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Piccoli omicidi, al di là della cronaca
di Graziano Scialpi
che paradossalmente circondano di un alone di mistero i protagonisti della cronaca, trasformandoli in eroi negativi, Picozzi vuole spingere a chiedersi il perché. L’esame dei cinque delitti narrati nel libro, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe suscitare stimoli, suggestioni e interrogativi profondi in quanti, di fronte a questi drammi, si dividono in colpevolisti e innocentisti, in forcaioli e perdonisti come se si trattasse di un evento sportivo. In un solo caso Picozzi prende una posizione e rivela un particolare sfuggito alla grancassa mediatica: quello di Erika De Nardo. La ragazza, secondo l’autore del libro, soffre di un grave disturbo della personalità e la condanna a sedici anni di reclusione non è professionalmente condivisa. Secondo Picozzi la giovane avrebbe dovuto essere affidata a una struttura riabilitativa, non al carcere. Perché, ferma restando la necessità di una punizione, questa deve essere compresa per avere un significato. L’unica certezza è che un giorno Erika tornerà libera, quanto sarà consapevole dei suoi atti perché è stata curata è tutto da dimostrare. A sostegno della sua tesi, l’autore rivela che, mentre le televisioni erano impegnate a sbandierare la presunta storia d’amore tra Erika e un ragazzotto veneto, le affermazioni di odio nei confronti di Omar erano fasulle. Ancora a mesi dalla condanna, Erika credeva di poter ricostruire la coppia e che l’amore con Omar non era finito: uno dei segni più evidenti della patologia della coppia. Ogni caso viene raccontato asetticamente, usando fonti giornalistiche. Ma ogni caso viene utilizzato per fare luce sui meccanismi che possono portare un bravo ragazzo a compiere delitti orrendi. Illuminante è la spiegazione sulle dinamiche relazionali di gruppo che possono fungere da catalizzatore esplosivo per malattie mentali non invalidanti, soprattutto quando la personalità del giovane è fragile e il suo bagaglio emotivo povero. Un altro atteggiamento attaccato da Picozzi è quello che liquida la malattia mentale come un comodo alibi che consente di sfuggire alla giusta punizione. La malattia mentale è di per sé una punizione, una condanna. Ma, a differenza di quelle comminate dai tribunali, è una condanna che non ha un termine e dalla quale difficilmente si può guarire. Il malato mentale le sbarre le ha dentro e non può evadere. Altro punto interessante è la difficoltà che gli stessi specialisti incontrano nel distinguere tra i sintomi di un disturbo della personalità e le manifestazioni di una crisi adolescenziale. Per cui la risposta alle domande Era possibile accorgersene prima? Si poteva fare qualcosa? non può che essere negativa. Il monito del libro è semplice: attenzione, il processo penale minorile italiano è modernissimo e, anche se presenta difetti ed è perfettibile, non deve essere cancellato sull’onda di un’opinione pubblica superficialmente informata. La strada maestra deve essere non quella della punizione, ma quella della comprensione del disagio e, per quanto possibile, della prevenzione delle sue conseguenze più tragiche.
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