L’esecuzione penale esterna

 

L’esecuzione penale esterna: l’intreccio (e i problemi)

tra l’ordinamento penitenziario e la legge per i dirigenti

di Antonietta Pedrinazzi* e Luigi Morsello**

 

L’art. 3 della legge 27 luglio 2005 n. 154 (Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria) pone più che un problema interpretativo, un problema di raccordo con la legge 354/75, recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative della libertà personale (Nop).

Vale la pena di ricordare che permane la tendenza del moderno legislatore ad inserire norme di altra natura (la sostituzione dell’art. 72 N.O.P) in un DDL presentato per disciplinare altra materia, nella fattispecie la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale, precedentemente affidata alle norme, pubblicistiche prima e privatistiche poi, in materia di dirigenti dello Stato.

Nel caso di specie v’è, almeno, una contiguità di materia fra N.O.P. e legge-delega.

L’art. 3 della legge-delega modifica:

1) la rubrica del capo III del titolo III N.O.P., sostituendola con la seguente: "Esecuzione penale esterna ed assistenza";

2) sostituisce l’art. 72 N.O.P., il quale disciplina gli "Uffici locali di esecuzione penale esterna" (di seguito denominati: U.L.E.P.E.).

 

La disciplina precedente

 

L’art. 72 N.O.P., novellato dall’art. 4 della legge-delega, disciplinava i Centri di servizio sociale adulti (di seguito denominati: C.S.S.A.), una norma alquanto scarna, che ne disciplinava le funzioni con i seguenti comma:

comma 1: istituzione dei C.S.S.A. nelle sedi degli uffici di sorveglianza, possibilità di istituire, con decreto del Ministro della Giustizia, per più uffici di sorveglianza un solo C.S.S.A., stabilendone la sede;

comma 2: loro dipendenza dall’amministrazione penitenziaria, delegando la disciplina della loro organizzazione al regolamento di esecuzione (d.P.R. 230/00, di seguito denominato: R.E.);

comma 3: compiti ad essi affidati, e cioè:

1) esecuzione, su richiesta del magistrato di sorveglianza o della sezione (in seguito denominato: Tribunale) di sorveglianza, delle inchieste sociali, denominate alla circolari dipartimentali inchieste socio-familiari, necessarie ed atte a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;

2) inchieste socio-familiari necessarie per il trattamento dei condannati e degli internati;

3) attività necessarie per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive.

comma 4: opera di consulenza, si richiesta delle direzioni degli istituti di pena, per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

 

La novella dell’art. 3 della legge-delega

 

La novella dell’art. 3 della legge-delega detta la seguente disciplina:

Il comma 1 pone i nuovi uffici alla dipendenze del Ministero della Giustizia, affidandone la disciplina circa l’organizzazione e il funzionamento ad un Regolamento da adottarsi con decreto del Ministro della Giustizia (art. 17, comma 3, L . 400/88).

Quanto alla dipendenza degli U.L.E.P.E. dal Ministero della Giustizia nulla viene innovato in ordine alla loro organizzazione gerarchica, dovendo gli stessi rientrare nell’ambito del D.M. 22 gennaio 2002, (organizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di seguito denominato: D.A.P.), che all’art. 7 disciplina la Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna (di seguito denominata: D.G.E.P.E. ). Dunque la dipendenza dal Ministero della Giustizia è intesa in senso ampio, per cui i nuovi uffici restano incardinati nella suddetta D.G.E.P.E. .

Questo comma segna, però, una differenza, in quanto affida la disciplina dell’organizzazione dei nuovi uffici non più al R.E. del N.O.P. ma a uno strumento legislativo successivo, cioè a un Regolamento di competenza del Ministro della Giustizia, che però non potrebbe modificare, nemmeno in parte, la disciplina data dei C.S.S.A ., contenuta nel R.E., essendo noto che, nella gerarchia delle fonti di produzione del diritto, i regolamenti adottati con decreto del Presidente della Repubblica precedono quello adottato con decreto ministeriale. Il che assottiglia l’ambito si autonomia del futuro Regolamento del Ministro della Giustizia.

Il comma 2 individua i compiti affidati ai nuovi uffici, e cioè:

1) svolgimento, su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, di inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;

2) svolgimento delle indagini socio-familiari (l’espressione, dunque, entra nel linguaggio giuridico) necessarie per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione dei condannati e degli internati;

3) proposizione del programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono l’ammissione all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare;

4) controllo della esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, con obbligo di riferire direttamente all’Autorità Giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modifica o di revoca;

5) consulenza agli istituti penitenziari, su richiesta delle Direzioni, al fine di favorire il buon esito del trattamento penitenziario;

6) svolgimento di ogni altra attività prescritta dalla legge (penitenziaria) o dal regolamento (di esecuzione).

 

La vera novità della legge-delega

 

I precedenti punti 3)-4)-5) sono la novità dirompente della novella dell’art. 3 della legge-delega.

Il comma 2, lett. c) dell’art. 72 novellato contiene le seguenti novità:

1) scompare la dicitura ‘al Servizio Socialè che recava l’art. 47 del N.O.P., che dovrà quindi essere ritoccato per l’intervenuta implicita modifica introdotta nell’art. 72 novellato;

2) per la concessione delle misure alternative alla detenzione di affidamento in prova e detenzione domiciliare, previste rispettivamente dall’art. 47 e dall’art. 47 ter del N.O.P., il programma di trattamento dovrà essere proposto dagli U.L.E.P.E., non più dal Direttore del carcere ( organo proponente per i casi di ammissione dallo stato di detenzione).

Nel N.O.P. il trattamento dei condannati e degli internati è disciplinato:

a) dall’art. 13 (Individualizzazione del trattamento),

b) dall’art. 15 (Elementi del trattamento),

mentre la regolamentazione delle attività conseguenti resta affidata al R.E., che se ne occupa:

c) all’art. 27 (Osservazione della personalità),

d) all’art. 28 (Espletamento dell’osservazione della personalità),

e) all’art. 29 (Programma individualizzato di trattamento).

Il comma 3 dell’art. 29 prevede che la compilazione del programma di trattamento è effettuata da un gruppo di osservazione e trattamento (in seguito denominato: G.O.T.), presieduto dal direttore dell’istituto e composto dal personale dell’Amministrazione penitenziaria e dagli esperti che hanno svolto le attività di osservazione di cui al precedente art. 28.

L’art. 28 prevede che, di regola, l’osservazione è compiuta presso gli istituti dove si eseguono le pene e le misure di sicurezza detentiva (comma 1), mentre solo quando è necessario un particolare approfondimento i soggetti da osservare sono trasferiti, su proposta motivata, ai centri di osservazione attivati in pochi grossi istituti penitenziari (comma 2).

Nel carcere milanese di S. Vittore esiste da tempo il Centro di Osservazione Criminologica, denominato C.O.C., ma pochi altri C.O.C. sono dislocati strategicamente sul territorio nazionale.

Il comma 3 dell’art. 29 affida al Direttore dell’Istituto (penitenziario o del Centro di Osservazione) la responsabilità delle attività di osservazione, che egli stesso coordina.

Va infine detto che l’art. 27 prevede:

comma 1: l’acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e sociali (questi ultimi di competenza degli ex - C.S.S.A.);

comma 2: la compilazione del programma di trattamento quale risultato ( sintesi) degli elementi acquisiti in base al precedente comma 1, con la collaborazione del condannato o dell’internato, prevedendosi a tal fine un termine massimo di nove mesi;

comma 3: l’acquisizione ,nel corso dell’osservazione (che si volge continuativamente durante l’esecuzione della pena detentiva definitivamente irrogata), di nuovi elementi che comportino la necessità di una variazione del programma di trattamento.

Per verificare quali interazioni discendono da questa norma di legge occorre prima esaminare gli istituti giuridici in essa richiamati, e cioè;

l’affidamento in prova (al servizio sociale);

la detenzione domiciliare.

Il comma 2, lett. d) dell’art. 72 novellato, come sopra già richiamato, contiene le seguenti novità.

1) incombe sugli U.L.E.P.E. non solo l’obbligo di controllo della esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ma anche il dovere di riferire direttamente:

a) all’Autorità Giudiziaria procedente nei casi di necessità di adozione di misure di sicurezza,

b) al Tribunale di Sorveglianza per le misure alternative alla detenzione,

e , inoltre, da ora, anche la facoltà di proporre eventuali interventi di modificazione o di revoca.

2) l’ampia espressione usata dal legislatore ("ammessi alle misure alternative") porta a concludere che, per quanto riguarda la semi-libertà (per gli altri istituti giuridici delle misure alternative la Direzione dell’Istituto non era coinvolta nella fase dell’esecuzione, prevedendosi la dimissione dei detenuti dal carcere) scompare la responsabilità del trattamento in capo al Direttore del carcere, prevista dal comma 3 dell’art. 101 R.E.

È possibile affermare ciò in quanto la lettera della novella del 2005, che si ritiene conforme alla spirito della stessa, non si limita a confermare l’obbligo di controllo, peraltro sussidiario, già incombente sui C.S.S.A., ma lo afferma come obbligo primario e autonomo; infatti, gli U.L.E.P.E. riferiscono gli esiti di tali controlli alla ‘Autorità Giudiziaria’ ( in modo diretto e non più mediato dal Direttore dell’Istituto Penitenziario), alla quale possono fare proposte (anche queste in modo diretto) di ‘interventi di modificazione di revoca’ delle ‘misure alternativè.

Appare in sostanza superata la responsabilità del Direttore penitenziario dal potere di iniziativa autonoma degli U.L.E.P.E. non solo riguardo al controllo dell’ esecuzione del programma da parte degli ammessi alle misure alternative, che diviene esclusivo, ma anche riguardo alla facoltà di proporre interventi di modifica o revoca delle misure stesse, facoltà prima appartenente al Direttore del carcere in funzione della responsabilità del trattamento a tale organo attribuita dall’O.P.

Il comma 2, lett. e) dell’art. 72 novellato introduce un ulteriore elemento di novità, perché chiarisce che l’intervento di consulenza nell’ambito del trattamento penitenziario, prima non specificamente previsto dalla legge penitenziaria, necessita della richiesta del Direttore del carcere, che quindi valuta autonomamente tale necessità.

 

L’affidamento in prova

 

Art. 47 N.O.P.

 

L’affidamento in prova è concedibile quando la pena detentiva inflitta non superi i tre anni.

In tal caso il condannato viene affidato agli U.L.E.P.E. per un periodo di tempo pari a quello che rimane ancora da scontare, il che ne comporta la scarcerazione.

L’affidamento in prova viene concesso al condannato detenuto sulla scorta dei risultati (positivi) dell’osservazione svolta collegialmente in istituto per almeno un mese.

L’affidamento può essere disposto senza procedere all’osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, abbia tenuto un comportamento positivo tanto da rendere concedibile l’affidamento in prova, ritenuto misura alternativa alla detenzione più idonea rispetto alla esecuzione della pena in regime detentivo e tale da contribuire più efficacemente alla rieducazione ed al recupero sociale del reo.

L’istanza di affidamento può essere proposta prima che dell’inizio l’esecuzione della pena detentiva irrogata, in tal caso il Pubblico Ministero competente per l’esecuzione sospende l’ordine di carcerazione e trasmette l’ istanza al Tribunale di Sorveglianza, cui spetta la decisione di concessione o diniego.

Quando l’istanza di affidamento è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva definitivamente irrogata, il Magistrato di Sorveglianza competente per l’esecuzione, al quale l’istanza deve essere rivolta, verificata la sussistenza dei presupposti per la concessione della misura alternativa alla detenzione, può sospenderne l’esecuzione ed ordinare la liberazione del condannato. La sospensione della esecuzione della pena opera fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, che deve pronunciarsi entro quarantacinque giorni dalla trasmissione degli atti da parte del Magistrato di Sorveglianza.

 

La detenzione domiciliare

 

Art. 47 ter N.O.P.

 

È una misura alternativa alla detenzione in Istituto di pena introdotta solo recentemente nell’O.P. e consiste nella concessione della possibilità che l’esecuzione della pena detentiva definitivamente irrogata, qualora non superi i quattro anni, e la pena dell’arresto siano espiate presso la propria abitazione o in altro luogo di dimora privata o in un luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza. La D. D. è ammessa nei seguenti casi:

a) di donna incinta o madre di prole di età inferiore a dieci anni, convivente con lei;

b) padre che esercita la patria potestà di prole di età inferiore a dieci anni, convivente con lui, quando la madre sia deceduta od impossibilitata in modo assoluto a dare assistenza alla prole;

c) di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano contatti costanti con i presidi sanitari locali;

d) di persona di età superiore a sessant’anni, se inabile anche parzialmente;

e) di persona di età inferiore a ventuno anni, per provate esigenze di studio, di famiglia, di salute, di lavoro (comma 1).

La D. D. può, inoltre, essere concessa anche per l’espiazione di pena detentiva, definitivamente irrogata, non superiore a due anni, anche per parte residua di maggior pena, nei casi in cui non esistono i presupposti per la concessione dell’affidamento in prova, e la misura della detenzione domiciliare è idonea a scongiurare il pericolo che il condannato commetta altri reati. (comma 1 bis).

Nei casi in cui è possibile applicare il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena, ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., il Tribunale di Sorveglianza può disporre l’applicazione della misura della detenzione domiciliare anche nei casi in cui la pena detentiva superi il limite dei quattro anni di cui al comma 1.

In tal caso l’esecuzione della pena prosegue durante la detenzione domiciliare (comma 1 ter).

Nei casi in cui l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo l’inizio della esecuzione della pena detentiva, il Magistrato di Sorveglianza, al quale va rivolta l’istanza, ricorrendo i presupposti dei precedenti commi 1 ed 1 bis, può disporne l’applicazione.

Si applica, in quanto compatibile, il comma 4 dell’art. 47.

 

La detenzione domiciliare speciale

 

Art. 47 quinques N.O.P.

 

La norma disciplina casi tipici, nei quali non è possibile l’applicazione della detenzione domiciliare ‘ordinaria’.

Le condannate madri di prole di età non superiore ai dieci anni, quando non sussiste concreto pericolo di fuga ed è possibile ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse alla detenzione domiciliare o presso la propria abitazione o presso un luogo di cura, assistenza o accoglienza, per provvedere alla cura ed all’assistenza dei figli, a condizione che sia stata espiato almeno un terzo della pena definitiva od almeno quindici anni in caso di condanna all’ergastolo.

Tale misura può essere concessa anche al padre detenuto, alle stesse condizioni previste per la madre, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi altro modo di affidare la prole ad altri che al padre.

La lettera della legge-delega recita detenzione domiciliare, per cui sembrerebbe esserne esclusa la detenzione domiciliare speciale, ma lo spirito della legge fa propendere per la sua inclusione fra i compiti degli U.L.E.P.A., i quali anche in questo caso formulano il programma di trattamento anche per questa misura alternativa.

 

Le interazioni della legge-delega con il N.O.P.

 

La domanda che ci si pone a questo punto è quale significato e quale contenuto dare alla lettera c) dell’art. 3 della legge-delega.

Come si è visto, sia pure succintamente, l’osservazione scientifica della personalità e l’elaborazione del programma di trattamento (intramurario od ‘extra moenia’) sono incentrati sul lavoro di un organismo collegiale, il G.O.T., coordinato e presieduto dal Direttore dell’istituto penitenziario presso il quale è in esecuzione la sentenza di condanna a pena detentiva definitiva .

Si ritiene che vengano in soccorso sia la lettera che lo spirito della legge, la quale pone a carico degli U.L.E.P.E. solo la ‘proposizionè del programma di trattamento, che deve essere elaborato alla stregua delle norme del N.O.P., vigenti nella materia.

Dunque sia l’osservazione scientifica della personalità che l’elaborazione del programma di trattamento, finalizzato alla concessione delle misure alternative dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare, per i detenuti in esecuzione di pena detentiva definitivamente irrogata, debbono continuare ad essere svolte come per il passato, assumendo però la figura dell’Assistente Sociale rilevanza e competenza particolare, posto che il programma di trattamento dovrà essere proposto dal Direttore dell’U.L.E.P.E., del quale si fa carico diretto e personale.

 

Ipotesi sul futuro assetto e sulle competenze degli U.L.E.P.E.

 

Il sistema di "probation" vigente oggi in Italia è del tipo "probation penitenziario", vale a dire che – in base alla legislazione penale in vigore- è sempre richiesta una sentenza definitiva che condanni alla detenzione perché sussista il presupposto giuridico ‘sine qua non’ che consente al condannato di domandare a un giudice specializzato (nel caso di specie la Magistratura di Sorveglianza) di poter fruire di una misura alternativa ( alternativa appunto alla pena detentiva).

Ma vi sono altri Stati e altre legislazioni che disciplinano il probation in modi diversi da quello italiano. In alcuni Stati, per esempio, è al Pubblico Ministero cui la legge conferisce il potere di differire l’esercizio dell’azione penale (in caso di reati non gravi) e di concedere all’imputato un periodo di tempo durante il quale rispettare un dato comportamento prescritto, al termine del quale rinunciare all’esercizio dell’azione penale stessa e archiviare il caso, se l’imputato ha rispettato le prescrizioni alle quali è stato sottoposto. Secondo la legislazione inglese, nella quale l’alternativa alla pena detentiva breve fu introdotta dal Probation Offenders Act del 1907, è prevista la facoltà per il giudice di cognizione, dopo la pronuncia di colpevolezza, di astenersi dalla condanna alla detenzione e di emanare invece un probation order che sottopone a prova il soggetto autore di reato che a tale alternativa abbia dato il suo consenso. Al reo sono imposti particolari obblighi e doveri ed egli è posto sotto la sorveglianza del Probation Service. Al termine della prova, se il comportamento prescritto risulta essere stato rispettato, il giudice rinuncia a irrogare la pena detentiva prevista per il reato compiuto.

È ovvio che il giudice di cognizione va adeguatamente informato, nel corso del processo, sul soggetto e il suo contesto di vita; questo è ciò che fanno gli operatori del Probation Service ed è ciò che, ‘mutatis mutandis’, potrebbe essere chiesto di fare anche agli operatori sociali degli Ulepe (assistenti sociale ed esperti psicologi e/o criminologi) chiamati a collaborare, ex art. 3 del Decreto Legislativo in argomento, con l’Autorità Giudiziaria.

Inoltre, potrà essere possibile de iure condendo ( in un futuro non si sa quanto prossimo) una pena direttamente pronunciata dal giudice di cognizione che – in una prospettiva non tanto di reinserimento sociale quanto di preservazione dagli effetti negativi e stigmatizzanti che la pena detentiva in carcere comporta - preveda un determinato lavoro di utilità, da scegliersi all’interno di una gamma di possibilità individuate e/o predisposte dagli Ulepe a cui, sempre ex art. 3, ora compete la proposta all’ Autorità Giudiziaria del programma di trattamento da applicare ai condannati.

Infine, per quanto attiene l’esercizio del controllo sull’osservanza delle prescrizioni, è ipotizzabile una distinzione fra un "controllo di regolarità" e un "controllo del processo di reinserimento sociale" (Riccardo Turrini Vita, 2004).

Sono due modelli di controllo diversi, il primo - di competenza di professionisti della vigilanza - funzionale al secondo, di competenza di professionisti del Servizio Sociale, integrato, ove necessario, da altri interventi di consulenza o contributi valutativi (quali possono essere, per esempio, le prestazioni degli esperti).

L’organizzazione degli uffici sul territorio e al loro interna deve attendere il Regolamento da emanarsi a cura del Ministro della Giustizia, ma non è difficile ipotizzare che sarà di grande aiuto nello svolgimento di questo compito il Regolamento di esecuzione della Legge penitenziaria del ‘75, interamente rifatto nel 2000 (D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230).

Ciò che invece preoccupa, a seguito della nuova disciplina degli Ulepe è la circostanza che gli stessi sono stati "sostituiti" agli ex CSSA (ma con un "quid pluris" di competenze che rende più compatta e unitaria l’area dell’esecuzione penale esterna), dei quali dovranno utilizzare le risorse (di personale, di mezzi, di spesa) preesistenti, "dotazione" che allo stato non soddisfa appieno gli aumentati compiti e la aumentata responsabilità in termini di sicurezza sociale degli operatori degli ex Cssa (uffici le cui risorse già in passato si sono rivelate insufficienti).

L’aspettativa dunque è che in futuro tali risorse siano previste e assegnate progressivamente in modo adeguato, così come accadde dopo il varo del nuovo ordinamento penitenziario e per lunghi anni a seguire:

si pensi ai programmi di costruzione di nuovi edifici penitenziari, alla dotazione di risorse per la loro messa in funzione, alla progressiva implementazione dei CSSA in termini di organici e qualifiche. L’attuale loro trasformazione in U.L.E.P.E., l’arricchimento dei compiti previsti a loro carico, non potrà non consigliare- una volta giunta a regime la riforma in argomento- un potenziamento delle risorse disponibili.

Inoltre, affinché i nuovi uffici possano operare al meglio e al massimo del loro potenziale, occorrerà dare loro un assetto unitario e funzionale analogo a quello di un istituto penitenziario, comprensivo dell’ autonomia amministrativo-contabile, presupposto essenziale e ineliminabile di un efficiente funzionamento. Comprova questa affermazione il fatto che l’autonomia amministrativo-contabile è stata riconosciuta a tutti gli istituti penitenziari, anche a quelli di piccole e piccolissime dimensioni contabilmente collegati con istituti penitenziari più importanti, a testimonianza della necessarietà di questo modello organizzativo.

Qualora non dovesse accadere nulla di tutto ciò , appare di grande evidenza che la riforma resterebbe sterile di risultati, quanto meno di tutti quelli aggiuntivi rispetto agli attuali, e potrebbero restare insoddisfatte tutte le aspettative che la riforma giustifica.

Ma di tanto insuccesso non potrà farsi certo ricadere la responsabilità sugli operatori, che si sono sempre impegnati al massimo e continueranno a farlo anche in futuro.

 

*Ispettore generale dell’Amministrazione penitenziaria

**Direttore degli Uffici Locale Esecuzione Penale Esterna di Milano

 

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