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Sono passati due anni dal mio arrivo in Italia…
Ed eccomi in stazione seduto con una bottiglia di vino, che aspetto se passa qualcuno che conosco per chiedere un aiuto
Testimonianza raccolta da Youssef Kais nel mese di dicembre 2003
"Quattro anni fa, ho deciso di abbandonare l’università e di lasciare il mio paese, la Tunisia, per raggiungere i miei amici in Europa, dopo tante discussione fra me e i miei familiari. Loro non erano assolutamente d’accordo, anche perché non c’era un motivo valido per poterli convincere della mia partenza improvvisa, ma era già da tempo che meditavo tutto questo. Così mi ritrovai ben presto in Italia, incontrai i miei amici che non vedevo da un pezzo e fu una bella e reciproca emozione indimenticabile. Per me in quel momento era il massimo che potessi sperare, anche se continuavo ad essere dispiaciuto per i miei genitori che erano rimasti contrariati dalle mie decisioni. Mi invitarono la stessa sera per festeggiare tutti assieme il mio arrivo nella casa di un amico. C’era di tutto, ma soprattutto c’erano tante bibite alcoliche che io non avevo mai assaggiato: mi offrirono un bicchiere di whisky per brindare alla mia salute e io senza esitazione presi il bicchiere e brindai con loro. E provai per la prima volta una sensazione molto strana: come se l’alcol mi avesse dato il benvenuto nel suo mondo! Quella sera non mi sono pentito per niente di aver bevuto, perché sapevo che difficilmente ci avrei riprovato, dal momento che l’alcol io l’avevo sempre rifiutato. Dopo un solo mese vissuto in quella straordinaria euforia, tipica di chi inizia un’esperienza in un paese nuovo, ho dovuto pensare a sopravvivere senza l’aiuto di nessuno. È stato così che ho cominciato a cercarmi un lavoro pensando fosse facile reperirlo, ma non lo era affatto. Il vero problema era che più passavano i mesi e più la mia situazione peggiorava. Per la prima volta mi sentivo solo: per gli amici ero diventato una persona estranea, prima ci vedevamo ogni giorno, ora per me c’era una telefonata ogni cinque mesi. E’ così che ho cominciato a capire di avere sbagliato molte cose, ho capito che certi sogni non ci appartengono e che avrei ben presto "indossato l’abito dell’ottimismo" e me ne sarei tornato di corsa a casa mia, ma purtroppo non ho fatto così, e mi sono lasciato andare invece di reagire. Sentirmi così fallito mi ha fatto diventare menefreghista, e allora ho ripreso a bere per la seconda volta in vita mia, ed ho capito che non ci sarebbe stata solo una seconda volta ma ci sarebbe stata anche la terza, la quarta e via dicendo… Sono passati due anni ed eccomi in stazione seduto con una bottiglia di vino, che aspetto se passa qualcuno che conosco per chiedere un aiuto perché non ho una lira. In due anni ho telefonato solo due volte a casa mia per la vergogna, e l’alcol non ha fatto che farmi perdere la mia personalità, l’orgoglio ma soprattutto la mia famiglia e lo studio. Non solo, l’alcol mi ha fatto diventare una persona insopportabile, un pericolo che cammina, ma sono anche diventato aggressivo e, come se non bastasse, sono stato arrestato per aggressione a mano armata, così mi sono trovato in carcere per scontare una pena di tre anni e sei mesi. Anche se il carcere è un luogo insopportabile, sono stato contento perché non so, se fossi rimasto ancora fuori, cosa avrei fatto di peggio! I primi giorni in cella da solo sono stati sufficienti a farmi prendere la decisione di farla finita per sempre, ma per fortuna mi è arrivata una lettera da mia madre che mi ha dato tanto conforto, perché la mia famiglia mi vuole ancora bene e mi testimonia che non si sono dimenticati di me. In carcere sono stato contattato da un club di alcolisti in trattamento e spero di riuscire a farcela, ma ora il mio obiettivo principale è di affrontare i problemi, attraverso lo scambio di opinioni ed esperienze, cercando di immaginare e costruire un futuro diverso, perché mi piace sognare che il cambiamento sia sempre possibile". , novembre 2003
Ultimamente mi sono reso conto che per diventare un medico in certi casi non ci vuole tanto. Basta saper dire: "Cosa c’è? Non hai niente! Semmai ti prescrivo una pastiglia antidolorifica". Ecco, se sai queste parole magiche, allora potresti anche tu diventare un medico e guarire tutte le malattie, ad esempio mal di schiena, di denti, di testa, di cuori… etc. Dopo un anno di promesse ricevute di qua e di là, non sono riuscito ancora a capire cosa devo fare per avere un paio di scarpe, di quelle che dicono non sono consentite, ma io oggi ho bisogno di quelle scarpe più che mai, perché solo con questi tipi di calzature posso camminare tranquillamente e anche appoggiarmi meglio, vista la disgrazia che mi è capitata: ho perso una gamba e ora sto usando una protesi. Il medico che mi ha fatto questa protesi mi ha consigliato di usare solo questo tipo di scarpe per sicurezza, ma anche per evitare qualche infiammazione, che potrebbe portare a conseguenze gravi. Ora mi trovo in carcere e ho chiesto al medico un certificato per permettermi di avere dal casellario le scarpe in questione, ma lui con una certa freddezza mi ha risposto: "Il tuo problema non dipende da me". A questo punto mi rivolgo a chiunque, in carcere, ha l’autorità per dire ai medici di fare il loro lavoro umanamente e di assumersi le loro responsabilità prima che sia tardi, perché il mio problema sta veramente diventando serio. Adesso sto parlando per me stesso, ma ci sono tante persone come me in attesa di risolvere questa questione, e spero, anzi sono sicuro, che qualcuno finalmente potrà capire la mia situazione e mi auguro che in futuro i medici decidano di fare il loro dovere occupandosi fino in fondo della salute dei loro pazienti: nel mio caso, a queste scarpe è appesa la mia salute.
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