Albania: quando il sogno diventa un incubo

 

Di Arjan Goga, ottobre 1998

 

Era la primavera del ‘91 quando immagini drammatiche dell’ Albania giunsero attraverso la TV in tutto il mondo: si sparava nelle piazze principali delle città, ormai senza più regole ne ordine pubblico, si sparavano tra di loro, i miei paesani, e nessuno capiva più cosa stesse succedendo. Una voce sola ricorreva nelle strade: fuggiamo, presto, via via!

Le migliori occasioni le fornivano le navi che provenivano da Durazzo, già cariche di clandestini con un sogno chiamato Italia o Grecia, dove regnava la pace, in attesa che le acque si calmassero, ma così non è stato.

Non potrò dimenticare gli occhi delle donne, con i loro bimbi in braccio, e la luce negli sguardi di noi ragazzi, già uomini, che per soffrire meno seguivamo ogni onda, consapevoli che la nostra terra si perdeva dietro di noi, ma anche eccitati dalla prospettiva di qualcosa che sapeva già di nuovo, di bello, decantato da tutti, dimenticando le rivolte e le vendette, stanchi del governo comunista che fucilava militari disobbedienti agli ordini, e ne costringeva molti alla diserzione.

 

Ero uno di quelli con un sogno chiamato Italia

 

Bellissimo Paese: questo mi sono detto quando ho cominciato a girare, a sognare ad occhi aperti; mi sono stabilito definitivamente a Bolzano, dove ho trovato lavoro e mi sono sistemato. Le cose andavano meglio, ero contento e stavo bene con tutti, ma era destino che qualcosa non funzionasse.

Dopo sei mesi la ditta in cui lavoravo ha chiuso per fallimento ed è diventato subito un calvario, un susseguirsi di azioni legate a stranezze ed incredibili sfortune, anche perché la fortuna mi aveva abbandonato del tutto. Non riuscivo più a trovare lavoro e sembrava che anche l’aspettativa di fare l’autista (purtroppo per lavorare falsificai la patente) non desse pace alla mia anima. Mi sequestrarono la patente.

Molto probabilmente questo periodo segnò la mia vita: cominciai con le conoscenze sbagliate ed i primi furti di macchine, poi vennero i primi guai con la giustizia per la falsificazione della patente. Oramai la cosa non mi interessava più di tanto, visto che guadagnavo bene e rischiavo poco ed ero preso in considerazione.

Ho cominciato con le rapine quasi per gioco, poi è diventato un "lavoro", con le mie tasche che si gonfiavano di giorno in giorno. Frequentai assiduamente night-club e casinò, cominciai con vizi delle donne e del gioco, era questa la vita che facevo e mi piaceva.

 

Il mio paese era lacerato ancora da guerre intestine

 

Quando nell’agosto del ‘94 i Carabinieri mi arrestano perché ricercato da sei mesi da un ordine di cattura per una rapina, che non era mia, mi cadde addosso il mondo. Perché, mi chiesi? Ero tranquillo, sapevo che quella rapina non l’avevo fatta io, eppure ero in carcere e ci rimasi venti mesi; mi domandavo chi fosse stato, come fosse potuto accadere e soprattutto perché, non vedevo l’ora di uscire. All’uscita dal carcere, nell’aprile del ‘96, volevo solo una cosa: "tornare a casa mia". Deluso dalla vita e da me stesso, promettendomi: "mai più cose del genere, basta con tutti e con tutto, pazienza, è andata male". Ma il colpo più duro, quello definitivo, mi venne dalla Tv e dai giornali: il mio paese era lacerato ancora da guerre intestine, da "crack" finanziari, abusi di potere di ogni tipo e truffe ai danni della povera gente. Cosa potevo fare?

Molti altri miei connazionali si erano sistemati bene, avevano avuto più fortuna di me; ora cosa faccio, mi chiesi, deluso e amareggiato più che mai. E’ stato l’inizio della mia discesa che tuttora mi logora l’animo ed il cuore, sofferta e dolorosa, conseguenza dei miei errori e delle mie sfortune.

Ma mi è stata data veramente la possibilità di fare bene, di realizzarmi in un altro Paese, visto che il mio quasi non esisteva più? Non ne sono sicuro, anche se questa non vuoi essere una scusante per me. Penso però che questa società, dal volto a volte doppio ed ingannevole, sia spesso la causa delle orribili vicende che troviamo quotidianamente sui giornali in prima pagina: la gente si sente tradita nei propri ideali, perde fiducia in se stessa e molti fuggono dalla loro terra lasciando tutto e trovando alle volte la dura realtà carceraria.

Quello che in ogni caso non dimentico sono quegli sguardi, di quella nave e di altre, sguardi che vorrei penetrassero nel muro di ostilità di chi crede che in quelle navi siano raggruppate vite tutte uguali, di sfruttatori o rapinatori, che sono in realtà una assoluta minoranza.

Forse per molti non rappresenterò mai nulla, ma dentro di me resterò sempre "uno di loro".