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Il bancone di una sala colloqui e lo sguardo dell’agente su di noi
Il nuovo Regolamento di esecuzione della legge penitenziaria, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nell’agosto 2000, prevede che vengano aboliti i divisori nei banconi delle sale colloqui del carcere: a quasi due anni di distanza, i mezzi divisori e gli orrendi banconi, quelli attraverso i quali un detenuto non riesce quasi neppure a toccare i figli e la moglie, in molte carceri sopravvivono ancora. Quella che segue è la testimonianza di Franca, una ex detenuta, che non riesce ancora a cancellarsi dagli occhi e dal cuore la desolazione delle sale colloqui e i tentativi coraggiosi di scambiarsi con i propri familiari, nonostante tutto, un gesto di affetto "rubato" in quello squallore.
Ornella Favero
Oggi, che sono fuori, ho la libertà di vivere le mie emozioni, ma se torno a ieri… rivedo il bancone di una sala colloqui, lo sguardo dell’agente fisso su noi detenute, pronto al rimprovero se l’abbraccio si prolungava, se il bacio era troppo intimo, se i bambini giocavano troppo vivacemente, certo con i bambini erano tutti un po’ più tolleranti, ma in ogni caso i bambini dovevano restare al di là del bancone. Le detenute madri di bambini sotto i 12 anni hanno diritto a fare i colloqui nelle aree predisposte all’aperto, con una panchina e una giostrina, per cui nel periodo freddo non puoi andarci, in genere sono spazi racchiusi da una cinta alta in ferro, intorno la struttura del carcere e tanti volti appesi e mani che stringono le inferriate per rubare una piccola parte di normalità familiare. Decisamente non è il posto ideale per far finta di mantenere il tuo ruolo di madre o di padre, perché è una finzione e quando ritorni tra loro a fine pena il distacco non è più sanabile, se non in parte, e comunque ha già fatto il suo danno. Hai sbagliato e devi pagare, in questo modo però sono in tanti a pagare. Ma l’affettività in carcere non è solo quella che riguarda i bambini, tutti abbiamo bisogno di verificare, di sentire attraverso i gesti l’autenticità di un sentimento, usare parole d’amore che vorremmo solo nostre. Quando, nelle ore veloci dei colloqui, hai solo quei momenti per far capire alla persona che ti sta di fronte che la desideri, che la ami, e che vuoi sentirti a tua volta amata, e nel mentre di fianco a te un bambino si mette a urlare perché vuole sedersi in braccio alla madre, una madre piange per l’errore della figlia detenuta, un gruppo di parenti calorosi scherza ad alta voce e l’agente urla rimproveri, le parole ti si fermano in gola, parli del vicino di casa, degli amici, dei parenti, dell’avvocato, di tutto meno che di amore, e torni in cella pensando se anche lui o lei ha capito che nel sussurrargli "ti amo tanto" in realtà avresti voluto dire e fare ben altro. Cerchi un po’ di intimità per ricordare il volto della persona che ami, ma quando entri in un carcere l’intimità è vietata.
Franca, ex detenuta
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