Ghiaccio blu

 

Ghiaccio blu, un libro che è anche un’occasione per

 parlare di pena di morte e di carcere

di Pino Corrias

Baldini & Castoldi, € 12

 

Un uomo che si è fatto "piallare" per non morire del tutto

    

Proprio perché questo libro parla carceri e pena morte, ho deciso di evidenziare questi due punti riservando loro una nota strettamente personale, considerato che sono un condannato pure io, non a morte come Jernigan ma come lui vivo in un carcere, e non in America ma in Italia.

La lettura di questo libro mi ha fatto capire, ma direi che il termine più giusto è che mi ha fatto vedere (perché un carcerato non ha bisogno di capire essendoci dentro, vede quello che già conosce) il punto più toccante e disumano di questa storia: Ellis ONE e il braccio della morte, la pena di morte con in più la tortura.

Paul Jernigan infatti non è stato solo giustiziato, direi che è stato anche torturato dal sistema, dalle misure che impongono le leggi texane: 12 anni a Ellis ONE in attesa di essere giustiziato Questo sistema, queste procedure sono vere e proprie torture psicologiche per l’individuo, e se ai tempi delle crociate il castigo dei condannati erano le pene corporali, torture reali, ora nel XX° secolo sono cambiate le tecniche, le procedure, ma la tortura e la morte, quelle rimangono nel sistema. Un’idea soprattutto fa riflettere:  voi

giustiziate me per un crimine che ho fatto, ma chi giustizierà voi? È pur sempre con una morte che voi fate giustizia. Il ragionamento è logico, ma non mette purtroppo in crisi il sistema. Ne deduco che l’America con questo sistema mira proprio alla tortura psicologica dell’individuo che deve giustiziare, con la consapevolezza di far patire il condannato giorno dopo giorno, di farlo vivere in una stressante agonia.

 

Un uomo che si è fatto "piallare" per non morire del tutto

 

Proprio perché questo libro parla carceri e pena morte, ho deciso di evidenziare questi due punti riservando loro una nota strettamente personale, considerato che sono un condannato pure io, non a morte come Jernigan ma come lui vivo in un carcere, e non in America ma in Italia.

La lettura di questo libro mi ha fatto capire, ma direi che il termine più giusto è che mi ha fatto vedere (perché un carcerato non ha bisogno di capire essendoci dentro, vede quello che già conosce) il punto più toccante e disumano di questa storia: Ellis ONE e il braccio della morte, la pena di morte con in più la tortura.

Paul Jernigan infatti non è stato solo giustiziato, direi che è stato anche torturato dal sistema, dalle misure che impongono le leggi texane: 12 anni a Ellis ONE in attesa di essere giustiziato Questo sistema, queste procedure sono vere e proprie torture psicologiche per l’individuo, e se ai tempi delle crociate il castigo dei condannati erano le pene corporali, torture reali, ora nel XX° secolo sono cambiate le tecniche, le procedure, ma la tortura e la morte, quelle rimangono nel sistema.

Un’idea soprattutto fa riflettere: voi giustiziate me per un crimine che ho fatto, ma chi giustizierà voi? È pur sempre con una morte che voi fate giustizia. Il ragionamento è logico, ma non mette purtroppo in crisi il sistema. Ne deduco che l’America con questo sistema mira proprio alla tortura psicologica dell’individuo che deve giustiziare, con la consapevolezza di far patire il condannato giorno dopo giorno, di farlo vivere in una stressante agonia.

 

In carcere è come stare in una grande fabbrica

 

Una seconda considerazione la riservo per l’argomento carcere, perché anche qui, nella storia di Jernigan, troviamo questo sistema e queste regole "oggettivi", molto ben conosciuti dai carcerati e da quelli che sono chiamati a farli rispettare.

Ma voi dovete capire che Jernigan non era un assassino, era un ladruncolo che si limitava a rubare qua e là, viveva di furtarelli ma non aveva una mente davvero criminale, e poi però un criminale lo è diventato!

Badate di non fraintendermi, quanto ora vi dirò non è retorica, tanto meno un autogiustificarsi, bensi è l’oggetto di un accurato ragionamento da parte di chi come me vuoi capire perché Jemigan si è trasformato in un assassino ammazzando un vecchio che lo aveva scoperto mentre rubava: la realtà è che la sola idea di dover ritornare in un carcere ha fatto scattare in lui la furia omicida, e questo per me è un dato di fatto anche se ad affermarlo è soprattutto il giornalista che ha ricostruito tutta la vicenda e che immagina che Paul si sia detto: "Mai più in una schifosa galera".

Bisognerebbe allora ragionarci su meglio, tirando in ballo la questione carcere-reinserimento. E’ noto che stare in carcere è come essere in una grande fabbrica, dove si conoscono tanti altri operai che ti insegnano tante altre cose, ma molti di questi insegnamenti certamente non ti daranno una mano per il tuo futuro, bensì contribuiranno ad aiutare la macchina della giustizia ad assumere tanti altri operai. In definitiva, comunque vada, ti verrà conservato un posto nella tua fabbrica.

Se proviamo a unire la fabbrica del carcere alla giustizia, ci troviamo di fronte una grande industria che ruota intorno al crimine, dove circolano migliaia di miliardi, e a confronto la FIAT sembrerebbe una fabbrichetta.

Il problema chiama in causa il reinserimento del condannato, e devo dire che solo da pochi anni qualcosa si sta movendo in questo campo, ma è poco quello che oggi ci è permesso, e solo a pochi, a causa della carenza di strutture, è consentito frequentare corsi e scuole, avere contatti con gli esterni, professori, educatori pronti alla tua formazione e non burocrati che vivono alle spalle di tutto il sistema.

Il sistema poi è davvero arcaico, come certe nuove strutture nate già vecchie, con principi polizieschi. Ma lo stato non vuole capire che questo sistema è sbagliato, non funziona: come quando hanno formato la nuova Polizia Penitenziaria e più che fornire ai poliziotti pistole e manganelli avrebbero dovuto dare un insegnamento di tipo più sociologico.

Invece nelle carceri oggi vige ancora un sistema militaristico che non aiuta di certo il detenuto a reinserirsi, ma aiuta solo a mantenere l’ordine e quell’odio reciproco che nasce da una condizione di disuguaglianza.

lo rimango dell’opinione che non si può pretendere che un individuo, sottomesso a regole che di fatto lo discriminano e lo umiliano, possa capire il sistema e condividerlo: e cosi si crea in lui quel meccanismo che è scattato in Jemigan.

 

Come cambiano le cose quando si creano dei contatti con il mondo esterno

 

Frequentando un corso con degli operatori esterni, in una classe all’interno della struttura carceraria, ho potuto constatare il cambiamento "espressivo" dei detenuti che lo frequentano.

Proprio guardando le persone, è palpabile questo cambiamento, a differenza di quando ci troviamo in sezione a contatto solo con il personale di custodia: la differenza è enorme, come un cambio di personalità.

I rapporti con il mondo esterno sono dunque fondamentali, e andrebbero ancor più allargati, ma tante altre cose sarebbero da rivedere per migliorarle, anche se non è facile in questa società di regole leggi e sistemi rigidi. Ma è pur sempre importante che chi è chiamato a subire queste regole evidenzi quello che andrebbe cambiato, per un domani, perché chi farà nuove leggi abbia modo di conoscere idee nuove e di evitare di avere sempre "gli stessi operai nella sua fabbrica".

Questo libro analizza tanti aspetti angosciosi della vita di Jernigan, percorre luoghi eccezionali come il cimitero di Huntsville, quello delle prigioni, con le lapidi senza la data di nascita perché quello che interessa è unicamente che quegli uomini siano stati giustiziati, fa parlare gli amici di Jernigan destinati a finire come lui, pieni di odio per il sistema riservato loro.

Ma quello che mi rimane in mente è lui, Jernigan, giustiziato per un microonde, sei lattine di birra e poco altro, e per una targa (quella dell’auto con cui lui era andato a rubare) che forse quell’uomo anziano, che lui non avrebbe mai voluto ammazzare, non aveva nemmeno memorizzato.

Ghiaccio blu ci fa riflettere più di quanto io nel mio piccolo abbia potuto esprimere consigliandone la lettura ai lettori del nostro giornale. Io personalmente ritengo che si debba rispettare la scelta di Paul Jernigan di essere utile a qualcosa e a qualcuno almeno da morto, ed augurarsi che un giorno non dovremo sentire più parlare di queste raccapriccianti torture psicologiche, e neppure della pena di morte.

 

P. S. Inviare copie del libro agli stati che applicano la pena di morte.

 

Andrea Pausic

 

 

 

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