Da un agente di polizia ai colleghi penitenziari e ai detenuti
Quella che segue è una lettera via e mail, mandata al nostro sito www.ristretti.it da un poliziotto che
lo ha visitato, ha letto alcune lettere di agenti di Polizia penitenziaria pubblicate all'interno e ci ha scritto. La vogliamo
proporre perché offre uno spunto di riflessione diverso sul rapporto detenuti-agenti: lo
stato d'animo di un poliziotto che si ritrova, improvvisamente, a essere anche parente di un detenuto.
E che, da questo percorso di "sdoppiamento" comincia a vivere con una
sensibilità del tutto nuova il suo ruolo.
Ornella Favero
A leggere certe lettere di agenti di Polizia penitenziaria (sono miei colleghi), così dure nei
confronti di tutti i detenuti, mi soffermo al solito pensiero che mi viene alla mente, quando leggo le parole di chi si schiera
contro i detenuti... contro i loro diritti più "banali".
È triste, ma non c' è peggior condanna che fare un lavoro frustrante, come quello dell'agente penitenziario, se
lo si fa con odio per i detenuti! La vera condanna non è solo per il detenuto, ma anche per chi deve stare a fare un lavoro che altro non è che una sofferenza...
Spero davvero che tutti i miei colleghi agenti. in futuro, non abbiano tanta voglia di vedere ancor più "puniti" i detenuti.
Non dovrebbe stare a noi cercare la Giustizia... quello è già stato fatto dai giudici che sono pagati per farlo... e magari, con un po' più di umanità, sarebbe bello anche fare
l'agente, senza odio e senza voglia di farla pagare a chi già sta pagando i propri debiti:
fare il proprio lavoro con dignità... onestamente e con un briciolo in più di umanità sarebbe "normale".... un giorno potrebbe essere un
nostro figlio, un nostro caro, a "cadere" all'interno di un carcere. Ecco, per
l'appunto, a me è capitato.
Non sono un agente di Polizia penitenziaria, ma sono comunque un agente di Polizia. Se una
settimana prima che incominciasse la mia doppia vita (da poliziotto e da parente di un detenuto) qualcuno mi avesse chiesto che cosa
avrei fatto, se mi fosse accaduto quanto poi è accaduto, gli avrei risposto che quel parente avrei
dimenticato di averlo. Invece ho cominciato da subito a correre contro corrente; ho avuto la fortuna di iniziare a crescere e arricchirmi di un'esperienza non comune: capire che la vita non è
scontata... capire che una persona "normale" può sbagliare... Anch'io, come tutti i miei colleghi, nei primi anni del mio lavoro, ero
convinto di avere la possibilità di giudicare, il dovere di "punire" chi sbagliava... ma non era così... era solo un'illusione e una debolezza del mio
carattere, che si nascondeva, a volte, dietro una divisa.
Lettera firmata