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Inauguriamo una nuova stagione:
Sabato saremo presenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. Terremo in mano una copia della Costituzione italiana, sottolineandone il dimenticato articolo 27.
Assieme, avremo copia:
Insomma, terremo in mano copia delle tante e troppe leggi che dovrebbero garantire pene giuste e carceri civili e sono rimaste sulla carta. Una carta costata anni di fatiche, di lotte, di lavori parlamentari, di sensibilizzazione culturale, di mobilitazione sociale, di dibattito sui giornali e tra la pubblica opinione. I diritti dei detenuti sono rimasti scritti solo sulla carta. Una carta straccia. In compenso, la mancanza e negazione di quei diritti è scritta sulla loro pelle. Martoriata dalla disperazione dell’autolesionismo, dei suicidi, delle malattie non curate, delle morti evitabili. Il sistema penitenziario oggi è illegale: non rispetta le leggi approvate dal parlamento, rese inapplicabili dalla mancanza di risorse e strutture, dall’eccesso di discrezionalità e talvolta, come nel caso del nuovo Regolamento, dalla dichiarata avversione dello stesso ministro di Giustizia. Agli stessi operatori penitenziari è impedito di svolgere con dignità e diritto il proprio lavoro. Perché anche loro sono vittime dell’inadempienza, delle risorse non stanziate, delle piante organiche non attuate, delle promesse non mantenute. Basti al riguardo la cifra più scandalosa: vi sono in servizio 588 educatori sui 1.376 previsti dalla pianta organica. Lo stesso vale per gli assistenti sociali, gli psicologi, il personale amministrativo, quello infermieristico, gli agenti. Sabato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, coglieremo l’occasione per ricordare tutto ciò alle autorità, alle figure istituzionali e agli esponenti politici presenti alla cerimonia. Per chiedere loro, con rispetto ma anche con fermezza, che si smettano il gioco dei rimandi, delle dilazioni, delle vuote contrapposizioni, dei pastrocchi giuridici e degli "indultini". Per chiedere che ogni parlamentare si assuma, in coscienza e libertà, la responsabilità di dire sì oppure no alle sollecitazioni del Papa e del Presidente Ciampi. Di dire sì oppure no a un carcere più umano e meno affollato. Di dire sì oppure no all’indulto. Un indulto senza diminutivi, senza esclusioni e senza trucchi. Un indulto che sia premessa e precondizione di un percorso più ampio e più lungo, per riformare il sistema penale e penitenziario, nel segno di maggiore efficienza e di una giustizia più giusta. Ma sabato saremo lì anche per dire che troppo spesso la legge è dura e inflessibile per i poveri e gli esclusi, ma elastica e distratta per i più forti e potenti. Per questo, l’indulto non ci basta. Altro che diminutivi. L’indulto, pieno e vero, va accompagnato da misure concrete, da un piccolo "piano Marshall" per sostenere il reinserimento sociale e lavorativo di quanti escono dal carcere, nonché migliori condizioni di vita per quanti non possono uscirne e migliori condizioni di lavoro per tutti gli operatori. Questa è la vera garanzia di sicurezza per la collettività e di prevenzione della recidiva. Questo è il dettato dell’articolo 27 della Costituzione. Un articolo troppo spesso dimenticato e anch’esso sostanzialmente inattuato. C’è un prima e un dopo l’auspicato indulto su cui vogliamo egualmente richiamare l’attenzione. Su questo prima e dopo, sulle leggi già esistenti da applicare e su un nuovo pacchetto di misure concrete (condizioni di vita e di lavoro all’interno, formazione, salute, organici, difensore civico, misure alternative, affettività) nelle prossime settimane elaboreremo precise proposte su cui rinnovare alleanze e iniziative comuni tra associazioni, volontariato, cooperazione sociale, operatori penitenziari e sindacati.
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