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Chissà perché le mamme dei carcerati muoiono prima?
Tratta da Prospettiva Esse, il giornale realizzato dai detenuti della Casa Circondariale di Rovigo, quella che segue è una testimonianza per la quale non ci sono parole di "introduzione" è troppo tragica infatti, troppo desolante la morte di una madre quando colpisce una persona in carcere, alla quale non resta altro che torturarsi nei sensi di colpa e sperare di essere, per lo meno, presente al funerale.
Ornella Favero
Ci sono vite che passano come un alito di vento. Non si fa a tempo a capire che cosa stiamo vivendo, che è già finita. Non c'è sedia elettrica peggiore di una vita consumata a metà come una candela a una festa in un parco. Viene una scarica di pioggia, gli ospiti fuggono e tu te ne rimani lì solo, spento. Eppure ne avevi ancora di cera da illuminare la notte, addirittUra la più buia, mamma ti sei spenta e io non ti ero accanto. Dio solo sa quanto ho pregato di potermene andare al posto tuo. Ancora sento le parole affaticate al telefono dove mi dici che mi aspetti. Ancora penso che tu lo stia facendo e l'eco delle tue parole riempie la mia testa ogni istante. Sento ancora il tuo profumo, i tuoi rimproveri. Ora mi addormento illudendomi che tu mi sia accanto accarezzandomi i capelli come sempre facevi. Sì, 32 anni e ancora mi piaceva farmi coccolare da te. Ora ne ho 33 e sto ancora aspettando i tuoi auguri. Anestetizzata e ovattata da questa struttura carceraria che non mi aiuta a realizzare il fatto che non "sei" più. I ricordi? Per ora si limitano al nostro ultimo incontro in ospedale, quando fra me e me pensavo che non potevi essere tu quel esserino distrutto dalla chemioterapia, incosciente a causa della morfina e così piccola e indifesa. Volevo accarezzarti come tu facevi con me e invece ho preferito tornare in carcere. Qui ero al sicuro. Qui non si prova dolore. Qui c'è la medicina giusta: Tranquirit, Laroxyl, o quant'altro. Non è un problema il dolore non vissuto. Non preoccuparti, dicono loro... sì, dico io, giusto il tempo di terminare la condanna e poi potrò pian piano capire cosa è successo. Sì, perché fuori la vita continua, è qui che tutto sembra fermo. Fermo a quel maledetto giorno in cui sono venuti a prendermi e in fretta e furia ho preparato le mie cose. Ancora non sapevo cosa ti aspettava. Da quel momento in poi hai pensato solo a me e hai smesso di lottare. Chissà perché le mamme dei carcerari muoiono sempre prima. Non darmi preoccupazioni mi dicevi... e invece te ne ho date eccome! Dentro di me penso di sì. Hai riservato Tutte le tue energie su una figlia che sicuramente non è un "modello". Figlia che però aveva il diritto/dovere di stani accanto anche se per poche ore. (...).
Chiara Gabriele, Casa Circondariale di Rovigo
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