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La mediazione: una soluzione a tutto campo per i conflitti Giovanni Cabras (Docente Università degli Studi Roma Tre)
Negli Stati Uniti, nella metà degli anni Settanta del secolo scorso, un movimento di giuristi, riprendendo una felice intuizione dell’illustre studioso Roscoe Pound e il suggerimento di una sua conferenza del 1906, ha invocato una giustizia con una pluralità di percorsi (Multi-Door Court House, secondo la significativa definizione del prof. Frank Sander), aprendo la strada ad una pluralità di forme alternative al giudizio ordinario per risolvere le controversie (ADR-Alternative Dispute Resolution), tra le quali l’istituto principe è la mediazione (Mediation). Si tratta di procedure che, attraverso tecniche ormai collaudate, aiutano le parti a trovare un punto di incontro dei loro effettivi interessi, evitando ogni decisione autoritaria (giudiziale o arbitrale). Negli stessi anni in Italia la definizione conciliativa delle liti, in precedenza affidata alla buona volontà delle parti o all’occasionale sollecitazione del giudice, è stata ripetutamente indicata in testi legislativi come una fase necessaria da sperimentare all’inizio della controversia o prima del suo avvio. Così si è assistito al moltiplicarsi di norme che prevedono la conciliazione, da un lato, in sede giudiziale (a partire dalla legge 10 dicembre 1970, n. 898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) o stragiudiziale (controversie sui contratti agrari, licenziamenti individuali e così via) e, dall’altro, la conciliazione facoltativa o obbligatoria (vedi, in particolare la conciliazione nelle controversie agrarie, di lavoro, di subfornitura). La moltiplicazione delle ipotesi legislative, però, non ha portato alla diffusione della conciliazione in Italia. Invero, non si può trascurare che in materia vi sono state due tappe normative importanti: la previsione delle camere di conciliazione nell’ambito del riordino delle Camere di commercio (art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580) e, di recente, la disciplina del procedimento di conciliazione e degli organismi di conciliazione (artt. 38-40 del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, sui procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria). Con il primo intervento si è riconosciuta la professionalizzazione dell’attività di conciliazione, svolta da soggetti qualificati per aiutare le parti a raggiungere l’accordo conciliativo; con il secondo intervento si è riconosciuta la procedimentalizzazione della stessa attività conciliativa, nonché l’esigenza di un controllo su tale attività da parte del Ministero della Giustizia. Con le due tappe normative il nostro ordinamento giuridico ha posto le basi per un sistema pubblico-privato di ADR (Camere di commercio, organismi privati di conciliazione), pur rimanendo ancora molte remore, anche di carattere terminologico. Sotto quest’ultimo profilo, le nostre leggi continuano a parlare di conciliazione, che costituisce, invece, semplicemente l’atto finale (accordo conciliativo) di un procedimento - lo riconosce per la prima volta il d. lgs. n. 5/2003, all’art. 40 - con l’intervento fattivo di un terzo, neutrale e imparziale. Per indicare la procedura ed il suo principale protagonista, è opportuno allora utilizzare le espressioni di "mediazione" e di "mediatore", in conformità all’esperienza internazionale. Ma vi sono remore anche di carattere sostanziale, che possono frenare il successo delle ADR italiane. Innanzitutto, il legislatore continua a confidare molto sulla obbligatorietà del tentativo di conciliazione, disponendo che, in presenza di una clausola di conciliazione (in un contratto o nello statuto di una società), l’eventuale giudizio instaurato davanti l’autorità giudiziaria sia sospeso, su istanza della parte interessata, per far svolgere la mediazione (o conciliazione che dir si voglia). L’obbligatorietà legislativa o negoziale, tuttavia, mal si concilia con la conciliazione, che può raggiungersi soltanto con la libera scelta delle parti. Inoltre, il successo della mediazione dipende anche dalla riservatezza che, a differenza del processo ordinario, il mediatore e le stesse parti sono tenuti ad osservare. Tale riservatezza, però, non è pienamente assicurata, se il verbale di conciliazione è omologato con decreto del presidente del tribunale (con conseguente obbligo di registrazione) ovvero se le posizioni assunte dalle parti nel procedimento sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio, ai fini della decisione sulle spese processuali. Si tratta di remore che possono e debbono essere superate nell’esperienza pratica, diffondendo la cultura della mediazione e applicandola in tutti i campi del diritto. A tal fine è fondamentale l’attività di formazione dei mediatori e, in generale, dei professionisti, affinchè questi favoriscano la soluzione delle controversie, evitando il ricorso all’autorità giudiziaria. Infatti, non basta essere buoni conoscitori delle leggi per poter favorire gli accordi tra le parti, perché la composizione dei contrasti richiede abilità ed esperienza diverse da quelle che si conseguono - per concentrare l’attenzione sui giuristi - nel corso di laurea in giurisprudenza ovvero nella pratica professionale. Peraltro, l’accordo, con cui si risolve una controversia, normalmente non è frutto del caso, ma di una efficace opera pacificatrice e mediatrice di un soggetto, il mediatore, che si pone vicino alle parti, ma, nello stesso tempo, se ne rende autonomo e che, in modo discreto e sapiente, esercita la sua influenza positiva per trovare un punto di incontro e di composizione per gli interessi in gioco. In questa prospettiva si è mossa l’Università degli Studi Roma Tre, che per il secondo anno ha proposto corsi per studiare e approfondire le tecniche e le procedure utilizzate da tempo in altri ordinamenti (in particolare, le ADR statunitensi), in modo da formare le capacità professionali e, più in generale, una cultura giuridica rivolta alla composizione dei conflitti, con la trasformazione di questi in opportunità di nuove e proficue relazioni. Uno specifico corso, organizzato d’intesa con il ministero per gli Affari Regionali e con la collaborazione del Centro Medarb di Roma, è stato rivolto alla formazione di mediatori nei rapporti tra Stato e Autonomie territoriali, ritenendosi che per superare i conflitti tra tali istituzioni, senza incorrere nei disagi delle soluzioni giudiziali, possa soccorrere - come sovente accade nel diritto pubblico - l’esperienza dei privati e segnatamente delle ADR. In tal modo, la mediazione e le altre tecniche di ADR possono rappresentare un valido sistema per alleviare in tutti i campi (e non solo nelle controversie civili) il sistema giudiziario.
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