“La speranza è l’unico mio sostegno”

Incontro con la moglie di un detenuto all’uscita del colloquio

 

di Franca R., maggio 2006

 testo tratto da La Rondine

Periodico della Casa di reclusione di Fossano

 

“L’emozione che più mi prende quando mi avvicino al colloquio è l’ansia, un’ansia che ti attanaglia

lo stomaco specialmente le prime volte dopo l’arresto quando il distacco è ancora molto vivo. E comunque non diventa mai un’abitudine, tutte le volte l’emozione è molto forte. Anche per i figli sono momenti molto brutti: ‘Uffah! di nuovo qui, non volevo più venire e giù il pianto’”.

È la moglie di un detenuto che parla all’uscita da un colloquio e che gentilmente accetta di rispondere ad alcune domande. Sui controlli a cui sono sottoposti tutti i familiari in ingresso afferma che qui le cose vanno molto meglio che alle Vallette, “dove ti tolgono anche calze e scarpe. Se anche è una donna a perquisirti è comunque umiliante e ti rendi conto di entrare in un ambiente molto brutto. A Torino, per un’ora di colloquio, dovevo entrare alle 9 per poi uscire alle 15 ed ero obbligata ad aspettare in una stanza che è come una cella, chiusi a chiave e in estate soffocante. Mio figlio una volta si era sentito male e voleva farsi aprire ma non c’è stato modo di uscire.Qui è diverso, si passa subito; le agenti sono gentili, c’è più rispetto e fiducia perché l’ambiente più piccolo permette di conoscere meglio le persone e i loro famigliari”.

Continua la signora: “Dopo il controllo vengo scortata nella saletta dei colloqui. Qui lo spazio è poco e c’è sempre un gran rumore di voci. Il discorso è soprattutto sui figli, quello che è successo durante la settimana a noi e a lui. Sono momenti difficili perché spesso vedi persone piangere, bambini irrequieti. Per me sono molto dolorosi i primi colloqui che ho con mio marito quando torna in carcere: se ascoltassi la rabbia non verrei più a trovarlo ma poi lo vedo tanto sofferente e abbattuto, mi fa una gran pena. Poi le cose migliorano con il tempo e te ne accorgi quando si presenta ben curato, con il termos e i pasticcini”.

Il ritorno com’è? “Sempre molto brutto. Continuo a star molto male anche alla domenica quando penso in continuazione al colloquio. Poi al lunedì vado al lavoro, il solito tran tran della vita di tutti i giorni ti prende e questo mi aiuta a sollevarmi un po’. A volte, quando la lontananza è lunga si ha la sensazione di non averlo mai visto girare per la casa”.

Prima accennava alla reazione dei figli, in che rapporti sono con il padre? “Il loro papà comunque rimane sempre un idolo e guai a chiamarlo delinquente; se ne risentono subito e lo difendono. Certo la mancanza si fa sentire, non passa giorno che non si parli di lui, di quello che faceva quando era in casa, tanti ricordi da condividere e questo mantiene vivo il rapporto. Quando torna a casa l’atmosfera cambia totalmente; c’è grande rilassamento, serenità, allegria non solo per la gioia di averlo di nuovo in casa ma anche per una maggiore sicurezza che ci deriva dalla sua presenza nel prendere decisioni. Per mio marito è sempre un po’ un trauma il ritorno in famiglia per chi in carcere si abitua a non gestire e a non decidere nulla, mentre in casa si devono affrontare le difficoltà dell’educazione dei figli e della gestione della casa a cui non è abituato. Arriva così a capire quale carico di responsabilità ho quando lui è dentro”.

Quindi averlo a casa è un grande sollievo per tutti. Penso che una moglie non può sostituire il padre e la sofferenza che i figli provano per la sua lontananza ha su di loro delle ripercussioni psicologiche difficili da valutare. Per esempio uno dei figli ha avuto problemi con la scuola, non ci voleva più andare e così ha perso un anno. Infatti si dice che i familiari fanno il carcere due volte… “Sicuramente la nostra è una vita piena di sacrifici per il lavoro con cui devi provvedere alla gestione della casa, per le maggiori responsabilità richieste a me nell’educare i figli e richieste anche ai figli che devono ben presto abituarsi ad essere più autonomi e autosufficienti”.

Che cosa ha mantenuto vivo il suo rapporto con lui? “L’amore che continuo a provare per lui perché è una persona splendida, che si fa voler bene anche quando succedono le cose peggiori. L’arresto è sicuramente il momento più brutto, è come se il tempo si fermasse; il mondo ti crolla addosso ed esiste solo più il vuoto, il niente. Io non me la sono mai sentita di lasciarlo, di abbandonarlo proprio quando lui passava i momenti più delicati. La mia presenza è un sostegno fondamentale per lui. Ma non c’è da augurare a nessuno quello che ho vissuto, i vuoti non si colmano più”.

Che cosa la fa andare avanti? “La speranza. Mi ha sempre dato la speranza che la carcerazione che stava vivendo fosse l’ultima. La speranza è l’unico mio sostegno”.