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Col Progetto Tonino cadono le sbarre per i bambini che vanno a trovare il papà
Avvenire, 9 dicembre 2001
Tonino non è un bambino, Tonino è cento bambini. Tonino è la lunga treccia bionda di Patti, è la vivacità di Peppina, è l’abbraccio affettuoso di Rosario, è la serietà di Paolino. Tonino è una stanza senza finestre nel carcere di Secondigliano dove il mare è dipinto su un’intera parete: un mare azzurro senza confini che bagna la riva di ciottoli bianchi e sembra allungarsi sul pavimento. Tonino è un armadio dei desideri realizzabili pieno di giochi e giocattoli, di macchinine, di bamboline e di plastilina, di fogli per disegnare e matite per colorare. Tonino è infatti un progetto rivolto alle famiglie dei detenuti. Al secondo anno di vita, è stato realizzato nel Centro penitenziario di Secondigliano, alla periferia nord di Napoli, con undici anni di attività, 1400 detenuti, 500 mila metri quadrati proprio di fronte alle case popolari di Scampia, rione troppo spesso alla ribalta delle cronache nere. Tonino
è perciò don Raffaele Grimaldi, da nove anni cappellano del carcere e
inventore del progetto. "ma - spiega - si lavora tutti insieme, ognuno
porta la propria esperienza". Così Tonino è Roberta, Giuseppe, Pina,
Marianna, Rosa che prendono per mano i bambini figli dei detenuti e li conducono
in uno spazio speciale, in un mondo sereno, con le coccinelle e i fiori, lontano
per qualche ora dal vocio confusionario della sala colloqui del carcere, lontano
per un poco dalle divise delle guardie penitenziarie. Oltre la porta di Tonino c’è
la sofferenza del carcere, il disagio delle sbarre, il rumore sordo delle chiavi
che chiudono e aprono solo se qualcun altro lo decide. Tonino è lo spazio del
gioco e delle cose da raccontare, dove aspettare senza ansia che la mamma, il
nonno, la sorella entrino a chiamare Gianni, Vittorio, Gennaro, Mena, Rosaria
perché è il momento di incontrare il babbo, lo zio, il fratello per vederli e
abbracciarli e chiedergli come stai e quando finisci di lavorare qui nel
collegio. Perché per i più piccoli il carcere di Secondigliano è il luogo
dove il papà lavora, costruisce tante cose e quando non avranno più bisogno di
lui tornerà a casa. Ma per i più grandi no, non è così, per loro,
dieci-dodici anni, il carcere è normalità e gioco, un modo per non annoiarsi
in attesa che l’altoparlante sillabi il loro cognome. Piace anche alle mamme che a volte arrivano con un bel po’ di anticipo per dare modo ai bambini di giocare per più tempo. Il carcere di Secondigliano non è nuovo a queste iniziative: la sua "area verde", dove i colloqui tra detenuti e familiari si svolgono all’aperto, fuori dal parlatorio, e dove è possibile anche mangiare insieme. È un momento di apertura, benché limitato, a un rapporto personale che in qualche modo ricostruisca quello familiare. "Il carcere non deve essere il luogo dei rifiuti della società - dice don Raffaele -. Li mettiamo da parte, ce ne dimentichiamo, e se c’è qualcuno che vuole cambiare non trova accoglienza. Cominciamo dalle nostre comunità parrocchiali a sconvolgere la mentalità corrente, perché già da noi c’è difficoltà a creare rapporti con persone che hanno fatto l’esperienza del carcere". Poi, lanciato questo che lui chiama "appello", don Raffaele bacia Vincenzino, che è in braccio alla mamma: il neonato è stato battezzato nella cappella del carcere, una festa come in famiglia.
Al lavoro Caritas, Comune e volontari Uno sportello ad hoc offre consigli e sostegno alle mogli rimaste sole
Avvenire, 9 dicembre 2001
Il Progetto Tonino, finanziato con la legge 285 del 1997, ha aperto quest’anno anche uno Sportello per le Famiglie dove un mediatore sociale fa da cerniera tra il carcere e la città. Spiega la responsabile, Rosa Mauriello: "Avviciniamo le famiglie, in un modo morbido perché è facile che possano insospettirsi, dopotutto siamo in un carcere, per percepire le necessità, in questo ci aiutiamo con un questionario molto semplice. Le famiglie con un detenuto sono multiproblematiche: situazioni di indigenza, di ignoranza anche dei più semplici diritti. Noi ci offriamo come centro di informazione sui servizi sociali e assistenziali e sulle scuole del loro quartiere o del Comune dove abitano. Diamo consigli per segnalare le attività educative, sportive e di gioco, o per l’intervento di un sostegno a domicilio, o per indirizzare ai servizi sanitari. Allo sportello trovano aiuto per presentare domande di assistenza o per trovare un lavoro. Questo contatto ci permette di individuare il problema e di farcene carico portandolo all’esterno, alle istituzioni, che possono essere il Comune, la scuola, le agenzie del privato sociale". L’obiettivo è di creare una rete di interventi in caso di difficoltà delle famiglie e dei bambini e risolverne i problemi. Il contatto in carcere è solo il primo passo, quello successivo è la conoscenza diretta della famiglia nell’ambiente casalingo. "Sempre senza forza - ammonisce Sergio Napolitano -. Noi non abbiamo fretta, ci interessa che le persone, le famiglie, prendano coscienza di certe situazioni di disagio e di degrado, da cui purtroppo molto spesso si rifiutano di uscire". Il Progetto Tonino e lo Sportello sono attivi nelle mattine dal lunedì al venerdì, che sono i giorni di colloquio dei familiari con i detenuti, e coinvolgono diversi soggetti: il Centro di Accoglienza "Regina Pacis" di Giugliano, altra creatura di don Raffaele Grimaldi, il Comune di Napoli, la Caritas diocesana di Napoli, la Comunità di recupero per tossicodipendenti "La Tenda", il Consorzio di cooperative di servizi sociali Co.Re. Lo scorso anno da Tonino sono arrivati trecento bambini, quest’anno se ne aspettano di più. Questo significa la possibilità di conoscere e offrire opportunità a una potenziale utenza di entità rilevante. Famiglie che possono essere emancipate, come è negli intenti dei promotori del progetto e della stessa direzione del carcere di Secondigliano, secondo un programma, meglio al fine del recupero e della riabilitazione rivolto al detenuto e, attenzione importante da non sottovalutare, alla sua famiglia.
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