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La festa della circoncisione in Tunisia
Di Imed Mejeri, novembre 2000
Le feste, da noi in Tunisia, sono tante, ma due di queste sono festeggiate alla grande, il matrimonio e la circoncisione, che non essendo praticata in Europa è poco conosciuta, mentre per noi mussulmani è fondamentale. Ricordo bene la festa per la circoncisione nella quale i protagonisti eravamo io e mio fratello: avevo sei anni, mentre lui ne aveva quattro. Mio padre aveva tirato fuori tutti i suoi risparmi, ben sapendo che per tradizione alla fine della festa vengono fatti dei regali in denaro ai bambini neo-circoncisi ma, di fatto, i soldi li prende il papà, rientrando così in possesso delle grosse spese sostenute e guadagnandoci pure qualcosa. Per la festa, è necessario prenotare un complessino musicale che, girando per la città, pubblicizzerà la festa stessa, con grida dette "berrea", alternate da tremendi rulli di tamburo: tutti devono sentire per forza, così nessuno può affermare che non sapeva della festa. Inoltre, viene acquistata una mucca enorme, che resterà parcheggiata davanti a casa per cinque giorni, per fare capire a tutti che non si è badato a spese. Vengono anche noleggiati alcuni furgoncini che si occuperanno di andare a prelevare, a domicilio, parenti ed amici di famiglia che abitano lontano. Nel frattempo, mi ricordo che la nostra casa aveva subito un cambiamento radicale: tutti i mobili erano stati spostati per guadagnare spazio. Le donne della famiglia organizzavano la cucina e prendevano nota di ciò che mancava. Insomma, con tutto ciò che accadeva, la nostra casa per una settimana sembrò un campo di battaglia, in pratica un ristorante a ciclo continuo, che non chiudeva mai. Io e mio fratello, in quei giorni, eravamo coccolati da tutti e la cosa ci sembrava molto strana, però ci piaceva; mio fratello poi, essendo più piccolo di me, era diventato la mascotte della festa. Venivamo viziati, circondati dalle donne della famiglia e dalle loro amiche, e preparati per la festa. Questa preparazione consiste ancora oggi nel tingere i capelli di colore nero scuro e nell’imprimere dei disegni sulle mani e sui piedi, con la tintura dell’henné: sono colori prodotti in casa, utilizzando delle erbe. Questo viene fatto per tre giorni di fila, tutte le mattine. Il terzo giorno, ci fecero vestire come cavalieri, fatti salire su un cavallo tutto decorato di finimenti, e coperto da una grandissima bandiera tunisina. Mio fratello era davanti ed io dietro di lui, eravamo attorniati da ragazzini, dai parenti, dagli amici e da moltissimi curiosi. In testa al corteo, suonatori di pifferi e tamburi si sbizzarrivano coinvolgendo i passanti nella festa. In questo modo, abbiamo fatto il giro di tutto il quartiere, con le persone che si affollavano dietro di noi, attirate dalla musica, dal cavallo, tutto addobbato ed addestrato per camminare a passo di musica, dai nostri costumi e dalla mucca sempre parcheggiata di fronte a casa, che garantiva una grossa abbuffata. Il quarto giorno, è stata organizzata una piccola festa con un gruppo musicale di religiosi, una cena a base di pesci e tanti dolci fatti in casa nella maniera tradizionale, con bevande analcoliche e alla fine un bicchierino di tè verde con dei pezzi di mandorle e una foglia di menta, per mandare via gli spiriti maligni. Il quinto giorno, c’è stata una festa bellissima. Mio fratello, il più grande, aveva invitato dei suoi amici che suonavano musica folcloristica: erano cinque, uno suonava la cornamusa, da noi chiamata "musuid", due battevano su dei piccoli tamburi "darbouca", uno suonava su uno strumento simile al bongo "bindir", l’ultimo era il cantante. Nella sorpresa generale, sono state presentate le celebri ballerine Zina e Aziza: erano due sorelle, famose per la danza del ventre, eseguita in maniera molto seducente. È inutile sottolineare che gli applausi, per loro, sono stati molto prolungati. Avere queste due artiste in casa, a ballare per noi, era un grandissimo onore. Io, personalmente, le avevo viste soltanto in TV. Le due ballerine, prima di iniziare il loro numero, erano completamente coperte da un velo di seta multicolore, non si vedeva né il viso né il corpo, fatta eccezione soltanto per le caviglie, intorno alle quali erano legati dei monili d’argento. Ad un tratto iniziò un suono sempre più crescente dei tamburi, caddero i veli, e apparvero con il loro splendido corpo coperto da un reggiseno ricamato con delle piccole perle colorate e, intorno al collo, una collana d’oro, la gonna a strisce, lunga e trasparente, che lasciava vedere perfino le minuscole mutandine: siamo rimasti tutti senza fiato, con le bocche aperte e gli occhi spalancati. Erano bellissime. Chi ha avuto modo di conoscerle sa che le donne arabe hanno un fascino particolare, un misto di pudore e mistero.
Una festa che coinvolge un intero paese, tutti i vicini… ma anche i "lontani" Nei festeggiamenti erano stati coinvolti tutti i partecipanti, perfino i bambini, la voce si era sparsa in tutto il quartiere, arrivavano i vicini… e i lontani… la casa ormai era sovraffollata, i miei zii mantenevano l’ordine, io non capivo più niente, di quello che stava succedendo in casa. La gente entrava, incuriosita, per vedere le ballerine. Fu una grandissima festa, che è rimasta sulla bocca di tutto il quartiere per molto tempo. Il penultimo giorno, era venerdì, fu una giornata faticosa per i miei genitori e zie. Come ben sapete, è una giornata sacra per tutti i mussulmani, tutta la famiglia era già sveglia dall’alba: per la mucca non c’era più scampo, l’avrebbero sgozzata e macellata, secondo il rito mussulmano. Ero triste per l’uccisione della mucca perché, vedendola per cinque giorni davanti a casa, ci avevo giocato insieme e c’ero oramai affezionato. Erano le sette del mattino, quando vidi mio padre e due miei zii, vestiti in maniera un po’ strana. Avevano indossato degli stivali invernali in piena estate, una canottiera bianca e una specie di pantaloni larghi, di colore blu. Uno dei miei zii aveva una corda in mano, mio padre portava due coltelli, uno enorme, uno piccolo, e una lima. Si avvicinarono piano piano a quella povera mucca e, con una grande rapidità, la misero giù in terra, legandole tre gambe, incrociate fra di loro in modo che non si poteva più muovere. Con un secchio d’acqua lavarono le zone intime e il muso della mucca, dopo una breve preghiera mio padre afferrò con la mano destra il coltello grande e con un colpo secco la sgozzò; uscì un fiume di sangue e mio padre chiamò sia me che mio fratello, ci intinse la mano destra nel sangue, per poi lasciare l’impronta sul muro di casa. Questo è uno dei tanti modi dettati dalle tradizioni per scacciare il malocchio. Dopo che finirono di dissanguare la mucca, essa fu issata con carrucole, per le zampe posteriori, a testa in giù. La tagliarono in mille modi, secondo i tipi dei piatti che si volevano realizzare. Due terzi della mucca la donammo, come prevedeva la nostra religione. La portammo in Moschea e lì fu donata ai poveri. Quel giorno era riservato esclusivamente a mangiare, cucinarono tutti i tipi di piatti tradizionali, e qualsiasi persona che entrava in casa doveva assaggiare ciò che era stato preparato, anche se non aveva fame, ma a non aver fame ce n’erano pochi, mangiavano tutti volentieri. L’ultimo giorno della festa, mi accorsi che qualcosa non quadrava, tutti mi guardavano con una faccia strana, mi coccolavano più del solito con un sorriso un po’ particolare… La mattina siamo andati a visitare il santo, che nel mio quartiere era il più amato (Sidy Mahres), anche questo fa parte della tradizione, rendere omaggio in un giorno di festa ad un uomo giusto. Fatto il giro del centro, nella mattinata avanzata abbiamo fatto ritorno a casa. Sia io che mio fratello siamo stati accolti come due Re. Davanti a casa, c’era una marea di persone, parenti, vicini e lontani; ho pensato subito che fossero tornate le ballerine, ma non le vedevo. Erano lì per noi! Lo sguardo strano, che avevo notato la mattina, da parte di un po’ tutti, continuava, e questo mi lasciava perplesso. Davanti a casa nostra c’era un gruppo musicale, l’impressione che avevo era che suonassero molto in fretta: gli era stata pagata un’ora di esecuzione (in Tunisia, puoi noleggiare e chiedere la musica anche solo per un’ora e, probabilmente, loro avevano un repertorio molto ampio e lo volevano eseguire per intero).
Alla fine, ero inzuppato come un biscotto con la tintura di iodio e farcito al borotalco Appena siamo entrati in casa, mia madre e le mie zie ci fecero spogliare velocemente, totalmente nudi, ci infilarono un "jeba", una sorta di vestaglia che arriva sino alle caviglie, di colore bianco, un paio di ciabatte di pelle a punta, ci fecero salire sul letto matrimoniale, io in piedi, e mio fratello sdraiato dietro di me con la faccia voltata nell’altra direzione di modo che non potesse vedere cosa mi facevano. Ad un tratto entrò un uomo gigantesco, iniziò a fare battutine per farci sorridere, ma noi iniziavamo ad avere veramente paura, guardandolo meglio riconobbi quell’uomo gigantesco, era il barbiere del quartiere, odiato da tutti i bambini: ora iniziavo a capire il perché. Mi tirò su la vestaglia e con un sorriso fasullo e spaventoso, m’imbrogliò dicendomi: "Guarda su, la colomba!" ed io, come un fesso, alzai la testa. Sentii come un pizzicotto allo "zibi", con la vestaglia alzata non potevo vedere niente di cosa accadesse lì sotto, ma quando mi tamponò la ferita, vidi quello che credevo fosse sangue, in realtà ero inzuppato come un biscotto con la tintura di iodio e farcito al borotalco, in maniera esagerata. Mio fratello più piccolo, capito che eravamo in guai seri, tentò la fuga, ma fu subito afferrato, quindi iniziò a frignare, con uno dei pianti più sconvolgenti che ricordo. Io lo imitai immediatamente. Poi fu il turno di mio fratello che, pur senza cadere nella trappola della colomba che vola, fu colpito ugualmente. Finito di medicarci, ci rassettarono, facendoci stendere sul letto, uno ai piedi dell’altro. Ancora piangevamo, facendo la gara a chi urlava di più. Uscito l’odiatissimo barbiere, cominciarono ad entrare parenti ed amici, che lanciavano sul letto dei soldi, fortunatamente solo banconote: erano veramente tanti, io e mio fratello pensavamo già di poterci comprare tutti i giocattoli del mondo e, per un po’, non piangemmo più. Al nostro risveglio, la mattina, trovammo cinque dinari vicino al cuscino, l’equivalente di settemila lire italiane. Quella montagna di soldi altro non era che il capitale di mio padre investito nella festa, per comprare la mucca, per le ballerine, per i musicisti, per l’affitto dei furgoni, e per tutte le altre spese sostenute, che rientrava sotto forma di offerte. Al risveglio sembrava un giorno come tutti gli altri, come se non fosse successo niente. Gli unici che avevamo ancora dei "brucianti motivi" per ricordare, eravamo io e mio fratello, che ci aggiravamo per la casa come due cammelli feriti.
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