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Quando il carcere va a scuola nessuno sale in cattedra
I ragazzi di terza media di una scuola di Limena (Padova), che si trova a pochi passi dal carcere, hanno "ospitato" tre detenuti in permesso, fatto domande, ascoltato con attenzione le loro storie. Qui nessuno è "salito in cattedra": però la lezione è stata importante, perché ha fatto dimenticare ai ragazzi l’idea del carcere che gli veniva da tanti violentissimi film americani e li ha messi a confronto con storie di disagio, di errori, di miti del denaro facile, pagati con anni di galera. A raccontare questa esperienza è uno dei detenuti protagonisti dell’incontro.
Ornella Favero
Quando mi fu proposto di partecipare, in occasione di un permesso, a un incontro con tre classi di studenti di terza media sul tema "Prevenzione alla criminalità e alla tossicodipendenza", restai un attimo perplesso. Cosa gli dico?, pensai; da dove inizio? avranno voglia di ascoltarmi? Poi, in aula, è stato tutto più facile. Quando è stato il mio turno ho parlato di un argomento che conosco bene: la mia esperienza di vita, che è piuttosto particolare, poiché dei miei attuali 44 anni, 24 li ho passati in carcere. Ho raccontato come, alla loro età, vedevo certi personaggi che poi si sono dimostrati rovinosi per il mio sviluppo. Se il leader del gruppo ha la moto più bella, ha sempre soldi in tasca, e ti racconta che "per averli devi farti furbo", è molto facile per te vedere nel piccolo ladruncolo e bullo di quartiere che hai di fronte un modello da ammirare. Ha sempre le ragazze più carine, perché è sempre lui che decide le cose più divertenti, perché dà sicurezza stare con lui nel gruppo. Ho imparato troppo tardi che ci vuole più coraggio a portare avanti una famiglia numerosa, come ha fatto mio padre, riuscendo a far quadrare il magro bilancio familiare, piuttosto che a fare una vita nella quale puoi disporre di molti soldi ma che alla fine diventa una parentesi breve… tra una carcerazione e la successiva. Il bilancio della vita di un balordo, dal punto di vista degli affetti e dell’autostima, del sentirsi realizzati, è sempre in deficit. Alla fine ho parlato del mio rapporto con i soldi, e non è stato affatto facile, perché in pratica il mio è stato un "non rapporto", nel senso che i soldi per me erano fatti per essere spesi tutti e in fretta, e così ho finito per commettere reati per poterne avere sempre di più. La gestione del suo stipendio che faceva mio padre, per mantenere dignitosamente 8 persone, era una scienza esatta, che non ammetteva errori. I soldi che io ho guadagnato invece troppo facilmente, evaporavano nelle mie mani e non bastavano mai. Quando si dà al denaro delle qualità che in realtà non possiede, si cade nell’inganno che con i soldi si può avere tutto; l’amore, gli amici, la serenità. A me hanno portato vent’anni e più di carcere.
Nicola Sansonna |