|
Un figlio in carcereUn padre che non vuole lasciarlo solo
di Ornella Favero
“Penso a mio figlio, ma anche a tutti i genitori che si trovano a combattere con questi problemi” Una famiglia rispettata, una vita tranquilla in un piccolo paese. Poi, all’improvviso, succede qualcosa: un fatto di sangue, un figlio che finisce in carcere in modo del tutto inatteso, l’accusa: omicidio. La famiglia rischia di sfasciarsi, madre, padre, fratelli non riescono a farsene una ragione. Ognuno reagisce in modo diverso, la madre non se la sente per lungo tempo di incontrare il figlio in carcere, il padre si prende sulle sue spalle la fatica di non abbandonare il ragazzo. Comincia intanto un lungo periodo di isolamento, dove è difficile capire se è il mondo intorno che isola la famiglia, o se è la famiglia che si autoesclude dal mondo. è una esperienza durissima: a raccontarla è il padre. “Anche solo a ripensarci, a cosa vuol dire che tuo figlio sta in carcere, ti senti male. Il pensiero a volte ti porta lì, e sinceramente ti fa male ricordare quanti anni sono passati in queste ristrettezze. Quando vai a letto la sera è l’ultimo pensiero e il primo del mattino quando ti svegli. Questo va ad incidere non solo sugli affetti con la persona detenuta, ma anche su quelli con le altre persone, anche con la moglie stessa, con gli altri figli. A casa mia, nei primi momenti dopo l’arresto di nostro figlio, si sono create delle tensioni forti. Mia moglie ha reagito in modo diverso da me: io le cose le tengo dentro, lei quando esplode… esplode in maniera anche inconsulta, soprattutto in quei momenti lì, quando cercare un capro espiatorio sembra ti faccia star meglio. E a volte il capro espiatorio ero proprio io, perché non avevo avuto il polso per controllare nostro figlio, perché non ero stato abbastanza cattivo con lui quando ce n’era bisogno. Con mia moglie per circa un anno abbiamo avuto degli scontri vivaci, a volte anche cattivi, se vogliamo. Sono quei momenti che arrivano perché non ti sei mai trovato in certe situazioni, perché non te l’aspettavi, non avevi visto nulla che potesse far pensare a una conclusione così terribile. Non c’erano mai stati segnali in questo senso, e allora è stato più tragico per noi. Ricordo la sera che è successo il fatto: stavamo cenando, uno dei miei figli è uscito a vedere, mi sono sentito un brivido e in un primo momento ho pensato: ma proprio vicino a casa mia succedono queste cose? Io da quel momento lì ho sempre avuto paura e la mia sensazione non era sbagliata. Come hanno reagito gli altri fratelli, i conoscenti, gli amici, il paese tuttoI fratelli in un primo momento sembrava che capissero, il più vecchio è andato a trovarlo subito in carcere, gli ha portato della roba per cambiarsi, però dopo, forse anche perché ha la sua famiglia, i figli, i suoi problemi, ha un po’ cambiato atteggiamento, però una volta o due all’anno va a colloquio in carcere. Gli altri non hanno reagito male, sono stati forse meno rigidi, ma anche per loro specialmente all’inizio non era una situazione facile, e poi hanno sofferto anche di più perché vedevano quanto ne abbiamo sofferto noi genitori… In realtà, dei nostri figli uno abitava già in un ambiente dove non era molto conosciuto, un altro si è sposato qualche mese dopo e ha cambiato anche lui paese, quindi loro in fondo hanno continuato la loro vita, il loro lavoro, anzi mi ricordo che il secondo figlio proprio il giorno dopo l’arresto di suo fratello doveva cominciare un nuovo lavoro, e ha dovuto presentarsi in ufficio in direzione e dire che cosa era capitato nella nostra famiglia, perché magari non venissero a saperlo da altre vie. Devo dire che ha avuto anche lì abbastanza comprensione: “Noi conosciamo lei e non ci interessa altro”, gli hanno detto. Per noi è stata più dura, più che altro ha pesato la reazione del paese piccolo, anche perché forse non è facile rompere il ghiaccio in certe situazioni: non aveva il coraggio, o la voglia di farlo, chi ci conosceva bene e ha preferito fingere che non esistessimo, e non avevamo il coraggio di farlo noi, temendo la reazione della gente. Ci sentivamo spaventati, non riuscivamo più a vivere come si viveva prima, e così ci siamo abbastanza chiusi in noi stessi. Anche per vergogna, naturalmente, perché prima eravamo considerati una buona famiglia, quattro figli e non c’era mai stato niente da dire in nessun caso. Poi ti capita questa batosta e ti crolla addosso praticamente tutto, la gente aveva stima, aveva fiducia in noi e poi di punto in bianco ci ha lasciati soli. A volte ti escludono gli altri, a volte ti autoescludi da soloQuando ti succede un fatto grave come quello che è capitato a noi, per quanto ti sforzi non puoi accettarlo, non capisci, non riesci a spiegarti nulla. Poi però, faticosamente, devi farti un po’ di coraggio e cominciare a riprendere lo stesso ritmo di prima. Io ho incontrato persone che mi hanno dato una botta sulla spalla, come a dirmi: dai che tutto si sistema… Ho trovato però anche persone che ci guardavano con sospetto, ho sentito gente che prima ci considerava in una maniera e poi ci ha voltato le spalle. Devo dire però che in un certo senso siamo stati noi per primi ad autoescluderci, mentre fuori tra la gente ci sono stati alti e bassi, chi capiva la situazione chi non la capiva chi magari ne approfittava per criticare e disprezzare. I parenti invece ci sono stati vicini, noi quando abbiamo saputo dell’arresto la domenica sera abbiamo avuto la casa piena, mia sorella, mia cognata, gli altri cognati da parte di mia moglie. Poi la sera stessa abbiamo chiuso la casa, siamo andati via e tutta la prima settimana l’abbiamo passata dai parenti per evitare spiacevoli incontri, anche perché ho saputo che tutti i giorni c’erano giornalisti e telecamere. Quando siamo tornati, siamo stati una settimana e oltre con le tapparelle abbassate e la porta chiusa… ma poi bisognava fare la spesa, vivere in qualche modo, quindi io uscivo con la macchina e mia moglie era pronta a chiudere la porta. Io poi andavo per stradine in mezzo ai campi fuori dal paese, sono stato circa un anno senza passare per la piazza… in macchina facevo molti chilometri per andare a prendermi le sigarette in un altro paese dove non ero conosciuto. Ricordo che un giorno mi sono fermato in un bar a prendere un caffè in un paese lì vicino, e c’erano tre o quattro persone che non mi conoscevano. Quando sono entrato io il barista ha cominciato a dire: “Hai visto anche quello lì, quel ragazzo, quanto presto hanno fatto a prenderlo, però faranno presto anche a liberarlo, vedrai che fra un anno è già fuori quello”. E io sono lì che ascolto e non so cosa devo dire cosa devo fare… niente, ho bevuto il caffè e sono andato via. Però quelli sono i luoghi comuni della gente diffusi un po’ dappertutto, e intanto mio figlio sono anni che è in carcere. Noi avevamo sempre frequentato la parrocchia, ma da quel momento lì non abbiamo avuto il minimo segnale neanche dal parroco. Devo dire però che a mio figlio lui ha sempre scritto, con noi invece è stato assente, non si è visto… e allora abbiamo cominciato a frequentare una parrocchia più lontana, in un altro paese, e la domenica mattina andavamo a messa dai frati francescani, anche perché lì non ci conosceva nessuno. E proprio lì vedevo un frate umile, cortese con tutti quando si usciva da messa, sempre disponibile, e allora un sabato pomeriggio, tornando dal colloquio con mio figlio in carcere, ho deciso di andare da lui, mi sono presentato, gli ho spiegato tutta la situazione e siamo stati circa due ore a parlare, e lui mi ha detto che conosceva un frate suo confratello che andava a visitare i carcerati e si occupava delle loro famiglie. Ci ha fissato un appuntamento e così abbiamo conosciuto Fra Beppe. Poi siamo andati anche noi nella sua comunità e lì abbiamo incontrato famiglie con la nostra stessa situazione. Ci siamo inseriti e abbiamo capito che non siamo i soli a vivere questo problema, e questo ci è servito molto per sbloccarci, anche perché dopo abbiamo pensato che di figli ne avevamo altri tre e non potevamo riversare tutto su uno e farci vedere sempre e solo dispiaciuti e delusi con tutti. Abbiamo deciso allora che dovevamo alleviare un po’ la sofferenza degli altri figli, e questo è stato uno dei motivi che ci ha fatto riflettere e buttare tutto dietro le spalle, liberandoci un po’ di questo nostro peso… ora ce lo abbiamo ancora dentro quel peso, però lo viviamo in maniera diversa, senza sentirci sempre in colpa… I sensi di colpa che ti scatena un figlio in carcereSono comunque tante le domande che ti fai, e non è facile non farsi prendere dai sensi di colpa: ma poi pensi che tutto quello che hai fatto, hai cercato di farlo per il bene della famiglia… naturalmente ad un certo punto è pensando anche a questo che il peso si alleggerisce. E poi ti dici: cosa ho fatto di male, non so, ne ho messi al mondo quattro di figli, li ho portati alla maggiore eta senza far mancare loro mai niente, ho sempre cercato di dare più che altro il buon esempio… anche per quel che riguarda il denaro, a casa nostra una cosa si faceva solo se c’era la possibilità di farla. Avevamo un negozio di ferramenta vicino a casa, e a volte mandavo lì mio figlio se mi serviva qualcosa, e anche senza i soldi lui vedeva che gli davano tutto quello che chiedeva: vedi, gli dicevo allora, quando uno ha fiducia, sa chi sono io e non ha bisogno di garanzie. Cercavo anche con questi piccoli esempi di far capire che la prima cosa che vale nella vita è l’onestà in tutti i sensi. Allora posso dire tranquillamente che se ho sbagliato ho sbagliato in buona fede… Il fatto è però che uno si sente in colpa anche se non ha nessuna responsabilità, e allora comincia a ripensare a tutta la sua vita, a vedere cosa può essere successo… Forse l’unica cosa è che poi comunque hai altri figli, se è successo che uno è finito in carcere, ma gli altri hanno fatto scelte diverse, allora vuol dire che molto dipende anche dalla storia personale, è qualcosa di personale che non può coinvolgere tutta la famiglia. Io sono sempre stato abbastanza tranquillo perché pensavo che il mio figlio più giovane avrebbe seguito l’esempio dei fratelli, che sono andati a scuola, hanno studiato, hanno sempre fatto quello che dovevano fare. Tra l’altro, io sono amico di una coppia di un paese vicino che ha un ragazzo che sta in carcere per droga, furtarelli e roba del genere… però anche il padre era lo stesso, si è fatto parecchi anni di galera anche lui… e ad un certo punto gliel’ho anche detto che lui a suo figlio non gli ha dato nessun buon esempio, il mio invece non ha seguito la mia strada… Con gli altri genitori, che hanno i nostri stessi problemi, ci diciamo proprio tuttoCi confidiamo davvero tutto con altri genitori di ragazzi detenuti, sono le uniche persone con le quali non abbiamo paura a parlare. C’è una famiglia con la quale ci sentiamo almeno una volta al mese e s’è creato veramente un rapporto di amicizia. E forse è un’amicizia più solida, perché è venuta fuori da queste sofferenze, da queste situazioni pesanti… veramente certe cose non le diciamo a nessuno, però quando ci troviamo con quelle tre-quattro famiglie con le quali abbiamo legato di più, ci si dice tutto… quello che invece non facciamo con altre famiglie, con le quali magari prima avevamo un rapporto di conoscenza da diversi anni. Parlare liberamente ci è servito tanto per buttare fuori il dolore, per alleggerirci un po’. Il dispiacere c’è e resterà sempre, ma se non altro ora ti lascia un po’ di respiro… Con queste famiglie all’inizio non è stato tutto facile, ma Fra Beppe quando ci ha visto distrutti ha chiesto loro di starci vicino, e quando siamo arrivati ci hanno individuato subito, qualcuno ci ha raccontato tutti i suoi problemi e poi ha voluto sapere perché eravamo lì anche noi… Questa è stata una esperienza un po’ curativa… come una vera medicina. I colloqui così come li vivono i genitoriI colloqui sono pesanti da affrontare, anche per il modo in cui si svolgono. Chi va lì deve aspettare al freddo, pure quando piove, di solito fra una cosa e l’altra passa un’ora e più, prima aspetti fuori che ti chiamino uno alla volta, e certo sarebbe meglio avere una saletta all’interno invece che aspettare sotto quella pensilina. Tempo fa siamo andati un sabato pomeriggio ed era abbastanza freddo, e mia moglie si è sentita male… sono stati gentili, l’hanno portata dentro, ma certo è dura, aspettare fuori e poi la perquisizione, e la sala colloqui dove a volte c’è una confusione che non ci si riesce a sentire, e quindi si è portati ad alzare sempre più la voce e così viene fuori un casino della malora… Sì, lì al colloquio si è troppo disturbati, non c’è quella serenità per comunicare come si vorrebbe. Si parla comunque un po’ di tutto, di quello che succede a casa, al paese, e magari si va con la voglia di dire tante cose e dopo ti trovi lì per un’ora che a volte è molto breve, ma a volte è anche molto lunga da passare. Mia moglie i primi tempi non voleva venire a colloquio, non ce la faceva. Poi è successo qualcosa, c’era una mia sorella che si è malata di tumore, mia moglie andava a trovarla e io intanto andavo in carcere a trovare nostro figlio. Mia sorella ha sempre insistito, le diceva di continuo: “Vai a trovarlo, vai a trovarlo, e quando esco dall’ospedale vengo anch’io e andiamo assieme”, ma dopo si è aggravata. Mia moglie ha quindi capito che glielo aveva promesso e doveva farlo, e un giorno mi ha detto: “Vengo anch’io”. Ha pianto tanto, quel giorno… Mio figlio è rimasto sconvolto, proprio non se l’aspettava… e lei comunque, lei ha fatto molta fatica, si è sbloccata solo per questo fatto della malattia di mia sorella. La rabbia, l’affetto, quello che prova un genitore nei confronti del figlio in carcereIo verso mio figlio ho provato anche un po’ di rabbia, ma devo dire che in me ha sempre prevalso l’affetto, sempre. Ancora adesso, dopo anni, penso continuamente a cosa starà facendo, se starà dormendo, a cosa penserà in questo momento, ci penso sempre anche adesso… L’affetto in me ha avuto davvero il sopravvento su quel po’ di rabbia che ti provoca una situazione così. E poi questa vicenda ha cambiato anche il mio modo di vedere il mondo, perché, per esempio, la condizione della vita in carcere prima anche per me era qualcosa di lontano, e invece mi sono trovato a pensare non solo a mio figlio, ma anche a tutti i genitori che si trovano a combattere con questi problemi, queste situazioni… Certo non so come avrei reagito se tutto questo fosse capitato ad un mio amico invece che a me. È difficile a dirsi, sono sincero… adesso se dicessi che l’avrei aiutato non sarei onesto, ma certo se succedesse ora saprei stargli vicino… Per mio figlio sta per cominciare una nuova fase della vita, con i primi permessiÈ una fase che aspettiamo con tanta fiducia e tanta speranza, però qualche paura c’é. Non penso che il paese, dopo nove anni, reagisca in maniera cattiva, anche perché oggi c’e tanta gente che mi chiede di lui, come sta, ho visto in più di qualche persona non la curiosità ma la solidarietà. Non mi aspetto una reazione cattiva, solo che bisogna andare un po’ calmi, e poi bisogna vedere anche mio figlio come reagisce… può venire a casa e chiudersi dentro e non avere neanche lui il coraggio di affrontare la gente, non è semplice prevedere come andranno le cose. Ma poi comunque prevale la gioia che possa tornare a casa, e dopo al futuro si penserà con un po’ di fiducia, sperando che qualcosa di positivo possa succedere, la fiducia c’è. Questa fiducia che in un primo momento non c’era, quando i pensieri erano sempre gli stessi: cosa farà quando verrà fuori? Ci saremo ancora noi per dargli una mano? E i suoi fratelli, che ora hanno una loro famiglia a cui pensare, che cosa diranno? E tutte queste cose… tutti questi pensieri mi venivano all’inizio, ma poi ho visto anche che è un po’ cambiata la situazione e adesso ho più fiducia. Che cosa direi a una persona che si trovasse nella mia situazione?Le direi di cercare persone con le quali parlare e di dire tutto quello che si sente di dire, senza nessuna remora, senza paura. Non bisogna vergognarsi di far vedere di essere dei sentimentali, e poi vale la pena avvicinare il più possibile persone che magari abbiano anche una certa comprensione, una certa intelligenza. Questo sia a mia moglie che a me ha aiutato molto, perché io la vedevo veramente nera all’inizio, non vedevo un minimo di luce, pensavo che la vita di mio figlio fosse chiusa, finita. E adesso è stato come rinascere, rigenerarsi, imparare a vedere che le cose che succedono tante volte agli altri sono successe anche a noi e bisogna accettarle, altrimenti ci si mette lì continuamente a pensare e questo ti porta alla disperazione. E poi io fra l’altro ho sempre pensato al fatto che dovevo esserci, stare bene per dargli una mano quando ne avesse avuto bisogno, forse anche questo mi ha spinto un po’ a non lasciarmi andare.” |
|