Noemi si racconta

 

di Noemi, marzo 2004

Testimonianza tratta da Fuori Binario

 

Vi invio questa mia storia, sperando vi possa aiutare nell’intento di realizzare uno spazio per tutte quelle persone che, come me, si trovano detenute e private non solo della libertà ma di tante cose: emozioni, gioie, dolori e affetti reali. La vita all’interno di un carcere non è vita reale, è un’altra dimensione, realtà a parte. La vera realtà, la vita, si trova al di là di queste mura. Ove tu sei padrone delle tue scelte, azioni e pensieri.

 

Mi chiamo Noemi, ho 27 anni e questa è la mia prima esperienza carceraria. Sono stata arrestata il 5 maggio 2003 a seguito di uno scippo. Purtroppo il mio complice riuscì a darsi alla fuga, così io restai l’unica imputata del reato con lesioni e ricettazione, visto che io e il mio complice eravamo in possesso di un ciclomotore rubato. Tutti e tre gli articoli mi sono stati dati in concorso. Ho fatto il processo per rito abbreviato e sono stata condannata a 2 anni e 6 mesi di reclusione. Mi trovo alla casa circondariale attenuata di Empoli dal 5 agosto 2003, dove mi sono subito adattata all’ambiente e alle compagne. Le mie giornate sono tutte organizzate fra lavoro (mattina) e i vari corsi e studi (pomeriggio). So che se mi trovo in carcere è perché stavo vivendo una realtà diversa, distorta. Da tossicodipendente. La tossicodipendenza giorno dopo giorno mi stava annientando. Mi ero isolata da tutto e da tutti ed il mio primo pensiero era divenuto l’assumere sostanze stupefacenti; volevo che il mio primo pensiero fosse rivolto alla vita ma non fu così: la mia dipendenza era troppo forte da permettermi di poter vedere oltre. Ho iniziato a usare l’eroina a 25 anni e mezzo. Dopo varie sventure sono cascata in questo diabolico vizio in un periodo alquanto nero della mia esistenza trascorsa. Sono andata via dalla mia casa genitoriale a 18 anni per seguire colui che credevo essere l’uomo della mia vita. Ahimè quanto mi sbagliavo! Nei sette anni di convivenza con G. ne ho passate tante, forse troppe! A 21 anni sono rimasta incinta del mio primo figlio, T., che attualmente ha 7 anni e vive con la famiglia adottiva a Capannori, Lucca. Quando conobbi G. studiavo presso una scuola privata per conseguire il diploma di assistente socio sanitario, che poi mi avrebbe permesso l’internamento alla scuola d’infermieri. Inoltre, lavoravo in una discoteca di Firenze nelle pubbliche relazioni. Andai a vivere con lui presso amici comuni, poi andammo in un affittacamere, che io pagavo con i soldi guadagnati con il lavoro di pubbliche relazioni che già svolgevo per la discoteca, ed in più iniziai ad occuparmi della gestione pubblicitaria di alcune ditte, tra le quali anche Radio Studio 54. Guadagnavo abbastanza bene da permettere al mio compagno di non lavorare. Dopo 1 anno e 7 mesi di convivenza rimasi incinta. La mia famiglia non volle aiutarmi, quella di G. non poteva. Andai a Capannori in una casa famiglia con mio figlio T. Ero ingenua, desiderosa e bisognosa di avere vicino a me un punto di riferimento che trovavo nel mio compagno (anche se poi, non lo era). Dopo 5 giorni lui mi telefonò e mi intimò di raggiungerlo perché sarebbe partito per Sarno (SA), il suo paese di origine, se non lo avessi raggiunto. Stupidamente, ingenuamente, corsi da colui che ritenevo il mio grande amore. T. restò lì a Capannori. Mi maledico per aver anteposto un uomo a mio figlio, sangue del mio sangue. Iniziò per me un periodo strano, irreale. Non mi rendevo conto ero stata l’artefice di un gesto disumano. Non avevo più un impiego e così iniziai a fare “colletta” in stazione. Per un po’ di tempo andò abbastanza bene, certo riuscivo a far fronte ai bisogni primari miei e del mio compagno, ma spesso mi ritrovavo a dover dormire nelle sale d’attesa della stazione o nei vagoni in deposito. Preferisco non dover spiegare come, ma mi ritrovai a esercitare la prostituzione. Avevo bruciato tutto ciò che avevo di umano, andando contro ai miei principi. Non avevo più stima di me stessa, non avevo orgoglio, ma soprattutto volevo o credevo di amare solo il mio compagno e non me stessa. Nel marzo del 1997 rimasi incinta per una seconda volta. Avendo subito un taglio cesareo e con la paura di poter perdere quel futuro figlio, abortii. Nel giugno dell’anno successivo, rimasi incinta per un terza volta. Fortunatamente trovai lavoro presso un’agenzia pubblicitaria di un conoscente che mi diede anche un alloggio. A febbraio del 1999 mio padre mi prese in affitto un bilocale ad Empoli, mi comperò tutto l’occorrente per la bambina e provvide al mio mantenimento, del mio compagno e di mia figlia. Questo per due mesi, dopo i quali trovò anche un impiego al mio compagno. P. è tuttora per me la cosa più bella al mondo, quella che io abbia amato veramente. Anche se oramai sono 2 anni che non la vedo e non ne ho notizie. Purtroppo, un giorno mi suonarono alla porta due poliziotti e due assistenti sociali con un decreto di allontanamento dalla minore da me e G. Fu affidata all’Istituto degl’Innocenti dove, dopo tanto lottare, sono riuscita a raggiungerla. Dopo 11 mesi di permanenza in quell’istituto ci fu un’udienza, a seguito della quale P. fu resa adottabile. Mi cadde il mondo sotto i piedi. Avevo perso la mia bambina, la seconda creatura che avevo messo al mondo. Ero sola, non mi interessava più niente. Ero senza un alloggio, senza un lavoro e… sola. Iniziai a prostituirmi e per cercare di non pensare, cominciai a fumare eroina con amici e/o compagni di sventura. Una sera, ero nella macchina di un amico “femminiello” ed un altro ragazzo. Il “femminiello”, A., usava la roba da quasi dieci anni e se la iniettava. L’altro ragazzo non tossicodipendente si fece fare da A. un piccolo “schizzo”. Io non avevo gli “attrezzi” per fumarla, così quando vidi che A. sciolse con la sua busta anche la mia dicendomi: “Noemi, domani ti ridò i soldi”, presi una decisione, volevo provare anch’io le sensazioni che si hanno facendosi in vena. Così A. mi fece il primo buco della mia vita. Per 3 giorni stetti sempre con A. e il suo amico. Era un continuo bucarsi. Una notte io ed A. restammo soli e mi invitò a trascorrere qualche giorno presso la sua abitazione. Fu un’esperienza indimenticabile. Ai piano inferiore la cucina, fuori uso, il frigo staccato. Al piano superiore una stanza con un letto matrimoniale (i cui lenzuoli e la trapunta erano sempre, perennemente i soliti, sudici e logori). Un bagno in cui non funzionava l’acqua, dove era pieno di mosche e moscerini per la sporcizia. Sui muri del bagno una quantità infinita di schizzi di sangue. Dopo aver vissuto quella realtà ero sicura che mai e poi mai avrei fatto la stessa fine. Ahimè l’ho fatta!

 

N.B. Ora ho la possibilità di riscattarmi creandomi una nuova esistenza: sana e umana!