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Le
parole pronunciate da Ciampi a Spoleto e quelle attese
Panorama, 7 novembre 2002
E se la proposta per l’indulto arrivasse dai presidenti della Camera e del Senato prima che dal Papa? Il 14 novembre si avvicina e Karol Wojtyla non si lascerà sfuggire l’occasione della prima visita di un pontefice al Parlamento italiano per rilanciare quella proposta di clemenza che avanzò invano due anni fa, in occasione del giubileo. I segnali che vengono dal Vaticano sono chiari: il Papa parlerà del sovraffollamento delle carceri, aggiungendo la sua voce all’appello lanciato di fatto dal capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Per trovare una rapida soluzione al problema, in visita al carcere di Spoleto, il presidente della Repubblica, interpretando al meglio un disagio sempre più diffuso e più volte condannato anche in sede internazionale dal Comitato di prevenzione del Consiglio d’Europa, ha parlato di dignità umana calpestata e ha indicato nel sovraffollamento "l’ostacolo principale alla messa in opera di efficaci trattamenti di riabilitazione". Un sovraffollamento che è la causa principale di una promiscuità ormai sempre più inaccettabile, che porta alla trasmissione di infezioni spesso anche mortali. Di più non poteva fare, senza invadere la sfera d’autonomia del Parlamento. È difficile pensare che sia stato un atto casuale, piuttosto che la prima abile mossa di una strategia studiata con un amico di lunga data. La sintonia tra i due "grandi vecchi" della vita italiana è nota, ma da sola potrebbe non bastare: serve un gesto di alto valore politico per consentire a centrodestra e centrosinistra di abbandonare la logica della contrapposizione a tutti i costi su una questione che invece deve essere risolta anche per non portare a esasperazione l’intero sistema carcerario che da troppi anni vive di annunci disattesi. Di fatto, le parole pronunciate da Ciampi e quelle attese da Giovanni Paolo II hanno riacceso il dibattito politico sull’indulto. Una responsabile dichiarazione congiunta, prima del 14 novembre, firmata da Marcello Pera, il filosofo prestato alla politica, e Pier Ferdinando Casini, che ha mostrato di saper tutelare l’indipendenza del collegio che presiede, darebbe un forte valore istituzionale a una legge che, per una volta tanto, non sarebbe vissuta più come un’ingerenza su temi tanto delicati. E forse potrebbe anche servire a rasserenare in parte i toni del dibattito sulla giustizia che, dopo la battaglia in aula per la legge Cirami, sembrano destinati a precipitare in una fase di stallo. I numeri sono impressionanti ed è bene ricordarli: in teoria le carceri italiane potrebbero ospitare 41.730 detenuti, ma oggi ce ne sono quasi 57 mila, dei quali il 41 per cento è formato da persone in attesa di giudizio. Cioè da potenziali innocenti, costretti a convivere in situazioni di estremo disagio, per usare un eufemismo. Ed è proprio su questo punto che dovrebbero anche riflettere i due leader apparentemente più giustizialisti, Gianfranco Fini e Umberto Bossi, tenendo bene a mente l’opera di proselitismo che brigate rosse e nere fecero negli anni di piombo nell’ombra delle carceri. Essi dovrebbero comprendere, al di là di facili risvolti propagandistici, quale fantastico brodo di coltura per il terrorismo islamico siano le migliaia di extracomunitari disperati, e spesso abbandonati, detenuti per pochi grammi di droga, che affollano i penitenziari. Due anni fa, con le elezioni alle porte il governo D’Alema, con l’attuale segretario dei DS Piero Fassino nel ruolo di guardasigilli, non riuscì a trovare il necessario consenso per appoggiare la richiesta del Papa. Ma oggi la situazione è ben diversa. Tutti i senatori a vita hanno firmato una lettera-appello al capo dello Stato e ci sono 18 proposte di legge, da tutte le parti politiche, per affrontare la situazione. A cominciare dalla modifica dell’articolo 79 della Costituzione, che ora prevede una maggioranza dei due terzi in Parlamento per i provvedimenti di amnistia e indulto. Una proposta dei presidenti delle Camere potrebbe davvero superare la logica degli schieramenti e favorire quelle convergenze trasversali necessarie per i provvedimenti improrogabili ma troppo spesso rinviati perché impopolari, tenendo anche conto che il mondo delle carceri non è composto solo dai detenuti ma da quelle migliaia di operatori del settore (agenti di polizia penitenziaria, dirigenti del DAP, assistenti sociali e magistrati di sorveglianza) costretti a vivere quotidianamente in una realtà ormai allucinante, dove viene disatteso il dettato costituzionale e dove non vengono applicati quei provvedimenti, dal nuovo regolamento carcerario alla legge Simeone, che avevano impegnato il Parlamento in grandi battaglie di civiltà rimaste quasi totalmente solo sulla carta e dove non c’è più tempo neppure per attendere una nuova politica di edilizia penitenziaria. |