Vita - 17 settembre 2004

 

Perché fate pagare ai figli le colpe di noi padri ?

 

Incontrare figli piccoli in carcere è insopportabile doloroso, e padri e madri detenuti sono spesso incerti e divisi tra la voglia di vedere i loro bambini comunque e la rabbia di doverlo fare in luoghi squallidi, dove tutto sembra fatto per complicare un già difficile rapporto.

Da La voce nel silenzio, il giornale della casa circondariale di Udine, arriva una testimonianza che è anche una specie di appello alle istituzioni a fare un piccolo sforzo per rendere meno desolanti le stanze in cui avvengono i colloqui, e a non costringere invece i genitori detenuti a rinunciare ai pochi incontri possibili con i figli. Anche perché vale la pena ricordare che una persona detenuta che può contare su un rapporto ricostruito con i figli dà, in fondo, anche una piccola garanzia, o almeno una concreta speranza che la sua vita fuori prenderà una strada diversa da quella che l’ha portata a commettere reati.

 

Ornella Favero

 

Sono un detenuto del carcere di Udine e, come tanti detenuti di altri carceri, credo di avere un problema in comune con i detenuti padri. Quante volte avremmo voluto vedere i nostri figli, ma la paura di fargli del male e creare loro dei traumi ci ha frenato nelle nostre migliori intenzioni! Loro sono bambini, e quale padre riuscirebbe a resistere al desiderio di scavalcare quel piccolo muretto che li separa nell’area dei colloqui? Invece di stringere solo una mano, poterli abbracciare per trasmettere tutto il calore che solo un padre può dare a un figlio. Già il tempo è poco, almeno, poterlo passare in maniera dolce e decorosa per entrambi, contribuirebbe a rassicurarli dell’affetto che si prova nei loro confronti. E allora a questo punto mi sorge spontanea una domanda: vale più il diritto di un detenuto o di un minore? Quest’ultimo è un essere umano senza alcuna colpa: perché far scontare a un figlio la pena del padre? Eppure avviene proprio così: umilianti perquisizioni, attese interminabili per i colloqui, luoghi inidonei a vivere liberamente e serenamente, per un paio d’ore, un avvicinamento alle figure genitoriali, punti di riferimento importantissimi per la crescita dei minori. Io sono un padre: mio figlio ha 13 anni e finora, nei cinque mesi di reclusione, non ho avuto il coraggio di fargli vivere l’esperienza traumatica dei Colloqui. Il prezzo da pagare sarebbe stato insopportabile: pensare a quello che mio figlio avrebbe potuto provare solo a mettete piede nella struttura dove io risiedo. Non esiste un luogo, anche lontanamente, idoneo a facilitare i riavvicinamenti. Le procedure sono macchinose e, spesso, l’applicazione della normativa si fa talmente rigida, a mio avviso, da divenire intollerabile, visto che non è applicata sul detenuto ma su un essere libero e innocente. Già nei colloqui con mio padre (persona anziana che non ha mai avuto problemi con la giustizia) ho potuto sperimentarla.

 

Denis - casa circondariale di Udine

 

 

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