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Senza affettività in carcere, disastri che poi paghiamo tutti
Colloqui intimi, colloqui gastronomici, colloqui Pollicino: questa ricchezza e fantasia nell’immaginare i rapporti tra i detenuti e le loro famiglie non è un sogno, è la realtà della Svizzera, di un Paese che ci siamo sempre immaginati freddo e razionale, ma che invece sa garantire, con calore e umanità, alle persone detenute condizioni decenti per salvare i loro affetti. Anche di questo si è parlato nella Casa di Reclusione di Padova, in una giornata di studi, promossa dal Centro di documentazione Due Palazzi, che ha portato dentro al carcere 400 persone dal "mondo fuori" (operatori sociali, avvocati, magistrati, famigliari di detenuti) e ha dato loro la possibilità di confrontarsi con i detenuti stessi e di provare a mettere insieme le proposte per avviare iniziative più concrete su un tema, da sempre trascurato, come quello degli affetti. Così trascurato, che è stato un vero scossone l’intervento di un avvocato, che ha fatto un impietoso confronto tra il nostro sistema carcerario e quello del Brasile: carceri disastrate, quelle brasiliane, con condizioni di vita terrificanti, eppure carceri che garanciscono ai detenuti la possibilità di incontrare i loro familiari in condizioni di intimità e gli permettono almeno di salvare in qualche modo gli affetti. In Italia si fa poco, pochissimo, per salvarli davvero i legami familiari dei detenuti, a differenza di altri Paesi, come la Francia per esempio: a portare la straordinaria esperienza francese è stato Alain Bouregba, direttore della Federazione dei Relais Enfant Parents; una rete diffusa su tutto il territorio nazionale, che si occupa dei figli dei detenuti e sostiene le famiglie nel loro difficile percorso accanto alle persone incarcerate. Eppure, le famiglie ne avrebbero un gran bisogno di questo sostegno: lo ha detto bene, con coraggio e forza, la madre di un detenuto, descrivendo l’isolamento e il senso di vergogna attraverso i quali lei e suo marito sono passati, prima di trovare aiuto e comprensione nell’associazione La Fraternità, una delle poche che si occupa di questi problemi. In Italia, infatti, le esperienze di sostegno organizzato ai familiari dei detenuti si contano sulle dita di una mano: Bambini senza sbarre, a San Vittore; Telefono azzurro, a Roma e Monza in particolare; Progetto Tonino a Secondigliano, finanziato dal Comune di Napoli attraverso la legge per l’infanzia 285/97. Queste le Conclusioni della giornata di studi: un impegno a lavorare per allargare in tutta Italia la rete di sostegno alle famiglie dei detenuti, coinvolgendo di più le istituzioni; un’iniziativa parlamentare forte per presentare la proposta di legge sull’affettività elaborata a Padova (la trovate nel sito www.ristretti.it); una campagna di informazione per far capire che un detenuto, che riesce a mantenere e rafforzare i suoi legami familiari, costituisce un po’ di sicurezza in più per la società.
Ornella Favero
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