Zanza di lusso, due anni di vita da "portoghese"

 

Di Mauro O., dicembre 2003

 

Chi è in carcere o ha a che fare con il carcere, quando sente dire: "È uno zanza", sa perfettamente di cosa si tratta. Nel gergo carcerario zanza è sinonimo di "640", l’articolo del codice penale che sanziona la truffa. Quindi lo zanza è un truffatore.

Pubblichiamo la storia di Mauro O., un sardo, che sta scontando anni di galera per piccole truffe e per conti non pagati, soprattutto in alberghi di lusso. La carica di simpatia e la faccia tosta nel portare a termine le sue piccole truffe ne fa comunque un personaggio particolare. Anche simpatico, se non sei stato tra i suoi "clienti". Ma come si inizia a truffare, per quale ragione si commette questo particolare tipo di reato? Ce lo racconta Mauro nella sua testimonianza.

 

Mi chiamo Mauro O., non ho niente da nascondere perché ormai mi hanno "beccato". Ma anche prima di finire in galera facevo tutto alla luce del sole.

Provengo da un paesino dell’Oristanese, zona Marmilla, un paesino di non più di mille abitanti, dove ci conosciamo tutti da generazioni.

La prima volta che uscii dal mio paese fu per fare il militare, avevo 18 anni e avevo chiesto io di partire in anticipo proprio per potere vedere un poco il mondo. Al paese facevo il muratore, ero il quart’ultimo di sette maschi, tutti muratori.

Finito il militare andai a lavorare a Bologna in un albergo, sempre come manutentore, ero un po’ il factotum. Sul posto di lavoro conobbi una persona molto influente, che da subito si mostrò disponibile, mi aiutò a trovare una casa, era sempre molto socievole, ma alla fine si rivelò quello che era davvero: non voglio usare parole abusate e dirò semplicemente che era una persona non gradita ai miei gusti sessuali. Lo allontanai bruscamente, non appena lui scoprì le sue carte. Ma questa situazione, viste le sue conoscenze e la sua influenza in quell’ambiente, mi costrinse a lasciare il lavoro. Purtroppo avevo fatto conto sul buon stipendio e quindi avevo acquistato una autovettura, mobili, moto, e c’era l’affitto mensile da pagare.

Cercai allora un altro impiego, ma avrei dovuto cambiare casa e ripartire da zero. Ero arrabbiato perché di sacrifici ne avevo fatti tanti e la vivevo come un’ingiustizia. Mi restavano la macchina e pochi soldi, pagai le rate dell’auto e dei mobili e vendetti la motocicletta.

Nella mia infanzia avevo avuto una educazione alla legalità molto forte, quindi la prima cosa che pensai, non riuscendo a far fronte alla situazione in maniera onesta, fu di tornare a casa, ma sarebbe stata una sconfitta. Allora cambiai zona e andai nel ravennate, però non trovai lavoro subito, e così, terminati i soldi, non avevo più neppure una casa. Per orgoglio non chiesi aiuto ai miei familiari e neppure agli amici. Avevo fame, non potevo lavarmi e avevo sonno. Cercai un albergo, cosciente di non avere i soldi per pagare. Provai in una pensione anonima, ma volevano i soldi di caparra prima di farmi entrare, quindi decisi di provare in un albergo di lusso, un quattro stelle della catena Sheraton.

Fui accolto molto bene e lasciai i miei documenti, davo la patente e si trattenevano una fotocopia perché io guidavo. Stavo vivendo una

situazione che sino a pochi mesi prima era per me sconosciuta: stanze da 250 mila lire al giorno, prima colazione in camera, frigo-bar sempre fornito, TV e telefono. La biancheria la lasciavo fuori dalla porta alla mattina ed a mezzogiorno quando tornavo per il pranzo era già lavata e stirata.

Quando stava arrivando il fine mese, dalla reception comunicarono il saldo del mese, e lo fecero con tantissima gentilezza. Mi trovai imbarazzato, ma sapevo che non avrei potuto saldare proprio niente. Dovevo andare via al più presto. Viaggiavo con uno zainetto e non detti nell’occhio, in stanza tenevo poche cose. Andai via la mattina dopo, prima però feci colazione.

Era dolce vivere così, non potevo permettermelo ma lo facevo lo stesso. Continuai con questa vita per due anni girando i posti più belli d’Italia, vivendo negli alberghi più lussuosi e prestigiosi. Ricordo i 28 giorni passati a Riccione, in viale Ceccarini, la macchina più piccola posteggiata era una Mercedes con cui giravano i dipendenti. Era dolce vivere così, non potevo permettermelo ma lo facevo lo stesso. Parlare con personaggi di classe, industriali, professionisti, tutte persone più che benestanti, mi piaceva. Mi presentavo come rappresentante di componenti di macchine industriali, ma avrei potuto dire di essere un astronauta e sarebbe andato bene lo stesso. La mia auto era una Golf 1.600 c.c. turbo diesel e per fare il pieno avevo un tubo e "tiravo" la nafta dai camion. Facevo molti chilometri e l’auto cominciò a dare problemi: aveva bisogno di una messa a punto. Mi recai in un albergo di Ancona e, parlando con un responsabile dell’albergo, venni a sapere che c’era un’officina Volkswagen di sua conoscenza. Telefonò lui stesso e fece venire un addetto dell’officina. Quando arrivò, lo vidi imbarazzato dall’ambiente lussuoso, tutti in "ghingheri" e lui vestito da meccanico con la tuta; gli offrii da bere mettendo il tutto sul mio conto aperto e facemmo conoscenza, quindi gli spiegai i problemi della mia macchina. La portò via e dopo due giorni ritornò e mi accompagnò nella sua officina, era molto orgoglioso del lavoro fatto. Mi consegnò subito le chiavi e insistette affinché la provassi. La misi in moto e lui mi suggerì di fare il giro dell’isolato. Lo vidi che mi guardava orgoglioso mentre mi allontanavo. La macchina era uno specchio e andava alla grande, ma purtroppo non avevo i soldi per pagare sia lui per l’ottimo lavoro svolto, che l’albergo per il suo stupendo servizio. Andai via senza nemmeno tornare in albergo.

In un’altra occasione ero in provincia di Bologna e mi servivano dei contanti per un viaggio, volevo andare in Olanda e come al solito non avevo una lira. Organizzai una cena in montagna, sulla strada che conduce al Passo della Futa, che da Bologna va a Firenze. Partii per cercare il locale per una cena di 46 persone, ne organizzai il menù con il proprietario: tortellini, lasagne, carne alla griglia. Il proprietario chiamò personale extra per rinforzare il servizio e non mi chiese neppure l’anticipo. Alla sera ci presentammo in 47 persone. Siamo stati bene, serviti in maniera impeccabile, mangiato "da Dio", bevuto come cammelli assetati. Piano piano, essendo un giorno infrasettimanale, la gente se ne andava, ma prima venivano da me e mi lasciavano 40mila lire ciascuno. Alla fine restai solo con un pacco di soldi. Chiamai il proprietario, che venne a sedersi con me insieme al cuoco. Lasciai in bella vista il pacco dei soldi e lui volle regalarmi una bottiglia di buona grappa fatta da loro. Ad un certo punto gli chiesi degli avanzi per due miei fantomatici cani, e me ne fece un bel sacchetto. Lo portai in macchina con la bottiglia di grappa, montai anch’io con tutti i soldi e me ne andai. Il giorno dopo alle dieci di mattina ero ad Amsterdam.

Era dura chiudere con questo "stile" di vita, ma l’ho fatto. Tornai dai miei genitori, per le ferie nel 1992, al paese avevo lasciato la ragazza e la rividi. E lì ho capito che solo con lei e per il suo amore avrei potuto cambiare vita. E così è stato: in seguito ci siamo sposati e abbiamo vissuto un’esistenza "normale", io lavoravo onestamente e con molto impegno. Ero e sono tutt’oggi molto stimato nella mia zona di residenza, nessuno conosceva il mio passato.

Ma la "giustizia" è lenta … e però arriva inesorabile!

Un giorno si presentò alla porta il maresciallo del paesino in provincia di Vicenza, dove vivevo, e, dato che ci conoscevamo, a malincuore mi disse che doveva arrestarmi. Ero stato condannato in contumacia a 4 anni e 6 mesi per 25 denunce (non tutti comunque mi avevano denunciato).

Ora mi restano ancora un anno e tre mesi da scontare e non sogno più da tempo gli alberghi di lusso, ma solo mia moglie, il lavoro e la serenità di casa mia.