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Di padre in figlio: il progetto di Bollate di Antonietta Pedrinazzi
Le Due Città, settembre 2003
I bambini e i ragazzi hanno diritto a mantenere, per quanto è possibile, relazioni significative con i loro genitori. La relazione con i figli può essere una speranza per il futuro e la motivazione per uno sforzo di assunzione di responsabilità e quindi di riscatto per i genitori detenuti. Chiamarli "figli" oppure "bambini e ragazzi" anziché "minori" è pensare a loro come persone esposte a sofferenze quotidiane e specifiche, dotate di una umanità vera e di una grande potenzialità affettiva positiva, piuttosto che come soggetti giuridici da tutelare. Infatti, ancor prima di un diritto sancito da leggi vigenti o da dichiarazioni sui diritti sottoscritte dal nostro Paese, i legami con i genitori, i cosiddetti legami di attaccamento, sono necessari allo sviluppo emotivo e sociale; essi rispondono a un bisogno primario e su di essi si basa in gran parte la capacità di mettere in atto, nel corso della vita futura, da grandi, all’interno di una coppia o con i propri figli, relazioni affettive sane e gratificanti. L’interruzione o la dequalificazione di questi legami è particolarmente devastante nei primi anni di vita, ma può essere molto grave e causa di sofferenza e profonda ferita all’identità anche in seguito, specie se essi non sono sostituiti con legami altrettanto forti, validi e capaci di mantenere in vita la memoria e l’immagine di quei legami primari. Si tratta di una sofferenza grave, quasi una ferita fisica, che andrebbe per quanto possibile evitata ai bambini! Il legame di attaccamento a cui siamo abituati a pensare come prezioso e vitale tra madre e bambino in realtà non si crea solo con la madre, anche se è il più delle volte la madre a costituire la figura dominante per tutti i bambini nei primi anni della loro ancor piccola vita; le altre figure familiari, il padre innanzitutto, sono supporti e sostituti importanti, a volte quasi "assicurazioni sulla vita" affettiva e di relazione nel caso che il primo legame di attaccamento sia inadeguato o sia venuto a mancare… Sapere di avere un padre, conoscerlo, sentirsi riconosciuti e importanti per lui, non solo portandone il nome, è un’esigenza di tutti i bambini e ragazzi, un’esigenza che si fa più acuta e consapevole nel tempo. L’immagine paterna diventa importante ed è perciò un dolore per il bambino quando eventi o circostanze lo inducono a metterla in discussione, a svalutarla, quando si sente costretto a pensarla con vergogna… Solo una regolare consuetudine e una relazione affettiva consolidata, in cui la comunicazione non sia interrotta o alterata, permettono allora di preservare il rapporto parentale e di non indurre i ragazzi, sia pure con sofferenza, a sfuggirne! Non stiamo dicendo nulla di nuovo nell’esporre le riflessioni di cui sopra: esperienze numerose e diverse (progetto "Gazebo", "Relais Enfants Parents", associazione "Bambini senza sbarre", "Telefono Azzurro" e ora anche il "Patto di solidarietà DAP-Unicef") hanno avviato iniziative di tutela del rapporto genitori-figli, quando i genitori sono detenuti, che hanno come presupposto simili considerazioni, a tal fine avvalendosi delle possibilità offerte dalla legislazione. Ma l’esperienza del carcere è esperienza di frattura e di "spezzettamento" e perciò non si dirà mai abbastanza che le relazioni tra genitori e figli non solo sono un diritto dei figli, ma anche una possibile risorsa per gli adulti detenuti. È allora importante far sì che queste relazioni non si interrompano, che "tengano", che siano agevolate, che siano sostenute, che siano rese "attraenti" anche durante la detenzione e che siano facilitate nel periodo delicato in cui si ricompongono fuori dal carcere. Perciò va colta ed enfatizzata ogni occasione per dare visibilità a quanto, in tale direzione, viene fatto nell’ambito del penitenziario. E ora… Quid sub sole novi?
Lucia Castellano, direttrice dell’Istituto di Bollate, ne è entusiasta: "Il progetto nasce dal desiderio di affrontare il problema dei bambini costretti a vivere in carcere e dei bambini che, pur essendone fuori, convivono con questa realtà per un periodo della loro vita, avendo un genitore o, in taluni casi, entrambi, detenuti". Anna Maria Pensa, estensore del progetto, afferma: "Obiettivo primario è quello di sostenere lo sviluppo psico-fisico e relazionale dei bambini e delle loro famiglie con interventi concreti, affinché i diritti del bambino, affermati dal nostro ordinamento e il principio generale del riconoscimento del valore sociale della maternità e della paternità divengano anche per i detenuti e le detenute più operanti". Si parte, grazie allo sforzo congiunto di Direzione, operatori, Polizia Penitenziaria e volontari, con l’attivazione della ludoteca, spazio allestito per i bambini che entrano in carcere per le visite al genitore. Trattasi di uno spazio "a misura di bambino" da usufruire non solo per l’attesa, per il "prima", ma anche per il "dopo"colloquio, come momento relazionale e fisico entro cui allentare le tensioni eventualmente accumulate nell’incontro con il padre o con il fratello recluso. Infatti il bambino che entra in carcere è un bambino "a rischio", un bambino che si sente spaventato, impotente in una situazione che non è in grado di comprendere e che non sempre è preparato ad affrontare. In questo spazio riservato, curato, colorato e attrezzato, i bambini potranno attendere, insieme al genitore che li accompagna, il proprio turno per il colloquio, giocando con i volontari di "Telefono Azzurro". Tre sono i punti fondamentali costitutivi del progetto: l’ambiente, l’accoglienza e il gioco.
L’ambiente, perché nel creare uno spazio per i bambini anche dentro un carcere vanno tenuti presenti gli specifici bisogni infantili di muoversi con agio e disinvoltura, Conoscere l’ambiente e controllarlo, di incontrarvi i personaggi amati dei fumetti o i cartoni animati familiari, dipinti sulle pareti con tinte a effetto, luminose e calde. I mobili devono essere maneggevoli, solidi e robusti sì ma non pesanti, in modo che i bambini stessi possano spostarli a loro piacimento, oppure i grandi li possano modulare o asportare in modo da creare ambiti o angoli adatti alle varie fasce d’età. È anche previsto un angolo per i preadolescenti (con piccole poltrone e impianto stereo…) dove potranno ascoltare musica. Su uno scaffale, sotto una finestra, in un "angolino verde", i bimbi potranno seminare e aiutare a crescere le "loro" piantine… e in un piccolo laboratorio sarà possibile "curare" i giocatoli rotti o costruire giochi nuovi con materiali semplici.
L’accoglienza, perché si tratta di un momento importante, molto delicato: è il primo approccio che il bambino ha con il carcere e la persona che lo accoglie deve farlo sorridendo, così che si senta subito a proprio agio… Perciò i bambini non devono essere affidati allo spontaneismo di volontari impreparati ma ad animatori volontari che, forti di un’adeguata formazione (garantita da "Telefono Azzurro"), siano in grado di affrontare adeguatamente le loro reali esigenze o paure.
Il gioco, perché il gioco è una attività assolutamente necessaria per i bambini: esso costituisce il principale mezzo di esplorazione della realtà che li circonda, è il modo naturale e congeniale con il quale acquisire nuove conoscenze e nuove capacità senza costrizioni e in modo piacevole e divenente. Gli animatori volontari presenti in ludoteca dovranno saper giocare con i bambini, poiché il gioco è realmente di aiuto al bambino solo se un adulto, un familiare o una persona preparata a tale scopo, gioca con lui… Avere semplicemente a disposizione dei giocattoli può servire a far passare il tempo, ma non a far passare ansie e paure, a rassicurare, a fugare i timori infondati. E infine, in prospettiva, anche un velo di fiduciosa utopia: la ludoteca potrebbe essere utilizzata anche come luogo d’incontro tra bambino e genitore detenuto; nel gioco comune, il genitore potrebbe constatare direttamente la crescita, i progressi di suo figlio, giocando con lui potrebbe svolgere un ruolo attivo in una situazione dalla quale altrimenti sarebbe escluso, ritrovare con il proprio bambino quella forma di comunicazione naturale, intima e diretta che nella vita di fuori egli - e le circostanze con lui - avevano in qualche modo interrotta!
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