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Sul "senso" del lavorare per progetti
La questione del "come" fare le cose è strettamente connessa al perché le si fa e al che cosa si vuole ottenere facendole. Questo vale per qualunque attività di tipo progettuale e la visibilità di questo processo è ciò che consente di valutare anche l’efficacia di quanto si realizza. L’attività di progettazione è parte costitutiva di molte realtà operative nel sociale e tuttavia è quella su cui meno vengono offerti contributi sia di riflessione che di carattere operativo. Tuttavia nel corso di questi ultimi dieci anni si è sviluppato molto sapere e molta pratica che hanno trovato espressione proprio all’interno del carcere. Molte delle attività oggi realizzate all’interno e all’esterno degli istituti sono infatti espressione di progetti anche molto complessi. L’intento di questo contributo è proprio quello di offrire alcune suggestioni di fondo che possano aprire un confronto su una dimensione di senso; comprendere i significati dell’azione progettuale è, a parere di chi scrive, la premessa necessaria anche per poter operare in termini metodologici secondo una logica che non è tecnica, ma piuttosto rispondente alla dimensione umana dell’agire sociale. Si tratta dunque di condividere un "taglio" dell’attività progettuale nel sociale (e in particolare nel settore penitenziario) che possa collocarsi dentro la complessità rappresentata dall’idea stessa di lavorare con e per le persone. L’idea di progetto e i suoi elementi costitutivi La parola "progetto" è ormai di uso corrente in diversi settori della vita sociale, nel mondo imprenditoriale, nel mondo della scuola, nelle politiche sociali, nel mondo economico, ecc. Lavorare per progetti è diventata un’esigenza imprescindibile in Italia, anche per accedere ai finanziamenti pubblici che, a fronte di un aumento dei bisogni e a una parallela diminuzione delle risorse, non vengono più distribuiti "a pioggia", ma sulla base di idee e risultati verificabili. In realtà l’idea di progetto è qualcosa con cui gli individui hanno a che fare tutti i giorni e concerne tutti i momenti in cui cerchiamo di "appropriarci" della nostra vita. li progetto dà un senso ai nostri sforzi e guida la messa in opera delle nostre azioni. Bellenger e Couchaere esprimono con chiarezza questo concetto quando affermano che il progetto è più di un semplice concetto: è un modo di realizzare la voglia di agire in armonia con i propri pensieri e i propri desideri, di offrire garanzia di cambiamento, di adattarsi alla realtà, di cominciare daccapo, risolvere dei conflitti, sviluppare delle attività, innovare la realtà. li progetto è uno stato dello spirito: associa tra loro l’intenzionalità, l’intelligenza per attuare previsioni, il gusto di sperimentare strumenti, l’interesse per il metodo, la capacità di pianificazione per fare in modo che la realizzazione e l’esecuzione non siano un residuo rispetto all’attività concettuale e alla riflessione. li progetto è un ponte tra la teoria e la pratica. Sostanzialmente l’attività progettuale comporta la volontà di esercitare delle "intenzioni" e di attribuire dei "valori" agli interventi, attraverso un metodo che sia verificabile e che dia conto delle ragioni per cui le cose vanno fatteLa ricerca di senso è dunque il primo elemento costitutivo dell’idea stessa di progetto che obbliga a riflettere sulla natura essenzialmente transitoria e in divenire di tutti i progetti. li progetto è un lavoro, un tragitto che va verso qualcosa che si vuole costruire, è un movimento, una dinamica guidata verso un senso in gestazione, capace di affermarsi di giorno in giorno. Un senso costituisce dunque l’esplicitazione della direzione in cui si vuole andare. Da ciò deriva il secondo elemento costitutivo dell’idea di progetto: L’anticipazione. Anticipare significa creare le condizioni affinché la direzione scelta possa avere più probabilità di essere rispettata e che l’idea si realizzi. L’anticipazione inserisce nel tempo e nello spazio gli sforzi necessari per il raggiungimento di un obiettivo. Si tratta di un processo di strutturazione e finalizzazione che consente, attraverso l’identificazione dei possibili ostacoli, di costruire un percorso consapevole. La salvaguardia dell’autonomia è il terzo elemento costitutivo dell’idea stessa di progetto perché definendo un senso, un obiettivo e soprattutto un quadro complessivo, il progetto rende possibile una libertà di azione orientata e dunque una possibilità in più per l’autonomia. Sia che si voglia considerare il progetto come un processo soggettivo e individuale, sia che lo si intenda come il prodotto di un’azione collettiva, esso contiene strutturalmente tutte le azioni rappresentative dell’autonomia della persona e del gruppo. Tutti i progetti richiedono delle decisioni, delle iniziative, delle scelte, richiedono di negoziare costantemente, obbligano quindi ad un’effettiva presa in carico dei problemi. Ogni progetto è l’espressione dell’autonomia perché ne riassume tutte le caratteristiche: non vivere dipendendo, non essere parassiti, non essere influenzabili e acritici, saper dire di no, rispettare la parola data, osare, essere capaci di stabilire delle priorità, avere una buona immagine di se e delle proprie possibilità, conoscere i propri limiti, sapere che cosa ci rende vulnerabili, essere pronti di fronte alle trasgressioni. In breve, essere capaci di una certa distanza da se stessi (individuo e/o gruppo). L’autonomia è dunque il valore sotto stante l’idea stessa di progetto e proprio per questo lavorare per progetti comporta anche un’idea di leadership fortemente partecipativa. In questa prospettiva lavorare per progetti consente anche 10 sviluppo e il consolidamento delle motivazioni alL’agire sociale. Innanzitutto perché il progetto ha di per se un potere di unificazione del gruppo: delimitando l’azione, orientandola e dando al gruppo una unità di senso, il progetto ha la possibilità di mobilitare e rendere solidali alL’interno di un processo in movimento. In secondo luogo il progetto crea condizioni di maggiore responsabilizzazione delle persone e favorisce la trasformazione del lavoro in un processo di apprendimento permanente che incoraggia un clima di autoformazione. Un progetto può dunque essere concepito come un vero e proprio sistema, obbediente alle leggi dei sistemi, globalità, scambio e interdipendenza e anche come un processo, cioè come una serie di passaggi organizzati indicativi di un metodo di lavoro. È da questo tipo di impostazione che assumono rilevanza i passaggi strutturali della costruzione progettuale che possono essere visti come competenze che gli operatori devono acquisire e possono essere cosi riassunti:
Passaggi base di qualunque attività di progettazione che richiedono una analisi approfondita e specifica. A questo tipo di analisi dovrebbe essere dedicata una corretta attività formativa sul tema della progettazione che dovrebbe vedere coinvolti tutti i livelli delle organizzazioni che operano con questa cultura, siano esse del pubblico che del privato sociale. In questa sede si tratterà in modo specifico dell’analisi del contesto essendo, a nostro avviso, L’attenzione base che va posta nell’iniziare un percorso all’interno del settore penitenziario. L’analisi del contesto Si parte qui dal presupposto che ogni attività progettuale, per essere efficace, richiede una conoscenza di base del contesto in cui si va ad operare per diverse ragioni. È necessario dunque aver chiari gli specifici vincoli di contesto per non indurre aspettative troppo alte, cosi come è indispensabile conoscere quanto il contesto può e deve offrire per non incorrere nel rischio opposto rinunciando anche al minimo che può invece essere fatto. Non solo, per avere una qualche incisività all’interno dell’istituzione penitenziaria bisogna acquistare credibilità anche agli occhi degli altri interlocutori, in particolare della polizia penitenziaria e l’essere dei buoni conoscitori del contesto è sicuramente un punto di forza in questa direzione. Infine, una buona competenza conoscitiva rispetto al contesto è il presupposto per poter creare le intese, le alleanze, gli accordi che su diversi livelli possono garantire la realizzazione concreta dell’attività progettuale. Almeno quattro sono le variabili del contesto che a nostro parere vanno conosciute:
Il tentativo che sarà fatto in questa sede è di definire i "minimi" da tenere presenti durante l’attività progettuale e le fonti da cui è possibile ottenere questo tipo di informazioni. I vincoli normativi. Non è certo necessario essere dei giuristi per poter lavorare in carcere, tuttavia è nostra convinzione che una conoscenza generale delle norme che regolano il sistema penitenziario sia imprescindibile per diverse ragioni. Innanzitutto per la valenza culturale e ideologica che le norme sottendono e per la lettura che conseguentemente offrono del "senso" della pena detentiva. Si sia o meno d’accordo con l’impostazione contenuta nelle nonne, bisogna sapere che esistono e che, in quanto regolatrici del sistema, ne forniscono anche il senso culturale e politico. Le nonne devono essere inoltre conosciute perché è alloro interno che possono essere individuati gli strumenti formali che consentono o meno la realizzazione dei progetti (basti pensare agli articoli che consentono l’ingresso dei volontari in carcere). In terzo luogo le norme sono anche rappresentative del "linguaggio" degli attori del contesto e non è dunque pensabile prescinderne se si vuole entrare in comunicazione con loro (operatori e detenuti). Parole quali osservazione e trattamento, equipe penitenziaria, misure alternative, ecc. indicano ruoli, funzioni, culture operative che non possono rimanere totalmente oscuri a chi intende lavorare in carcere in modo competente e in chiave progettuale. InfIne, la conoscenza della normativa relativa al settore penitenziario, consente a chi vuole lavorare in carcere (a qualunque titolo) di sveltire i tempi in termini di comprensione di alcune dinamiche interne che possono avere un senso per l’interlocutore esterno, solo se si inseriscono in un quadro di significati altri dalla semplice logica del buon senso. Proprio da questa conoscenza può infatti derivare la consapevolezza dell’intero sistema premi-punizioni che è la chiave strutturale del contesto carcerario. Definite le ragioni per cui a nostro avviso è indispensabile fare i conti con la questione dei vincoli normativi, il problema diventa quello di definire quali sono le fonti conoscitive che fungono da riferimento essenziale per coloro che lavorano in ambito penitenziario. È al diritto penitenziario che bisogna fare riferimento per identificare i vincoli normativi che caratterizzano la fase esecutiva della pena e almeno quattro sono i livelli di elaborazione di cui si deve tenere conto. Il primo livello fa riferimento alle singole leggi che vengono prodotte da questa fonte è possibile trarre gli orientamenti generali, le linee di indirizzo dell’esecuzione penale. I regolamenti attuativi delle leggi sono la seconda e imprescindibile fonte normativa attraverso la quale è possibile individuare le modalità concrete di realizzazione dei principi contenuti nelle leggi. n terzo livello è costituito dai decreti legge che contengono norme relativamente a specifiche aree di lavoro o che vanno a modificare i testi di legge nel tempo. Infine, ultima ma estremamente significativa fonte, le circolari ministeriali che regolano l’amministrazione penitenziaria in senso stretto e la sua organizzazione. Non bisogna poi dimenticare di prendere in esame le normative specifiche degli Enti Locali che operano in connessione con il sistema penitenziario: protocolli di intesa, convenzioni, linee guida regionali, ecc. È all’interno di queste fonti normative che spesso vengono delineate le possibilità operative e le procedure che consentono una connessione reale tra l’interno e l’esterno. Le procedure Costituiscono il sistema di regole che quotidianamente devono essere osservate relative al "modo" in cui si devono fare le cose dentro ogni singolo istituto penitenziario. Una volta sancito un principio dalla legge, la procedura ne indica le modalità operative per renderlo concretamente attuabile: rappresenta dunque il livello organizzativo del contesto. In carcere le procedure hanno un’importanza per certi versi superiore alle norme indicate precedentemente in quanto regolano la vita quotidiana di tutti coloro che con il carcere hanno a che fare e costituiscono dunque i vincoli operativi più rigorosi per le attività di progetto. È nei passaggi procedurali che si incontrano sovente i maggiori ostacoli o che si possono individuare le eventuali "scappatoie" per realizzare le attività. Le procedure possono essere esplicite e scritte, oppure implicite; in ogni caso fanno riferimento alla prassi quotidiana e costituiscono un riferimento costante sia per i detenuti che per gli operatori. La conoscenza del regolamento del singolo istituto costituisce dunque una dimensione conoscitiva mirata che dà conto della specifica realtà penitenziaria in cui si va ad operare. n regolamento non è tuttavia uno strumento scritto disponibile in tutti gli istituti, nonostante sia previsto per legge, e non è dunque accessibile in modo semplice e trasparente: tuttavia un regolamento esiste sempre e, anche se non formalizzato, struttura la vita nel singolo istituto. Chiunque abbia dimestichezza con il sistema penitenziario sa che ciò che si può fare in un carcere può non essere possibile in un altro, che le modalità di ingresso possono essere più o meno laboriose, che il movimento dei detenuti può essere più o meno facile, che gli orari delle attività possono essere più o meno elastiche, che le domandine dei detenuti hanno tempi di risposta più o meno lunghi, che le procedure per fare la spesa sono più o meno trasparenti, ecc. In ogni caso un progetto che voglia essere efficace deve partire, o comunque comprendere, questo tipo di conoscenza per poter anche capire il livello degli ostacoli che quotidianamente possono essere frapposti tra i diversi livelli istituzionali. La consapevolezza circa il peso che queste variabili hanno nel corso dell’operatività è fondamentale anche per avere chiaro quali sono le regole che vanno comunque accettate, al di là del loro buon senso apparente, perché sono la rappresentazione simbolica dei diversi livelli di potere interno. L’esempio più eclatante e inevitabile per chiunque voglia lavorare in carcere è il tempo di attesa degli operatori ai cancelli, o il tempo di attesa per l’arrivo dei detenuti alle attività. Un progetto che organizza i propri tempi senza tenere conto degli strutturali tempi morti dell’attesa, o che pretenda, per il solo fatto di essere stato promosso dalla Direzione, di avere vie privilegiate di accesso anche da parte del personale di custodia, dimostra di non conoscere a sufficienza il contesto in cui sta lavorando. I ruoli e le responsabilità. La terza variabile che appartiene al contesto e che è bene tenere presente nell’attività di progettazione, è quella relativa ai ruoli e alle responsabilità formali degli attori che lavorano all’interno del sistema penitenziario. n carcere può essere visto, in questa prospettiva, come un insieme che contiene alcuni sottoinsiemi tra loro in interazione. Offriamo in questa sede uno schema generale che, indipendentemente dal singolo carcere, consente di farsi un’idea degli interlocutori con cui si può avere a che fare quando si lavora in chiave progettuale. Volutamente si danno in queste righe delle descrizioni molto sintetiche tese a capire soprattutto quanto e come è indispensabile tenere conto degli interlocutori, a seconda del loro livello di potere interno. Suddividiamo l’elenco secondo la definizione di due aree: quella interna, che rappresenta chi vive dentro le mura del carcere e quella esterna, che rappresenta chi ricopre ruoli e responsabilità pur agendo al di fuori delle mura del carcere. Nell’area interna è possibile individuare: La Direzione dell’istituto che è responsabile di tutto ciò che vi accade ed è l’interlocutore primo per chiunque voglia attuare un progetto. Senza il consenso e l’appoggio della direzione è impensabile qualunque attività. n personale di polizia penitenziaria: responsabile delle funzioni di custodia, è 1’interlocutore che sovente rimane implicito, ma che può influenzare operativamente l’intero progetto. Senza il supporto degli agenti di polizia penitenziaria il progetto, sempre che riesca a partire, richiederà il doppio della fatica e otterrà la metà dei risultati. In ogni caso la partecipazione dei detenuti alle iniziative è strettamente connessa al tipo di rapporto che si instaura tra gli stessi e gli agenti, cosi come tra gli agenti e gli operatori del progetto. L’area pedagogica è un altro dei fondamentali sistemi del contesto penitenziario. Gli educatori sono formalmente gli interlocutori più direttamente coinvolgibili in attività progettuali interne al carcere, ma non accade cosi nella sostanza. il carico di lavoro sicuramente troppo elevato, unitamente ad una cultura operativa che si è andata storicamente impoverendo per le funzioni burocratiche che via a via hanno soppiantato quelle educative, fa degli educatori un’area difficile da coinvolgere in una prospettiva di progetto. È tuttavia indubbio che educatori motivati all’interno di un progetto costituiscono una risorsa capace di moltiplicare e amplificare i risultati del progetto stesso e pertanto le energie indirizzate a questo scopo sono sempre ben spese. In particolare è essenziale mantenere almeno un livello di informazione costante sull’andamento del progetto per costruire nel tempo un’alleanza che ne favorisca il consolidamento e definire con precisione quali sono le responsabilità degli educatori che costituiscono anche un vincolo per la realizzazione del progetto. Esperti ex art. 80 sono rappresentati da psicologi e criminologi, consulenti del Ministero della Giustizia, che istituzionalmente sono preposti all’attività di osservazione e trattamento, ma che potrebbero anche occuparsi di suppo11o ai detenuti indipendentemente dalla finalità legata ai permessi o alle misure alternative. Nella sostanza una figura che normativamente è ancora "accessoria" e che tuttavia nel tempo si è andata consolidando sul piano dell’occupazione di spazi operativi. Gli esperti possono costituire una risorsa concreta in una prospettiva di tipo progettuale perché dispongono di un’autonomia professionale elevata, non essendo nemmeno dipendenti del Ministero della Giustizia, e che tuttavia deve fare i conti con due problemi. Il primo è di senso: si tratta infatti di una scelta del singolo professionista che al momento non fa sicuramente parte della cultura operativa degli esperti penitenziari presi nella loro globalità. Un secondo è di carattere organizzativo ed ha a che fare con l’esiguità delle ore destinate al lavoro in carcere. L’area sanitaria a cui è attribuita la responsabilità della salute della popolazione detenuta. I medici e gli infermieri che lavorano in ambito penitenziario ricoprono un ruolo essenziale agli occhi di chi è ristretto in carcere. Il medico è inoltre un possibile membro del consiglio di disciplina e dispone quindi anche di un potere formale. Oltre alle attività di diagnosi e cura, i sanitari sono chiamati a svolgere anche attività preventive e di educazione alla salute. Indipendentemente dal fatto che ciò accada o meno, rispetto ad attività progettuali che vogliano occuparsi anche di informazione ed educazione sanitaria, i sanitari che operano all’interno costituiscono un interlocutore di sicuro interesse che è opportuno coinvolgere il più possibile per far si che iniziative promosse dall’esterno possano continuare nel tempo. A nulla vale offrire conoscenze alle persone detenute se contemporaneamente non si integrano le conoscenze dei medici penitenziari e se da ciò non derivano azioni concrete di cambiamento delle prassi operative interne. il Cappellano: figura riconosciuta formalmente come membro dell’equipe di osservazione e trattamento, il cappellano può essere considerato un interlocutore interessante per l’attività di progettazione, secondo l’ipotesi proposta in questa sede, in quanto è sovente un attore del sistema che possiede molte interazioni sia interne che esterne al carcere. Indipendentemente dalla valutazione nel merito della dimensione del potere effettivo di questo ruolo, interessa sottolineare come il cappellano possa essere una figura chiave ri- spetto al collegamento interno o esterno. Ciò vale, ovviamente, anche per i ministri di culto diversi dalla religione cattolica, tema sul quale non si offrono a approfondimenti in questa sede perché richiederebbe un’analisi attenta e puntuale. Gli operatori coinvolti in attività assistenziali, educative, ricreative e culturali. Quasi sempre in un istituto penitenziario sono attivi corsi scolastici, corsi professionali, attività ludico-ricreative, attività espressive, ecc. Quasi sempre, cioè, un progetto che vuole inserirsi in un istituto penitenziario, entra in un mondo dove anche altri stanno già lavorando sia a titolo professionale che a titolo volontario. Se la logica progettuale è corretta, una buona conoscenza di quanto è già attivo in carcere consente sia di valutare le possibilità di integrazione, sia di considerare al contrario le necessità di differenziazione. Non solo, la conoscenza dei risultati di altre esperienze può essere d’aiuto per attività previsionali che cerchino di evitare almeno gli errori commessi da altri. Per quanto concerne l’area esterna, è necessario tenere presenti i seguenti interlocutori: Il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (PRAP) che costituisce un riferimento imprescindibile per le azioni progettuali in quanto, nel suo ruolo di rappresentanza regionale del Dipartimento centrale, deve esprimere pareri su tutti i progetti che vengano proposti nell’ambito territoriale di sua competenza. La Magistratura di Sorveglianza che è formalmente preposta alla concessione delle misure alternative. La magistratura di sorveglianza è un interlocutore strutturalmente presente in una strategia progettuale che voglia essere corrispondente alle linee-guida proposte in questa sede. A vere chiarezza sulle sue funzioni e sui suoi poteri è il primo passo per avere chiari alcuni confini normativi; conosciamo gli orientamenti locali è il passo indispensabile per strutturare progetti che si sviluppino concretamente anche nella dimensione esterna al carcere. Il Centro di Servizio Sociale (CSSA per gli adulti - USSM per i minori), raccoglie gli assistenti sociali che, formalmente preposti alla gestione delle misure esterne al carcere, sono gli interlocutori di gran lunga più significativi in una logica progettuale che vede il dentro e il fuori come processi inscindibili. Il ruolo "ponte" che caratterizza questa figura professionale si realizza attualmente soprattutto in chiave individuale e i limiti strutturali dei centri di servizio sociale ( carichi di lavoro pesanti, carenza di personale, dislocazione territoriale dispersiva, ecc. ) non consentono di pensare a sostanziali modifiche di queste modalità operative. Tuttavia è possibile e utile individuare dei livelli di integrazione effettivi con questa figura, in progetti che possono prevedere ruoli di consulenza e di rappresentanza istituzionale. I servizi del territorio sono a diverso titolo impegnati nei programmi individuali di reinserimento. Gli operatori dei servizi pubblici sono ormai una realtà ampiamente connessa all’ambito penitenziario e possono essere essi stessi promotori di progetti che si sviluppano all’interno di linee-guida, protocolli di intesa, convenzioni, ecc. Conoscere il loro modo di operare con il carcere può dare conto delle potenzialità generali a cui un progetto può concretamente dare vita, soprattutto rispetto alL’aggancio alL’esterno e alla promozione di una cultura dei servizi come "responsabili" anche delle persone che attraversano il carcere. Il clima interno a ciascun carcere, come qualunque organizzazione, si presenta come un mondo proprio. Questo tipo di unicità -è dato in particolare dal clima che vi si respira. La metafora del clima viene utilizza nell’analisi delle organizzazioni per riferirsi alla dimensione meno razionale, alle percezioni soggettive dei rapporti e delle relazioni che si vivono in un determinato luogo, agli aspetti che hanno più a che fare con l’area psicologica. 5. In clima è sostanzialmente la somma delle percezioni che le persone hanno del loro luogo di lavoro che è conseguente a diverse variabili organizzative (il livello del potere, delle comunicazioni, lo stile delle leadership, i livelli di stress, ecc. ) In questa sede si fa riferimento a questo concetto perché si è convinti che nella dimensione del clima siano inclusi gran parte dei "non detti", degli impliciti di un carcere. Diventare buoni ascoltatori del clima che si percepisce entrando in un carcere, imparare a conoscere come chi vi lavora quotidianamente percepisce la dimensione umana del proprio luogo di lavoro, consente di comprenderne le dinamiche interne, di cogliere le alleanze o le discordanze tra i diversi gruppi, di verificare il grado di motivazione, di individuare i punti di forza interni e i punti di debolezza. Tutto questo aiuta chi intende realizzare interventi in carcere in una prospettiva progettuale, a lavorare in modo mirato, ad individuare le precondizioni che possono favorire i percorsi, a cogliere al volo le occasioni quando si presentano, a prevedere con intelligenza gli ostacoli che potrebbero inficiare i risultati del progetto, a cogliere i messaggi che provengono dal contesto in modo tempestivo. Ciò naturalmente presuppone la consapevolezza che l’efficacia di un progetto è la conseguenza in primo luogo di una azione contestuale. Deduzioni metodologiche derivanti dall’analisi del contesto Le variabili di contesto fin qui individuate non sono certo onnicomprensive, ma a nostro parere sono quelle che comunque colgono agli aspetti che hanno più a che fare con l’area psicologica. Il clima è sostanzialmente la somma delle percezioni che le persone hanno del loro luogo di lavoro che è conseguente a diverse variabili organizzative (il livello del potere, delle comunicazioni, lo stile delle leadership, i livelli di stress, ecc. ) In questa sede si fa riferimento a questo concetto perché si è convinti che nella dimensione del clima siano inclusi gran parte dei "non detti", degli impliciti di un carcere. Diventare buoni ascoltatori del clima che si percepisce entrando in un carcere, imparare a conoscere come chi vi lavora quotidianamente percepisce la dimensione umana del proprio luogo di lavoro, consente di comprenderne le dinamiche interne, di cogliere le alleanze o le discordanze tra i diversi gruppi, di verificare il grado di motivazione, di individuare i punti di forza interni e i punti di debolezza. Tutto questo aiuta chi intende realizzare interventi in carcere in una prospettiva progettuale, a lavorare in modo mirato, ad individuare le precondizioni che possono favorire i percorsi, a cogliere al volo le occasioni quando si presentano, a prevedere con intelligenza gli ostacoli che potrebbero inficiare i risultati del progetto, a cogliere i messaggi che provengono dal contesto in modo tempestivo. Ciò naturalmente presuppone la consapevolezza che l’efficacia di un progetto è la conseguenza in primo luogo di una azione contestuale. Deduzioni metodologiche derivanti dall’analisi del contesto Le variabili di contesto fin qui individuate non sono certo onnicomprensive, ma a nostro parere sono quelle che comunque vanno prese in considerazione quando si opera all’interno del contesto penitenziario. Considerarle significa utilizzare le informazioni relative a queste variabili ai fini della progettazione stessa di modo che quanto pensato e proposto sulla carta possa avere alte probabilità di concretizzazione. Quando invece ci si trova a dover progettare senza poter avere sufficienti conoscenze relative allo specifico istituto penitenziario in cui si va ad operare, è fondamentale ipotizzare nella fase di realizzazione del progetto un primo periodo di osservazione partecipante in modo da poter ottenere le informazioni sul contesto che possono aiutare a impostare in modo mirato le diverse attività. È comunque da un’adeguata analisi del contesto che si possono trarre indicazioni di metodo importanti. Non si tratta di proporre ricette, ma soltanto livelli di attenzione e di consapevolezza coerenti con i problemi strutturali che si incontrano nel lavorare in carcere secondo una prospettiva progettuale. La prima considerazione è relativa alle caratteristiche autarchiche del carcere: si tratta di un mondo che basta a se stesso e quindi l’intervento di chi viene dall’esterno non è di per se indispensabile: perciò può essere interrotto in qualsiasi momento. li senso di precarietà, cosi come l’impressione che ciò che viene realizzato importi poco all’istituzione (a meno che non venga vissuto come pericoloso), è dunque un realtà che va tenuta presente, soprattutto quando c’è una forte motivazione da parte di chi desidera lavorare in carcere. La seconda considerazione deriva dalla consapevolezza che ciò che è possibile realizzare in carcere è strettamente connesso alla disponibilità di chi lo dirige e di chi dall’esterno (magistratura di sorveglianza) ha poteri decisionali: come in qualunque altra situazione inserita nel contesto di norme giuridiche, anche l’attività in ambito penitenziario è sottoposta alla discrezionalità dei decisori, alle loro modalità di interpretare le norme e il proprio ruolo. Da ciò deriva l’importanza di acquisire competenze in termini di negoziazione sia con il versante dei "controllori", sia con la popolazione detenuta. Chiunque intenda lavorare in ambito penitenziario senza sporcarsi le mani con i diversi livelli del potere si troverà necessariamente confinato in attività di tipo meramente assistenziale o in azioni di mera denuncia dall’esterno. In terzo luogo, l’analisi del contesto penitenziario indica come per lavorare in chiave progettuale sia indispensabile porsi la questione del raccordo con la realtà esterna secondo una logica strettamente operativa e non soltanto politica. L’individuazione di referenti precisi e motivati nell’area esterna, il loro coinvolgimento fin dall’inizio della progettazione e nei successivi momenti di verifica, l’assegnazione di compiti e responsabilità precise coerenti con il ruolo che ricoprono all’esterno, sono tutti strumenti indispensabili per rendere il collegamento dentro/fuori un obiettivo concretizzabile e non una semplice enunciazione di principio. Dal punto di vista metodologico questa operazione richiede ruoli interni al progetto che siano dedicati al mantenimento di questo tipo di relazioni, soprattutto quando si tratta di coinvolgere le istituzioni e gli enti locali. Infine, dall’analisi del contesto possono essere desunte anche alcune indicazioni sugli strumenti di lavoro che possono essere usati e quindi essere tradotti in competenze tecniche utili per gli operatori: conoscenza della metodologia della ricerca intervento partecipata, capacità di condurre colloqui mirati con i testimoni privilegiati, competenze nelle attività di diagnosi organizzativa, strategie di negoziazione, sono a nostro avviso indispensabili per operare efficacemente all’interno di un carcere in una dimensione progettuale complessa.
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