1981, un ragazzo in viaggio dall’Algeria alla Francia

 

E poi in Italia per seguire una ragazza. Succede però che "i suoi genitori non mi volevano come fidanzato della loro figlia, quando hanno saputo che sono di origine araba"

 

Di Kamel Beldjabir, aprile 2000

 

Dopo una settimana di socialità tra me e Imed e parecchi discorsi e una lunga discussione sulla fortuna e la sfiga, infine Imed è stato capace di convincermi a raccontare questa storia che riguarda la mia emigrazione in Europa negli anni ‘80.

Avevo solo 17 anni, l’anno in cui ho abbandonato la scuola nel mio paese, l’Algeria. Ho fatto la mia scelta, quella di smettere di studiare così giovane, perché non ce la facevo più: ho iniziato gli studi con tutti i professori di nazionalità francese, fin dalle elementari c’era solo la lingua francese, poi dal 1975 è stata obbligatoria la lingua araba, come lingua principale nelle scuole.

Il francese è diventato la seconda lingua, anche se ormai era già entrato nella testa dei bambini più che la lingua araba. Nel frattempo, logicamente, i francesi che sono rimasti erano pochissimi: dopo l’indipendenza dell’Algeria hanno cominciato di partire, uno dopo l’altro.

Non ce la facevo più! Pensavo che non potevo fare altro che partire anch’io e, nel 1981, decisi di farlo e la mia meta era Parigi. Al mio arrivo all’aeroporto "Maréchal De Gaulle", mi sembrava di essere nel posto dov’ero nato perché la cultura francese è quella con cui sono cresciuto e la lingua francese la parlo perfettamente, mentre con l’arabo, anche se è la mia lingua ufficiale, non riesco a costruire una frase come si deve!

Anche per l’ospitalità a Parigi non ho avuto problemi, anzi ho incontrato tanti miei conoscenti che vivono lì da anni e con loro ho trovato anche un modesto lavoro da un benzinaio.

Stavo abbastanza bene, anche se avevo solo 18 anni: avevo anche il permesso in attesa del servizio militare. Per 8 anni sono tornato in Algeria in vacanza, per andare a trovare i miei, ma poi naturalmente rientravo a Parigi.

Nel 1989 ho conosciuto in una discoteca una ragazza italiana, di origine veneta, e subito sono "andato pazzo" per lei: era molto carina, è rimasta con me 43 giorni, nella casa dove abitavo, poi se n’è andata. In Italia era studentessa, altrimenti non l’avrei neanche lasciata partire dalla Francia. Ma non volevo distruggere la sua vita, già è andata storta a me per quanto riguarda gli studi.

Un giorno ho deciso di venire in Italia per vederla e, in Francia, c’è un detto che fa così: "Vien voir Venise et va mourir" (Vieni a vedere Venezia poi va a morire), infatti il detto vanta la bellezza di Venezia e questo l’avevo capito anche quando ero in Francia, però io ero venuto per la bellezza veneta che avevo conosciuto e con la quale ero stato assieme: posso dire che ero innamorato perso!

Ho ritrovato la ragazza, che abitava in una città fuori Venezia, più o meno a quaranta chilometri di distanza. La nostra storia è cominciata di nuovo come a Parigi, però con i suoi parenti il mio rapporto andava tra alti e bassi perché, finché ero in Francia, pensavano che fossi francese e anche quando parlavo con loro al telefono non si accorgevano che ero algerino, ma la verità è tutt’altra e loro non mi volevano come fidanzato della loro figlia, quando hanno saputo che sono di origine araba.

Comunque non sono così brutto, sia nell’aspetto che nel carattere! Anzi, la prima frase che mi ha fatto entrare nella mente questa ragazza quando l’ho conosciuta, era: "Il mio bel moretto, croccante come un cornetto, appena uscito dal fornetto".

In quel momento i miei sentimenti verso di lei erano molto forti, perciò dovevo seguire il mio cuore senza usare il cervello. Andavo a lavorare nei ristoranti come lavapiatti, nelle località di mare, da Venezia a Jesolo, fino a Bibione, ma solo i tre mesi dell’estate, poi gli altri mesi mi arrangiavo. Nella città dove abitavo c’erano anche dei miei connazionali e mi sono trovato in mezzo agli spacciatori senza volerlo.

Quel giro l’avevo lasciato a Barbes (Parigi) e da allora ho sempre cercato di starci lontano, però la vita non è fatta solo di fiori e di rose e sono stato costretto a rientrare alla fine, solo per sopravvivere, non per comprare i palazzi.

Ora mi trovo dietro le sbarre, dal 1995, per una pena di 5 anni; mi sono anche reso conto che la vita è molto bella e per goderla dobbiamo essere sinceri e onesti, con noi stessi per prima cosa, poi con la società. Aggiungo un’altra cosa, che i soldi dei peccati sono soldi del diavolo, prima o poi finiscono senza nessun gusto, anzi sono molto amari!

Tutto questo volevo dire: che la fortuna è cieca, ma anche la sfiga non ci vede, e poi ogni tanto ha anche il cuore e proprio per motivi di cuore spinge la persona a fare cose del genere. Senza neanche rendermene conto ora ho perso tutto e non auguro la mia storia a nessuno, neanche al peggiore nemico.