelli di apprendimento, della sua maturazione di capacità specifiche, dell’evoluzione della sua competenza a vivere in un certo contesto? Con tutta probabilità porsi la questione della valutazione in ambito penitenziario consentirebbe di aprire molti campi di riflessione che andrebbero ad incidere direttamente sul modo in cui oggi gli operatori lavorano consentendo lo sviluppo di buone prassi e anche la loro visibilità. Ciò forse consentirebbe anche alla società civile di appropriarsi di categorie concettuali più articolate sull’intera questione della pena detentiva.
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