|
No, grazie, al bunker non ci torno, preferisco morire in carcere, nella "mia" cella
Di Fulvio Santagata, agosto 2000
Sono Fulvio Santagata ospite della galera dal 1978, no, non sono qui a parlare dei casi giudiziari di cui sono stato oggetto o di quelli di cui sono tuttora oggetto. Non voglio parlare della mia storia personale, voglio denunciare, per aver visto e vissuto, qualcosa che va al di là della concezione di "umanità".
E’ da 22 anni che "vivo" la galera e ne ho viste di tutti i colori, nel bene come nel male, ma non avevo visto tutto! Ultimamente ho avuto la sfiga, sì chiamiamola col suo nome, "sfiga", di sentirmi male, di avere dolori che mi stracciano il fisico; ho cominciato, come da prassi sanitaria in carcere, a segnarmi dal medico la sera, per essere visitato la mattina.
Tutto ha inizio il 29 febbraio 2000, le prime visite sono state molto superficiali con diagnosi "abbastanza confortanti": poteva essere un’ulcera o una gastrite mal curata, quindi terapie con il supporto di punture antidolorifiche, sì perché i dolori, nonostante la terapia "adeguata", non aveva nessun effetto sui dolori, che andavano ad un constante aumento.
Il 31 marzo 2000, dopo un mese di dolori, visite e terapie, vengo portato a fare un’ecografia all’Ospedale civile di Padova, quindi rientro in carcere in giornata, e ritorno al tran tran sanitario di prima, in attesa del referto di questa ecografia, sempre restando dell’idea, i dottori ed io, di essere affetto da ulcera e da gastrite. Ma i miei dolori non erano localizzati solo alla regione addominale, riguardavano tutto il corpo a partire dalla testa e, passando per la schiena, arrivavano sino agli arti inferiori. Quindi… punture antidolorifiche in aggiunta a pastiglie calmanti.
Sabato 15 Aprile 2000 vengo chiamato dal dirigente sanitario del carcere, il quale mi dice che è arrivato, finalmente, il referto dell’ecografia fatta 15 giorni prima e che la loro diagnosi era esatta, avevo sì ulcera e gastrite, ma c’era in più un’anomalia nel rene sinistro. "Un calcolo?", chiedo. Non era certamente un calcolo, ma una massa di 2,5 cm che avrebbe potuto essere "forse una ciste, ma niente di preoccupante, Santagata". Beh! se lo dice il dottore, bisogna credergli, ma non ce la facevo a stare tranquillo, possibile che una ciste potesse causarmi tanti dolori? Sono rientrato in cella e la mia testa sembrava essere nel mio rene sinistro… una ciste!? La bilancia confermava che il mio peso era indirettamente proporzionale ai miei dolori, più questi aumentavano più il peso diminuiva. Al 29 febbraio del 2000 pesavo 77 kg, al 15 Aprile 2000 pesavo 66 kg, ora sono, diciamo stabile, da qualche giorno intorno ai 60 kg…
Lunedì 17 aprile 2000, ore 8:00, vengo informato che devo essere portato all’ospedale civile… "Per una visita?", chiedo. "No, devi essere ricoverato con urgenza, ordine del dirigente sanitario, al reparto Bunker!". Allora la ciste è qualcosa di cui avrei dovuto preoccuparmi, inizio a dirmi. Al Bunker!? Chiedo in giro, cos’è questo Bunker, e le notizie che mi vengono date non sono certo positive. D’altronde male come stavo non poteva farmi paura un po’ di disagio… in 22 anni di carcere ne ho viste di cotte e di crude, come si dice, ho vissuto carceri maledetti e carceri meno maledetti… e ho sempre trovato il modo di starci. Alla fine della fiera la salute era la mia e dovevo salvaguardarla a costo di qualche sacrificio materiale. Alle ore 12:00 sono partito per il Bunker, e stavo male, malissimo, su quel furgone che si è fermato al pronto soccorso dell’ospedale civile di Padova, per fare il mio visto d’ingresso e di ricovero, alle ore 12:20. Sono sceso dal furgone per la suddetta visita alle ore 16: 30, tutto il tempo con le manette, e chiuso nella cella del furgone, 0,5m x 0,7m, con un altro detenuto, mi hanno visitato e subito ricoverato al Bunker, alle ore 17:00 poco più, poco meno. Attraverso la soglia del Bunker. Non avevo mai visto niente di simile!
Bunker! Sì il nome è appropriato, è un Bunker sotto tutti i punti di vista.
Dire Bunker, a me, fa venire in mente le costruzioni della guerra… con tutte le reminiscenze che la parola guerra fa venire. Ma in questo contesto la parola bunker può avere un valore positivo: costruzione super protetta per proteggersi dagli attacchi nemici… Questo bunker no, non ha nessuna parvenza di positività. Sono entrato e mi è mancata subito l’aria, la sporcizia, il degrado e le condizioni ambientali non le posso paragonare se non a quei "vecchi manicomi" in cui si torturavano le persone.
Dopo il terzo passo in questo ambiente che dovrebbe chiamarsi "sanitario", la mia sanità di mente stava già vacillando, no! mi era impossibile anche solo l’idea di poter rimanere lì, mi sarei tenuto la mia cara "ciste", i miei dolori, piuttosto che stare un altro minuto in un ambiente simile. Dico subito all’agente di servizio che voglio andare via, di chiamare il dottore responsabile dell’ospedale perché voglio autodimettermi; in attesa che arrivi il medico, chiudono le porte blindate, e mi ritrovo in una scatola sigillata… nel vero senso della parola… con altri due detenuti, in una cella 3m per 3m, senza prese d’aria dirette… solo un rumore sul soffitto che si dice sia l’aria condizionata.
Il Bunker è una sezione super protetta che il carcere di Padova ha presso l’ospedale civile. Detta così sembra una buona conquista per la popolazione detenuta: ci si può curare anche da detenuti. Il Bunker cos’è veramente: un obbrobrio superprotetto appartenente al carcere e incastonato in un’ala dell’ospedale civile di Padova, dove ti mettono in isolamento perché si è avuto l’ardire di essere malati. Un’ala dell’ospedale dove al piano terra raccolgono le immondizie di tutto l’ospedale e al primo piano… ci stanno i detenuti e la geriatria civile (gli anziani).
Il Bunker com’è? Tutta la struttura tra reparto detenuti e posto di guardia sarà di 50 - 60 mq. Ci sono tre celle; una cella da una persona, una cella da due, e l’ultima da tre persone: sei posti letto! La cella singola (in cinquanta giorni le ho frequentate tutte e tre perché anche da malato "qui non ci puoi stare, devi andare nell’altra cella e poi non puoi stare neppure qui devi lasciare il posto ad uno che sta arrivando"); è quella che ti può dare una parvenza di "giusta sanità", se non altro perché hai a che fare "solo" con i tuoi dolori… Ma poi sei solo… in isolamento! Le altre due celle non hanno neppure questa falsa positività, ci sono altri posti, altre persone con cui dividere gli spazi e i dolori e… devi, quand’è possibile, fare le veci anche degli infermieri e "badare" ai dolori degli altri oltre che ai tuoi, perché siamo lasciati in balia di noi stessi, con nessun mezzo per comunicare con gli infermieri, gli agenti e i dottori se non battere con i pugni sul blindato per richiamare l’attenzione di qualcuno.
Le celle sono fatte per la sicurezza piuttosto che per la sanità, non gli si può dare torto, siamo pur sempre gente pericolosa che proviene dal carcere, ma quando si eccede in sicurezza allora non si può parlare di mera sicurezza ma di sottile repressione, perché se è vero come è vero che il bunker deve ospitare persone che provengono dal carcere, sarebbe già sicuro ricreare lo stesso ambiente del carcere, ma qui si eccede fino al paradosso. Ci sono le sbarre alle finestre, come in carcere, ci sono i vetri, come in carcere, ma, mentre in carcere puoi aprirle per respirare un po’ d’aria pura, al bunker, quindi all’ospedale, non puoi aprirle, sono vetri blindati di quattro dita, inchiavardati con staffe di ferro e sigillati con silicone che non può entrare neppure un filo d’aria ... in carcere hai una branda, la stessa che hai al bunker, è piantata per terra, mi pare giusto, in carcere hai un tavolino, e uno sgabello di legno leggero che puoi usare per scrivere, per mangiare, per farti, perché no, anche una partita a carte per passare il tempo, al bunker no, per ragioni di sicurezza, mi pare giusto, e allora dove mangiano i detenuti infermi? ma, per Dio, com’è uso fare nei fast-food, in piedi appoggiati al termosifone, e lascia stare che non stai in piedi come il sottoscritto per la difficoltà di deambulazione che ho, o che, come altri, hai le stampelle o le gambe immobilizzate dal gesso, devi essere bravo e capace di trovare il modo di arrivare al termosifone-buffet se vuoi mangiare, perché l’inserviente che porta il mangiare, sbatte i contenitori di plastica sigillata là sopra e scappa via subito, si richiude il blindato e siamo lì… noi, disgraziati perché oltre che detenuti ci siamo trovati ad indossare gli abiti della malattia. Passato di verdura - pollo ai ferri - verdura cotta - 1 panino di 20 gr, 1 mela: Pranzo e cena!!! Hai ancora fame? Fatti tuoi… non puoi certo andare al supermercato, né puoi fare la spesa, no… sei lì e sei quasi una rottura per tutti, quindi raziona quello che passa il convento e se è una malattia che guarisce, prega per questo… sono dimagrito 6 Kg nel tempo che sono stato lì, mangiando anche le briciole che rimanevano sul termosifone!!!
In carcere puoi farti la barba anche tre volte al giorno, se vuoi, hai le tue lamette, il tuo specchio e tutto quanto può servire per curare la tua persona. Al Bunker no, per ragione di sicurezza, come dargli torto? Non puoi fartela la barba perché le lamette non te le danno, lo specchio non c’è e devi "combattere" per cercare di farti capire… Mi sono fatto la barba dopo 40 giorni perché "ho avuto la fortuna" di essere interrogato dal Magistrato di Sorveglianza che è entrato nella cella in cui stavo e… è scappato subito fuori, perché "manca l’aria qua dentro, non si può vivere…", parole sue, mi ha fatto uscire dalla cella e fatto fare l’interrogatorio al posto di guardia, durata della sua visita? Tre minuti d’orologio… perché anche dove sono costretti a lavorare gli agenti, non è molto migliore di dove siamo costretti noi detenuti… (…). Con tutto ciò da combattere ci vuole una sigaretta… cosa volete sono uno che qualche sigaretta al giorno se la fa, in carcere a volte è l’unico vizio che ti rimane, a me solo questo, al Bunker neanche questo; sei malato, questo e un ospedale, non puoi fumare! Tutti schierati per il mio bene, per la mia salute… niente sigarette, niente giornali, niente televisione, niente radio, niente carte, niente tavolino, niente sgabello, niente specchio, niente lamette… ci vuole un caffè, no, niente fornello e niente… non puoi avere nulla, non puoi far nulla. Sei malato! Andiamo a sgranchirci le gambe all’aria un’oretta? No, al bunker, niente aria. 24 ore al giorno chiuso in una scatola sigillata con tanto ferro piantato per terra (…).
Capita che nel bel mezzo della notte ti svegli di soprassalto con la gola in fiamme, la lingua che sembra occupare tutta la bocca e gli occhi fuori dalle orbite per un risveglio non certo delicato… hanno spento il "rumore", la cosiddetta aria condizionata, gli agenti hanno spento l’aria perché loro sicuramente il rumore lo sentono ancora più forte di noi dato che il motore è dalla loro parte e allora, alzati, bussa finché qualcuno non risponde e fai in modo di farti capire che al di là del "rumore" c’è l’unica possibilità che hai per respirare… lo riaccendono e si ricomincia a respirare aria smossa e non più il tuo respiro di ritorno - ma non dormi più per paura che non lo rispengano! (…).
Ho sofferto le pene dell’inferno in quei cinquanta giorni al bunker, e ora so che male mi affligge, che consolazione, un tumore linfatico in grave stato di avanzamento e devo seguire una terapia specifica per tenere il tutto sotto controllo e cercare di sopravvivere più anni possibile… Niente in contrario, voglio provarci a sopravvivere, seguendo le terapie che mi sono state consigliate. Mi è stato detto, consigliato, ordinato che per fare quelle terapie devo ritornare al bunker… Al bunker? No, grazie! Perché infierire ancora contro di me? sei in prigione perché, si presume, hai combinato qualcosa, secondo la società la giusta punizione. Ma vogliono punirti ancora di più, perché è diventata una colpa ammalarsi, diventi ancora più pericoloso, ti vengono tolti anche i più elementari diritti, quali l’informazione, la telefonata ai parenti, l’ora d’aria, la libertà di farsi la barba, la libertà di fumarsi una "sana" sigaretta per fare andare via in una spirale di fumo parte di quei problemi che certe malattie possono portarti. No grazie, al bunker non ci torno, non per paura, ma perché non ho fatto nulla per meritarmi tale punizione. Ammalarsi è diventato una colpa? Sono stato dimesso dal bunker il 6 giugno 2000 e stavo certamente peggio di quando sono entrato… Sessanta chilogrammi scarsi di peso, pelle giallastra per mancanza di aria pura, occhi allucinati per l’isolamento che ho dovuto subire mio malgrado, mente vacillante per la mancanza di compagnia e confronto con qualcuno. Solo una suora ha il permesso di venire un quarto d’ora, un paio di volte alla settimana, per il resto… gli infermieri vengono a portarti le medicine, il tempo strettamente necessario, hanno ordine che con noi non possono parlare, gli agenti sono al di là della porta blindata e, lo sappiamo tutti, non possono socializzare con i detenuti. E si è soli, soli con la propria malattia, senza nessun conforto, senza nessuna divagazione che ti allontani per un po’ da ciò che stai provando: la vita che se ne va!
No, grazie, al bunker non ci torno, preferisco morire in carcere, nella "mia" cella, facendomi una chiacchierata con il mio compagno di cella, sparandomi una sigaretta, mentre mi guardo la televisione, mangiando a tavolino come un essere umano, e andare al cesso chiudendo la porta. E se poi ho voglia di leggere un giornale o un libro posso farlo…, posso aprire la finestra e inebriarmi di aria pura, aria fresca.
Dopo due giorni che sono tornato in carcere il Magistrato di Sorveglianza mi ha concesso la temporanea sospensione della pena per "provare" a curarmi in un luogo idoneo alla terapia che dovrei fare, ma sono ancora qui in carcere, perché i GIP che stanno indagando la mia posizione ritengono luogo ad alta specializzazione per il mio tumore il reparto bunker dell’ospedale civile di Padova… e hanno ordinato il ricovero coatto in tale struttura… No, grazie! (…). Una volta, in carcere quando ti volevano punire, ti portavano in una sezione di isolamento dove non c’era nulla, a volte neanche la branda per dormire e ti tenevano lì senza aria, né sigarette, né giornali…, il luogo si chiamava, in quasi tutti i carceri "campana", perché potevi anche urlare, tanto non ti sentiva nessuno, sordo come una campana… Ma ora penso al Bunker: è ancora peggio della campana! (…).
|
|