I magistrati e l'indultino

 

Con l’indultino giudici di sorveglianza messi alle corde

 

Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2003

 

La figura chiave per la riuscita dell’indultino diventa quella del magistrato di sorveglianza. È lui, infatti, che dovrà valutare le richieste fatte dai detenuti per verificare che posseggano i requisiti necessari per l’applicazione della misura di clemenza. E l’S.O.S. è già stato lanciato da alcuni magistrati, che mettono nel mirino disposizioni che nelle prossime settimane scaricheranno sul tavolo dei giudici un carico di lavoro aggiuntivo certo imponente. Se, infatti, non è ancora chiaro quanti saranno i detenuti interessati dal beneficio – si parla di una cifra tra i cinquemila e gli ottomila – di sicuro c’è che a fronteggiare le domande ci saranno solo 150 magistrati.

Sui quali, tra l’altro, nell’ultimo anno si sono scaricate, come fanno osservare le stesse note alla legge, le decisioni sulle domande di libertà anticipata (con il ricorso al tribunale di sorveglianza solo in grado di appello e la decisione in primo grado presa in forma monocratica). Un onere che si è aggiunto alle tradizionali competenze sulla popolazione carceraria in materia di misure alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari o l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Per ognuna delle domande il magistrato dovrà predisporre una piccola istruttoria. Andrà, infatti, valutato se il detenuto ha scontato almeno metà della pena, se non è stato condannato per uno dei reati inseriti nella nutrita lista delle esclusioni, mentre se si tratta di un extracomunitario andrà accertato che non sia passibile di espulsione per ingresso clandestino. Un lavoro da compiere in stretta collaborazione con gli uffici delle carceri deputati ai conteggi delle pene da scontare. Anche perché i detenuti spesso godono di ulteriori benefici che incidono direttamente sulla determinazione della pena, come quello della liberazione anticipata.

Ed è la stessa legge a mettere in guardia da questo punto di vista, sottolineando come il calcolo sulla pena da scontare vada effettuato tenendo conto delle disposizioni in materia di esecuzione di pene concorrenti (e, in questo caso, la competenza alla determinazione dell’effettiva reclusione è del pubblico ministero) e proprio di liberazione anticipata. Su quest’ultimo punto la detenzione residua da scontare andrà ridotta degli eventuali periodi di liberazione anticipata di cui il detenuto abbia eventualmente usufruito.

Il magistrato di sorveglianza, dopo avere condotto l’esame sui reati e sul periodo di detenzione, dovrà affrontare lo scoglio della determinazione dello status del detenuto. Dovrà, infatti, valutare se si sia in presenza di un criminale abituale, professionale o per tendenza. Una qualifica che in alcuni casi dovrà essere richiesta direttamente al giudice di condanna, visto che non sempre questo profilo è contenuto nella scheda del detenuto. Senza contare, poi, che il giudice di sorveglianza, dopo avere fissato con l’ordinanza anche le misure prescrittive, potrà essere chiamato in causa anche nel corso dei cinque anni successivi alla concessione dell’indultino.

Se, infatti, il condannato sarà tornato a compiere un delitto punito con una condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi, oppure non avrà rispettato prescrizioni come l’obbligo di dimora o il divieto di espatrio o, ancora, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, la misura di clemenza gli dovrà essere revocata proprio dal tribunale di sorveglianza che, a quel punto, dovrà determinare anche la pena residua. È chiaro, poi, che la situazione di sofferenza dei giudici di sorveglianza, sui cui organici sta lavorando il CSM, verrà ad essere accresciuta nelle grandi realtà carcerarie. In queste situazioni i fascicoli e le posizioni da valutare saranno numerosi e gli eventuali ritardi potrebbero aumentare le tensioni.

 

 

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