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Un romanzo di denuncia che fa riflettere tutti Potete additarci quanto volete come mostri, potete considerarci i peggiori nemici pubblici, però vi prego, prima leggete questo romanzo
recensione di Elton Kalica
Da troppi anni ormai si ascoltano i telegiornali gridare continuamente all’emergenza sicurezza, individuando il pericolo pubblico numero uno nelle prostitute, nelle rom, negli stranieri, nei tossicodipendenti e in tutte quelle categorie che infastidiscono con i loro reati, spesso commessi per sopravvivere. Ma succede poi che quando queste persone, accusate, condannate, prima e dopo il processo, alla fine finiscono in carcere, difficilmente pensano di essere il vero nemico pubblico. Gli viene istintivo puntare il dito verso altri condannati, sostenendo che è quello il più pericoloso, che quello è il reato da ripudiare perché più orribile del proprio: così chi ruba in appartamento si giustifica dicendo che per lo meno lui non scippa gli anziani e quindi qualche pregio, in fondo, lo ha; il tossicodipendente che spaccia sostiene che sono i trafficanti ad arricchirsi, lui il profitto dei suoi reati se lo inietta nelle vene e basta; il trafficante invece si giustifica dicendo che mandare a spacciare ragazzini tossicodipendenti al parco è niente in confronto ai magnaccia che mandano a battere le donne; il mafioso invece sostiene di essere meglio dei violentatori e dei pedofili perché lui le donne e i bambini li rispetta, salvo poi, se capita, ammazzarli in faide mostruose… Insomma il carcere, chiudendo le persone in una cella e costringendole all’inerzia, toglie ogni senso di responsabilità, ogni capacità di autocritica, innescando istinti puerili, ed ecco che si ritorna a essere bambini e dire: “Io non ho fatto niente di grave, lui invece, lui ha fatto di peggio”. Sfortunatamente, anch’io non sono rimasto immune dalla infantilizzazione da galera, e a volte mi sento anch’io vittima, come tutte le vittime che mi circondano. Ma non solo. Ho appena finito di leggere un romanzo che mi ha fatto sentire ancora più vittima, ma non vittima di un reato bensì di un’ingiustizia più grande, e determinante sui nostri destini: sapere di essere stato derubato o rapinato forse sarebbe un sollievo in confronto alle crudeltà, alle violenze e alle nefandezze narrate da questo romanzo, che svela il vero volto di tanti uomini e donne che hanno potere o ci governano in questi anni. Il romanzo in questione s’intitola “La famiglia Winshaw”. L’autore, Jonathan Coe, uno dei migliori romanzieri inglesi contemporanei, narra la storia di una famiglia, i cui membri si sono insediati nei posti dominanti della società britannica, voraci governanti senza scrupoli che sfruttano il loro genio per accumulare ricchezze e potere senza avere alcun senso di legalità, e nessuna morale. La voce narrante, Michael Owen, uno scrittore stanco e disordinato ma dalle idee chiare e dalla morale definita, intreccia la potenza dominatrice degli Winshaw alla sua vita normale, alle sue grandiose ambizioni da adolescente, ai suoi complicati amori da adulto, alle delusioni professionali della vita nella giungla editoriale. Ho trovato straordinaria questa sua scelta di raccontare muovendosi fra la propria vita, semplice e onesta, e quella di una famiglia influente, piena di complotti e crimini, perché usando la propria esperienza di vita, e quella dei suoi amici, raccontando i disastri quotidiani in cui si possono riconoscere la maggior parte delle persone, il narratore è riuscito a costruire un quadro della vita economica, che a detta di molti ha devastato l’Inghilterra degli anni ottanta, così come ha sollevato il coperchio che copriva lo squallore della politica internazionale di un paese che si preparava alla guerra in Iraq.
I mostri sono loro?
È stato inevitabile per me essere investito da un senso di frustrazione, dopo aver finito di leggere questo romanzo. Forse perché mi aspettavo una fine diversa, una conclusione di quelle dove arrivano i buoni e salvano il mondo; forse perché speravo che si trattasse di una storia inventata e che le ingiustizie e i crimini raccontati non fossero mai avvenuti; invece le ingiustizie, le crudeltà, i crimini raccontati sono tutti veri, così come è vero che non è arrivato ancora nessuno a salvare il mondo, e che le ingiustizie continuano a perpetrarsi. I vari Henry Winshaw continuano a impedire che il denaro dei ricchi sia speso per far funzionare le scuole, i trasporti e gli ospedali pubblici, e la gente continua a non trovare mai un letto libero per ricoverarsi e curarsi; i vari Mark continuano a commerciare partite di cannoni e di missili così come di sostanze tipo Demeton, Paraoxon e Parathion, facilmente trasformabili in gas nervino, disinteressandosi del loro uso; le varie Dorothy continuano a sperimentare le tecniche più infami di produzione alimentare, facendo uso indiscriminato di antibiotici e ormoni, per stimolare la crescita del bestiame, e di ogni sorta di pesticidi in circolazione per incrementare il rendimento agricolo, e rispondere così alle esigenze delle holdings che dirigono; i Thomas di turno continuano a prendere il controllo di piccole e medie aziende per svuotare i fondi pensione che custodiscono i contributi, versati per una intera vita dai lavoratori, per poi licenziarli tutti. Ecco perché oggi ho deciso di fare anch’io come fanno tanti miei compagni di detenzione e dire che io in fondo non sono il mostro, ma che i mostri sono gli altri. Certo sono un albanese che è venuto in Italia a rompere le scatole, ho commesso un reato e sono in galera da più di dieci anni, ma oggi voglio gridare che almeno io non sono come loro, come i vari Winshaw che vi comandano, che vi succhiano il sangue, che vi schiacciano, vi sfruttano, vi derubano e voi non ve ne accorgete neanche. Allora potete additarmi quanto volete, indicarmi come il mostro, come il nemico pubblico numero uno, però vi prego, prima leggete questo romanzo. Certo, ascoltare i telegiornali è più facile, veloce ed economico, ma in questo libro troverete cose di cui difficilmente parleranno i telegiornali. Vite misteriose, intrighi shakespeariani, crimini che non incontrano mai giustizia, vittime che non troveranno mai ragione. “Se l’immaginazione è la linfa vitale del popolo e il pensiero è il nostro ossigeno, allora sta di fatto che lui (Roddy Winshaw) ha ostruito la circolazione sanguigna e lei (Hilary Winshaw) ha fatto in modo che fossimo tutti morti dal collo in su. E così, loro stanno tranquilli nelle loro case a rimpinguare i profitti, e noi siamo tutti qui. I nostri affari sono un fallimento, i posti di lavoro si assottigliano, gli ospedali vanno a pezzi, le campagne sono allo stremo, le nostre case confiscate, i nostri corpi avvelenati, le nostre menti all’ammasso, tutto lo spirito vitale del paese è straziato, ridotto all’ultimo respiro”. Ho voluto riportare questo passaggio perché mi piace concludere così il mio invito a leggere questo libro, tentando di contagiarvi con la febbre della ribellione.
Ma chi è la “famiglia Winshaw?
Thomas Winshaw dirige una banca e le transazioni formano la base delle sue inebrianti speculazioni quotidiane. Lui stesso aveva dichiarato una volta a un intervistatore televisivo che operare in banca era diventata la più spirituale di tutte le professioni. Ma il periodo più felice della sua vita è stato, nei primi anni ottanta, quando Mrs Thatcher ho rinnovato l’immagine della City e trasformato gli speculatori in eroi nazionali descrivendoli come “creatori di ricchezza”, alchimisti che potevano trarre dall’aria fina fortune inimmaginabili. Il fatto che quelle fortune finissero dritte in tasca loro, o in quelle dei loro padroni, è un dato trascurabilissimo. La nazione, per un breve, eccitante periodo, ebbe soggezione di loro.
Mark, suo giovane cugino, invece è un chimico ma si specializza presto nell’industria bellica. Il suo acquirente principale è Saddam Hussein. Frequenti le sue visite a Qalat Saleh, un sito di esercitazioni militari dove vengono fatte le prove dei cannoni e dei missili appena acquistati da Mark. “Questi son tempi all’insegna dell’internazionalismo. E queste basi lo testimoniano. Camere di compressione svizzere, generatori tedeschi, porte italiane, sistemi di comunicazione inglesi, hangar francesi. Cosa c’è di più cosmopolita?”, gli aveva detto una volta un generale irakeno durante l’embargo, mentre Mark, che gli aveva appena venduto i cannoni 155 Gct, tentava di vendergli anche delle porte di sicurezza.
La cuginetta Hilary, invece, fa carriera nell’editoria rivelandosi una straordinaria manipolatrice di informazione, soprattutto nel nascondere le notizie più scottanti per i potenti.
Un altro Winshaw, Henry, dirige il Servizio sanitario nazionale quando il thatcherismo è al suo apice. Il suo sogno è quello di trasformare l’ospedale pubblico in una specie di supermercato dove possono entrare solo quelli che, dopo aver ricevuto il servizio desiderato (che si tratti di una cura intensiva di antibiotici o di trapianto), sia poi in grado di presentarsi alla cassa per pagare il conto. Sua anche la decisione di condurre una severa battaglia contro la parola “ospedale” e sostituirla con “unità di distribuzione”, secondo il principio che l’unico scopo dello Stato è “di distribuire servizi che verranno acquistati dalle autorità sanitarie e dai medici generici dotati di fondi, attraverso dei contratti negoziati. L’ospedale diventa un negozio e un’operazione chirurgica una merce, con un sacrosanto prevalere delle normali consuetudini in atto nel mondo degli affari: accumula e poi vendi a buon prezzo!”.
Roderick Winshaw invece passa il tempo mercanteggiando in opere d’arte, sempre in cerca di giovani pittrici da ingannare con false speranze di un futuro brillante, soltanto per portarle a letto, per cacciarle fuori di casa all’alba.
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