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La mia "vita in ecstasy"
"Fuori" i ragazzi spesso pensano che l’ecstasy non faccia danni, "dentro" ci sono ragazzi che in carcere ci sono finiti proprio per l’ecstasy. Come Marco, che ci racconta la sua storia
Di Marco, ottobre 2001
Il mio nome è Marco, ho 34 anni, sono nato a Padova, dove ho vissuto da sempre, sino a quando la voglia di conoscere altri paesi e fare nuove esperienze mi ha condotto prima in giro per l’Italia poi per il mondo. Terminata la terza media, mi sono iscritto alla scuola per Odontotecnici, sono arrivato al quarto anno ed a causa di una bocciatura che io ritenevo estremamente ingiusta, abbandonai gli studi perché avevo vissuto la faccenda come un grave torto. Ho fatto il militare, e sino a 21 anni conducevo una vita "normalissima" come un qualsiasi ragazzo della mia età. In quel periodo nella mia compagnia di tanto in tanto qualcuno faceva uso di eroina, me ne rendevo conto dal loro cambiamento. Questa cosa non mi piaceva affatto, non faceva assolutamente parte del mio modo di essere. Mi staccai dal gruppo, anche se eravamo amici d’infanzia.
La mia percezione del mondo della tossicodipendenza? Forse di paura. Mi spaventava molto, consideravo l’uso di droghe pesanti molto estremo, ripeto mi spaventava, era un mondo che conoscevo solo attraverso gli effetti deleteri che aveva sulle persone che assumevano queste sostanze. Ma l’ecstasy no, quella all’inizio non mi ha spaventato affatto. L’ecstasy era la mia droga per eccellenza. Per me era divertimento assoluto. Sballo allo stato puro. E soprattutto ero convinto che non facesse male. In pratica non consideravamo l’ecstasy una droga, ma un mezzo per uscire dal solito modo di vivere, dare una scossa ad una vita un po’ piatta. La mia avventura, se così la possiamo definire, inizia nell’inverno del 1988, quando incontrai un amico che non vedevo da molto, il quale mi propose di provare questa nuova droga che ancora non era conosciuta, o perlomeno se ne sentiva parlare molto poco, e che era "adatta" a un consumo nelle discoteche. Ne acquistai una per provarla. Andai nell’unica discoteca dove proponevano un tipo di musica giusta per la situazione: Acid. Dal ritmo ipnotico, accompagnato dal volume altissimo, dall’effetto delle luci stroboscopiche che contribuiscono in un certo senso a farla "salire…" meglio. Come prima esperienza è stata bellissima. Ad un certo punto, dopo circa mezz’ora che avevo "calato", cominciai ad avere una stranissima sensazione, che partiva dalla punta dei piedi sino alla testa, un benessere totale accompagnato da un’euforia pazzesca. Ero socievole con tutti. Facilità di dialogo con qualsiasi persona che incontravo, anche con persone che non conoscevo. Una gran voglia di ballare al ritmo della musica che il DJ proponeva. In quel momento il DJ per noi era come un Dio che ti dava la possibilità con la musica di farti raggiungere momenti paradisiaci. Un’esperienza che allora ritenni meravigliosa perché in un certo senso mi dava modo di aprirmi e vincere quella timidezza che avevo.
Conobbi moltissima gente che ruotava intorno a questo mondo. Da allora iniziai a girare per tutta l’Italia, la Riviera Romagnola, che ho frequentato per molti anni, tutto il Veneto, la Lombardia, la Toscana. Non mi bastava, volevo conoscere di più. Ogni settimana era sempre più esaltante, ci si dava appuntamento ad ogni tipo di feste che venivano proposte. Già all’inizio della settimana pensavo a quante pasticche avrei potuto "calare" tra giovedì e domenica. Certe volte si "calava" fino a cinque pasticche per week-end. Certe serate iniziavano all’una di notte, sino alle tredici del giorno dopo, una vera maratona dell’ecstasy, e della musica. Si ballava e sballava al ritmo travolgente dell’Acid-house. In alcuni casi non si riusciva a trovare la volontà di tornare a casa, quasi desiderassimo che quella festa durasse all’infinito. Ho fatto esperienze di ogni tipo, a volte anche estreme. Ad esempio quando ci trovavamo in casa di amici ed amiche e si continuava a "calare ecstasy" e si arrivava a momenti in cui i freni inibitori in pratica non esistevano più. Ho conosciuto migliaia di persone, la maggior parte erano amicizie di comodo o superficiali, amicizie che duravano per un brevissimo tempo, a volte per un week-end e basta. Andava bene così, non ho mai dato peso o importanza alle persone che incontravo per questo motivo. Si viveva la situazione e il momento per quello che era e nient’altro. Questa storia è durata per otto anni, dal 1988 al 1995. Dal novantacinque in poi ho continuato ancora a farne uso, ma a un ritmo decisamente inferiore a quello degli anni passati. Cominciavo ad organizzare feste nei vari locali, sulla base dell’esperienza fatta nell’ambiente. Organizzavo anche, con successo, feste in ville e castelli antichi, che erano molto apprezzate. Sono finito in carcere perché mi trovavo al momento sbagliato nel posto sbagliato, può sembrare una banalità ma è andata proprio così: nel novembre del ‘92 mi sono incontrato a cena nello stesso ristorante con un amico, un incontro casuale. Mentre stavamo cenando, è partita una operazione di polizia, e mi sono state trovate addosso circa cento pastiglie di ecstasy. E’ scattato l’arresto immediatamente. Ho scontato quattro mesi e mezzo di carcere preventivo, e sono stato scarcerato in attesa di processo. Una volta fuori ho continuato a lavorare come ho sempre fatto: quindi avevo i soldi necessari sia per qualche pasticca settimanale, che per soddisfare una mia grande passione, la voglia di girare il mondo. Sono andato in questura, ho chiesto il rinnovo del passaporto ed iniziato i miei viaggi. Avevo fatto già alcune esperienze prima del militare. Ho girato l’Europa: Spagna, Olanda, Francia, Germania, e Grecia, e poi tanti altri paesi più lontani. Ogni posto in cui andavo era un’esperienza diversa. Ad esempio il fascino della Tanzania era proporzionato purtroppo alla sua miseria. Non avevo mai visto gente vivere per strada, le baracche in cui vivevano e la miseria erano qualcosa che andava oltre la mia immaginazione. Ritornare in carcere dopo dieci anni è stata un’esperienza traumatica, anche perché ho sperato sino all’ultimo giorno, essendo io incensurato, di poter scontare la pena in misure alternative. La mia vita è molto cambiata, mai avrei pensato di finire dove sono ora, la mia famiglia, a cui tengo tantissimo e che mi sta molto vicino, ha subito un grande shock per il mio arresto. Sono cosciente di aver fatto la più grande cazzata della mia vita, quasi non mi rendevo conto di violare la legge, tanto che "calare" e maneggiare pasticche mi sembrava la cosa più lecita e normale del mondo. Rispetto a molti miei coetanei, che hanno già formato una famiglia, hanno una moglie, dei figli, sento che rispetto a loro mi manca qualcosa, qualcosa che sia un autentico punto di riferimento, una casa mia dove tornare, dove qualcuno ti aspetta. Quando si cresce la sola casa paterna non basta più. Hai fisicamente e interiormente bisogno di qualcosa di veramente tuo: la famiglia. Anche da un punto di vista lavorativo la frequentazione con l’ecstasy ha avuto i suoi effetti: ho sempre lavorato, è vero, però certamente non ho potuto realizzare a pieno le mie potenzialità, questo arresto ad esempio ha troncato di netto quella che era la mia attività. Quando uscirò, spero presto, si ricomincia da capo, questa volta tenendomi ben lontano dal mondo della droga. Ad un ragazzo, alla luce della mia esperienza, direi di fare molta attenzione, perché non è tutto come si crede di vedere o vivere. Purtroppo troppi ragazzi, anche molto giovani, hanno scoperto questa droga. Bisogna cercare di parlare di più con loro, perché nella vita riescano a trovare altri interessi, che non siano solo il finto mondo che gira intorno alle discoteche. Quando finisce la musica e si torna a casa, si rientra nella quotidianità. Una quotidianità fatta di cose semplici ed importantissime, il mondo non finisce in discoteca. La famiglia, il lavoro, gli amici veri, sono queste le vere relazioni sociali. Con l’ecstasy si perde il contatto con la realtà.
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