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La cultura della prevenzione, l'incultura dell'emergenza
Giornata nazionale di studi
Venerdì 10 maggio 2019, ore 9.00-17.00 - Casa di reclusione di Padova
LE ISCRIZIONI SONO CHIUSE
BOZZA DI PROGRAMMA
Prevenzione:
Azione diretta a evitare od ostacolare qualcosa, che può avere conseguenze
negative
Emergenza:
Circostanza, difficoltà imprevista. Situazione critica, di grave pericolo
È uno strano
Paese, il nostro, dove la “difficoltà imprevista” diventa così prevista,
da giustificare leggi cosiddette “emergenziali”. Manca la cultura del
“pensarci prima”, ed è curioso che invece individualmente siamo tutti un
po’ convinti che noi saremmo capaci di “pensarci prima”. E non a caso la
domanda più ricorrente, quando le persone detenute portano la loro
testimonianza agli studenti, è proprio “Non potevi pensarci prima?”. Ma se
spesso non ci pensa prima lo Stato, se le Istituzioni sono così poco abituate a
farlo, chi educherà i singoli cittadini, chi gli insegnerà che nessuno è
“buono per sempre”, e che al Bene bisogna allenarsi, anche per mezzo della
conoscenza del Male?
L’emergenza nemica della verità
Gli attentati a Giovanni Falcone e a Paolo
Borsellino hanno rappresentato il punto più alto dell’emergenza criminalità
nel nostro Paese. E la risposta dello Stato ha preso un’unica direzione:
repressione, 41-bis, effettiva sospensione dei diritti e, purtroppo, nessuna
verità processuale, come sottolinea Fiammetta Borsellino: "Nella
lotta alla mafia non mi piacciono le passerelle, e diffido degli slogan.
Piuttosto, ci vogliono gesti concreti. Li aspettiamo ancora. Qualsiasi impegno
nei confronti della lotta alla criminalità organizzata può essere efficace
solo se svolto con la massima sobrietà. Nei gesti e nelle parole”.
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Fiammetta
Borsellino, figlia
minore del magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla Mafia nella
strage di via D’Amelio il 19
luglio 1992, quando persero la vita anche i cinque agenti della
scorta.
E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà
“E per tutti il dolore degli altri è dolore
a metà”, canta Fabrizio De André in Disamistade. E in carcere è ancora più
difficile sentire “interamente” il dolore provocato, c’è una tendenza a
minimizzarlo, a mettere al centro un altro dolore, quello della galera, a
pensare che la sofferenza causata dal reato abbia una durata limitata. Sul
valore del tempo, e su quanto non curi le ferite, se le ferite sono
“innaturali” come quelle provocate dal reato, e su come evitare che il
dolore ci impedisca di vivere serve più che mai il racconto dei famigliari
delle vittime, di chi come Paolo Setti Carraro da quasi quarant’anni con quel
dolore ancora si misura.
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Paolo
Setti Carraro,
chirurgo
che ha scelto, dopo anni di carriera in Italia, di andare a operare in
Afghanistan, perché “mi
sono accorto che il denaro corrompe. Non è una frase
fatta. Corrompe davvero, anche nella sanità, perché influenza le diagnosi, le
terapie, le urgenze, la scelta dei luoghi di cura”. Paolo è fratello di
Emanuela, moglie del generale Dalla Chiesa, uccisa con lui in un agguato mortale
a Palermo nel 1982.
Le narrazioni che dilaniano, quelle che risanano
“Carolina era
una bellissima ragazza, era sveglia, intelligente. Quando però si è resa conto
che era stata ripresa durante una festa, che la sua reputazione era stata messa
alla berlina, quando ha visto la rete di insulti che le hanno riversato addosso
è crollata. Oggi sappiamo che il cyberbullismo, nella sua forma più crudele,
non può essere derubricato a semplice ragazzata perché le parole fanno più
male delle botte”. Ripulire il nostro linguaggio, capire che le parole
violente non sono meno feroci delle armi vere: oggi fare prevenzione significa
anche educare a cancellare quelle parole dal nostro vocabolario.
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Paolo Picchio, papà
di Carolina Picchio, la ragazza di 14 anni che il 5 gennaio 2013 si è buttata dalla
finestra di casa, a Novara, lasciando un
messaggio potente: “Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è
accaduto a me non deve più succedere a nessuno”.
Quando le persone “permale” fanno prevenzione per i ragazzi “perbene”
È paradossale che
si faccia a volte più prevenzione dal carcere che nella società “libera”,
ma se, per ora, non si riesce a fare a meno delle pene detentive, cerchiamo
almeno di trasformare il carcere, da scuola del crimine, in laboratorio di
legalità, dove le esperienze negative, le vite “sbagliate” si mettono al
servizio delle giovani generazioni e con loro ritrovano un senso.
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Le persone detenute della redazione dialogano con ex studenti, oggi
cittadini ormai lontani dal mondo della scuola, che raccontano quanto importante
è stata nella loro vita l’esperienza di confronto con la realtà del carcere,
le scelte di vita sbagliate, il Male raccontato da chi l’ha conosciuto e non
ha saputo evitarlo.
Ci salveranno la buona letteratura e la fatica di chi accetta di raccontare il suo dolore?
Sangue giusto è
un romanzo che parla dell’Italia di oggi: l’Italia dei centri di
identificazione e di espulsione, dei richiedenti asilo e dei clandestini, ma
parla anche dell’Italia di ieri, che gli italiani si sono affrettati a
dimenticare, e della quale invece gli africani serbano giustamente memoria:
l’Italia delle guerre di conquista, del nostro rimosso passato coloniale. In
un Paese in cui oggi più che mai si
vive in una perenne emergenza, e si finisce facilmente per demonizzare gli
immigrati, i Rom, i detenuti, la prevenzione di ogni discriminazioni passa anche
per la buona letteratura.
Nel nome di chi invece è
il racconto di Valeria Collina, la madre di
Youssef Zaghba, uno dei componenti del commando che nel giugno 2017 ha ucciso
otto persone nell'attentato sul London Bridge e si è fatto uccidere. Italiana
convertita all'islam, ha vissuto per vent'anni in Marocco, e dopo essere tornata
in Italia, nel 2015, ha assistito impotente alla radicalizzazione del figlio,
Parlerà di prevenzione interrogandosi sulle ragioni per cui è fondamentale
confrontarsi con i propri figli: "Ci sono giovani che si ubriacano di nascosto, altri che passano fuori la
notte senza dirvi nulla, e altri che stanno chiusi nella propria stanza. Ragazzi
modello che si presentano puntuali a condividere con voi ogni pasto. Dopo avere
messo in pausa l'ultimo video di un ostaggio sgozzato o di un blindato che viene
fatto saltare in aria da un attentatore suicida".
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Francesca
Melandri ha
lavorato per anni come sceneggiatrice, prima di esordire nel 2010 nella
narrativa con Eva dorme. Nel 2012 ha
pubblicato Più alto del mare, nel
2017 è uscito il suo ultimo romanzo, Sangue
giusto.
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Valeria
Collina ha raccontato la sua esperienza di madre di Youssef, un ragazzo
diventato terrorista, nel libro “Nel nome di chi”, scritto
insieme a Brahim Maarad. Di sé dice: “Non
ho insegnato ai miei figli ad avere uno spirito critico. Questa è la mia colpa
di madre".
> A intervistarle Mauro Pescio, attore di teatro, creatore di testi nella trasmissione “Pascal” dal lunedì al venerdì alle 19 su Radio2 Rai.
Rassicurare o creare sicurezza?
Sostiene Riccardo De Vito,
magistrato di Sorveglianza: “La
certezza della pena deve essere intesa come pena tempestiva. È una distorsione
di pura campagna elettorale, invece, pensare che significhi la sua immutabilità.
Anzi, proprio l’immutabilità della pena è il peggiore nemico della sicurezza
(…). Quanto più la pena rieduca, tanto più la sicurezza dei liberi viene
salvaguardata. Aggiungo anche che le cosiddette “misure di comunità” non
sono un’alternativa a poco prezzo del carcere, ma impegnano l’uomo come se
fosse il carcere, collocandolo però nel mare stesso in cui deve di nuovo
imparare a nuotare”.
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Riccardo De Vito, magistrato di Sorveglianza a Sassari
Prevenzione è anche togliere alla criminalità organizzata il consenso delle giovani generazioni
In
un dialogo franco e aperto con detenuti della redazione di Ristretti condannati
per reati della criminalità organizzata, Giuseppe Spadaro, magistrato che oggi
si occupa di minori, ha detto: “Fin quando non toglieremo alla mafia, alla
‘ndrangheta il consenso delle nuove generazioni, non le sconfiggeremo mai,
possiamo solo reprimere, ma più si continua in questo gioco di guardie e ladri
più ne entrano di voi in carcere più ne crescono altri, più servono
magistrati e forze dell’ordine e dipendenti dell’amministrazione
penitenziaria e più concorsi dobbiamo fare, voi fate “concorsi” sul
territorio e noi facciamo concorsi pubblici, ma quel consenso resta”.
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Giuseppe
Spadaro, è stato a lungo magistrato in Calabria, ha subito minacce per cui
è ancora oggi sotto scorta, attualmente è presidente del tribunale dei minori
di Bologna
Emergenziale
= Improntato
a urgenza ed eccezionalità
Uscire dall’emergenza: con un percorso simile alla dissociazione si può?
Circa 9.000 sono i detenuti
rinchiusi nei circuiti di Alta Sicurezza, 753 in 41-bis. Alcuni lo sono da
decenni, in una emergenza dilatata all’infinito dove non c’è spazio per il
cambiamento, nonostante la Costituzione non neghi a nessuno la possibilità di
diventare una persona diversa da quella a cui la inchioda il reato. Negli
anni del terrorismo, è stata la dissociazione la strada che ha permesso che
tante persone prendessero con forza le distanze dalle organizzazioni di
appartenenza, è certamente una strada più difficile da percorrere per chi
faceva parte della criminalità organizzata, ma la complessità dei percorsi non
ci può spaventare.
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Marco Boato, sociologo, è stato parlamentare in più
legislature, occupandosi anche, negli anni caldi del dopo terrorismo, della
dissociazione di alcuni protagonisti della lotta armata. È autore, tra
l’altro, del libro “Il lungo ‘68”.
Apriranno i lavori il direttore della Casa di
reclusione, Claudio Mazzeo, e il Provveditore dell’Amministrazione
penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia.
Coordinerà i lavori Adolfo Ceretti, Professore ordinario di Criminologia, Università di Milano-Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano. Tra le sue pubblicazioni, Cosmologie violente, Oltre la paura e Il libro dell’incontro.
Concluderà i lavori Lina Di Domenico, Vice capo dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria