Albanesi tutti criminali?

 

Di Arjan Goga, aprile 1999

 

Tutta colpa degli immigrati? Forse c’è un po’ di confusione, negli ultimi tempi, riguardo all’emergenza criminalità in Italia. lo sono albanese, ho convissuto fino a pochi anni fa con una donna italiana meridionale, e ricordo che la gente meridionale al nord veniva considerata emigrante, e per lo più insultata con termini squallidi del tipo "terrone di merda, marocchino della malora". Ma di recente ho notato una certa preoccupazione degli stessi meridionali, che ironicamente dicono: "E’ molto tempo che non ci sentiamo chiamare terroni. Sta a vedere che ora siamo diventati italiani?".

Il fatto è che oggi siamo noi, gli extracomunitari, ad essere accusati di ogni male del paese: si scopre improvvisamente che Milano è anche una città violenta, e come unica soluzione si va "a caccia" di clandestini per ripulire le periferie, e poi si viene a sapere, per esempio, da un articolo de "II Corriere della Sera" riguardante lo sgombero degli stabilimenti Magneti Marelli, che su 93 stranieri sgomberati, solo 10 erano sprovvisti di permesso di soggiorno, gli altri 83 vivevano sicuramente in precarie condizioni e, ciononostante, tutte le mattine si recavano puntualmente al lavoro.

Certo ci sono extracomunitari che non trovano lavoro e si imbattono in compagnie sbagliate, trovandosi ben presto a spacciare droga, o a commettere altri reati. Ma non sono "tutti gli extracomunitari" a farlo, così come non tutti gli albanesi emigrati sfruttano la prostituzione, come hanno fatto credere televisioni e giornali in questi giorni. Ci si dimentica, tra l’altro, che in qualsiasi paese in crisi economica la prostituzione è il primo fenomeno a svilupparsi, e ci si dimentica anche che sui marciapiedi non ci sono solo ragazze albanesi, ma nigeriane, russe, jugoslave, italiane.

lo mi domando perché in Italia la questione albanese è così identificata con quella criminale, e molte domande le rivolgo agli italiani: come mai, per esempio, in Grecia ci sono circa trecentomila albanesi, e non ci sono i problemi che scuotono l’Italia? Come mai in Grecia gli albanesi sono un’opportunità mentre in Italia rappresentano un problema? E da dove nascono tutti questi pregiudizi?

Un giornalista del TG 5, sempre a proposito di pregiudizi, qualche giorno fa ha asserito che "nelle carceri italiane gli albanesi non si sottopongono ai programmi di reinserimento sociale". Io, per l’appunto albanese e detenuto, lavoro a questa redazione da un bel po’ di tempo, e tanti altri detenuti come me seguono corsi di informatica, frequentano la scuola, fanno lavori di qualsiasi genere: dunque posso tranquillamente smentire certe affermazioni e dimostrare quanto è stupido generalizzare i comportamenti di singole persone.

La gente fa presto a giudicare e condannare, perché non pensa che a volte per fare un pasto decente un immigrato deve attendere giorni e giorni: questa è l’immigrazione, e non solo quella albanese, ed è quella stessa che gli italiani hanno conosciuto da vicino in passato, perché il loro paese, come il mio, non riusciva a dare da vivere a tutti.

 

Albania: le risorse di una terra di cui si parla poco e male

Dall’Albania sono venuto via da un pezzo, ma mia sorella, Diana Zenuni, giornalista del "Fier Times", quotidiano della città di Fier, mi aggiorna spesso con notizie della mia terra: "Ultimamente i cittadini albanesi hanno molta voglia di ripresa economica: e questa ripresa non dovrebbero aver difficoltà a farla partire, se si guarda ai loro valori culturali ed umani. Questa terra possiede poi molte risorse minerarie: l’Albania e infatti il terzo Paese del mondo produttore di cromo, oltre ad essere ricca di petrolio, di rame e di carbone. Detto questo, c’è da chiedersi: perché nessuno cerca di mettere a frutto tutte queste ricchezze naturali?

La risposta è scontata, se si considera che solo con i soldi si producono altri soldi ed occupazione. L’Italia in tutto questo avrà un ruolo? Si parla molto e spesso dell’Albania e delle sue pene, e non si cerca di sfruttare le ricchezze che possiede: visto anche il basso costo della mano d’opera non dovrebbe essere un’impresa tanto ardua, anche per piccoli imprenditori.

Consideriamo pure la stessa qualità del terreno e del clima che facilita le coltivazioni, oltre agli allevamenti di bestiame già esistenti, ma che potrebbero essere ampliati: in effetti una minima parte di piccoli allevatori europei l’ha capito e sono infatti sorti anche allevamenti all’avanguardia. Però tanti altri imprenditori sono scoraggiati dalle immagini che TV e giornali rimandano dell’Albania".

Mia sorella mi ha mandato anche l’intervista che ha fatto ad un’imprenditrice italiana, alla guida di un potente gruppo industriale, e anche lei interessata a trasmettere l’immagine di una terra ormai pacificata ed avviata sulla strada del libero mercato europeo: "Il 50% dell’economia emergente e in mano agli italiani, e lo si capisce appena si giunge a Tirana.

Lungo la strada che dall’aeroporto conduce al centro si incontrano continuamente fabbriche, negozi e ristoranti con insegne italiane!

Questo è anche un paese in cui anni fa si estraevano un milione e 300 mila tonnellate di petrolio all’anno e dopo la caduta del totalitarismo si è passati a sole 300/400 mila tonnellate. Le strutture e la tecnologia sono troppo vecchie, gli impianti sono stati costruiti dai russi nei lontani anni ‘50 e per modernizzarli si sono stretti accordi con alcuni investitori stranieri. Nello stesso tempo altre società straniere, fra cui l’A.G.I.P, stanno verificando se esistono giacimenti ancora inesplorati. E questa e solo una parte delle tante risorse che questa terra offre! Crediamo dunque opportuno che radio, TV e giornali europei si occupino di questo, anziché citare solo e sempre fatti di cronaca nera".

E invece succede che dell’Albania si parli proprio soltanto per la cronaca nera e degli albanesi in Italia solo come criminali. Mi soffermo su questo argomento che mi tocca in modo particolare, perché io ora sono detenuto, ma in passato ho vissuto in prima persona le sofferenze e le difficoltà del mio paese, da cui ho dovuto andarmene. Nel 1990, fui chiamato alle armi come soldato scelto.

Nel 1991, come è noto era in corso in Albania una rappresaglia fra il regime comunista e l’opposizione di Sali Berisha.

noi naturalmente dovevamo eseguire gli ordini dell’allora primo ministro Ramiz Alia.

Ricordo e vivo tuttora molto drammaticamente quei primi giorni del marzo ‘91 nella piazza "Skenderbeg" (Tirana): quando ci fu ordinato di aprire il fuoco sulla nostra gente, tra cui donne e bambini, non ebbi nessuna esitazione a buttare via le armi, e così fecero tanti altri.

Riuscimmo poi ad imbarcarci su un mercantile diretto a Brindisi.

Giunto in Italia in precarie condizioni economiche incappai in compagnie non tanto adatte alla mia persona, e così ora sono qui Sono tanti casi di gente che non avendo opportunità lavorative in Albania finisce per trovarsi in situazioni simili alla mia. Ho raccolto la testimonianza di un ragazzo di nome Hoxha Shpend, del nord Albania, visto che lui è giunto da poco tempo in Italia.

Essendo un onesto lavoratore, gli ho domandato come è la situazione imprenditoriale dalle sue parti, e perché si trovi anch’egli detenuto. Racconta così Shpend: "Lavoravo in una società mista nel campo dell’edilizia, nella quale il mio compito era di fare il gessista. Ma la situazione dell’economia è ancora troppo precaria, e così un giorno mi sono visto licenziare di colpo. Non avendo trovato altre opportunità lavorative in Albania, anch’io mi sono avventurato su di uno scafo verso l’Italia, dicendo addio ai miei pochi soldi risparmiati in anni di duro lavoro.

Naturalmente giunto in Italia ho cercato altri connazionali per poter trovare un lavoro e continuare ad aiutare la mia famiglia, che versa in precarie condizioni economiche. Purtroppo sono incappato anch’io nella triste realtà carceraria".

Ora le cose sono un po’ diverse da quando me ne sono andato io, e mi piacerebbe che le radio, le TV e i giornali parlassero di più, appunto, delle risorse di questa terra, come le coste con le loro acque limpide, dove si potrebbero costruire residence e villaggi turistici.

Così si riuscirebbe ad attirare imprenditori italiani e di altri paesi occidentali, dando opportunità di lavoro a tanta gente e scoraggiando l’avventurarsi sugli scafi della speranza verso l’Italia, che in molti casi si trasforma in un viaggio della morte, per lo più pagata a caro prezzo. E invece, con questa nuova guerra che ha travolto anche il mio paese, le prospettive di sviluppo rischiano di morire prima ancora di cominciare a vivere.