Le difficoltà di essere la compagna di un detenuto

 

Gli racconto i sogni... le speranze... le paure… “Faccio di tutto per fargli sentire che non è solo”. Non è facile essere la compagna di un detenuto, ma l’amore supera anche queste barriere

 

di Elena, febbraio 2004

 

Un foglio bianco, davanti a me, è sempre quello che mi trovo davanti tutti i giorni, per mettere per iscritto sensazioni, per raccontare giornate, per “parlare” con il mio compagno, per coccolarsi, per scambiarci carezze. Sì, perché il mio compagno purtroppo è uno dei tanti esseri umani che sono detenuti nelle carceri italiane… Non è facile essere la compagna di un detenuto, ma l’amore supera anche queste barriere. Solo che le coccole e le carezze sì, si leggono ma non si sentono sulla pelle, mancano, e questa mancanza la si sente reciprocamente, e crea un piccolo vuoto dentro, una specie di tarlo che rode, che fa male. Ci si sente impotenti l’uno verso l’altro specialmente se si sa che il proprio compagno e/o compagna sta male… e non si può fare nulla per curarlo, per accudirlo, per essergli vicino, per confortarlo. Quello che mi fa anche soffrire è dovuto ai chilometri di distanza tra  dove vivo e il carcere in cui è rinchiuso il mio compagno, e questo non mi permette, a causa anche della mia pessima salute, di andare ai colloqui, quindi si sta per tutto il periodo della pena senza vedersi mai… in attesa di quella oasi, come la chiamo io, della telefonata di dieci minuti, la possibilità di parlarci direttamente… dieci minuti che volano, sembrano secondi, e non si riesce mai a dirsi tutto, specialmente se ci sono comunicazioni importanti da farsi, nel più bello che ci si potrebbe fare qualche coccola arriva la voce dell’agente che dice: “saluta” o “stacca” o “…è finita la telefonata”. Lo so, l’agente sta facendo il suo lavoro, ma quanto “odio” quelle parole… Si arriva a prendere un telefono che conta gli effettivi minuti di telefonata per vedere se le telefonate sono proprio di dieci minuti o se sono di meno… E quando il display segna di più ci sembra che ci sia stato regalato il mondo su un piatto d’argento… Si arriva ad acquistare una segreteria solo per registrare la voce del proprio amato, per riascoltare infinitamente quelle telefonate, per sentire il suono della sua voce, voce che starei ad ascoltare per giornate intere senza mai stancarmi… La mia voce manca tanto anche a lui, mi dice sempre che la mia voce lo rilassa… che gli piacerebbe sentirmi cantare… ‘sì io che sono stonata come una campana’, ma non importa, registratore a portata di mano, e ci si improvvisa cantanti tenendo la radio di sottofondo e cantando seguendo le canzoni. Parlo al registratore come se fosse il mio compagno, lì presente davanti a me, chissà quante persone mi avranno presa per pazza quando mi vedevano parlare da sola, tutto questo per far arrivare a lui la mia voce, per fargli sentire che sono sempre lì con lui… Registro mentre canto, mentre faccio le pulizie in casa, mentre leggo e mentre registro cerco di immedesimarmi in lui, e provo a pensare cosa mi farebbe piacere ricevere, per sentire meno o sopportare la mancata libertà… sopportare la routine di quelle 4 mura… per non cadere in depressione… e quando la mia salute lo permette, cerco di fargli avere queste mie dimostrazioni d’affetto… per fargli sentire che non è solo, che non è dimenticato, che è ancora un essere umano con la sua dignità… Gli racconto i sogni, le speranze, le paure… Nonostante le tante attenzioni che abbiamo l’uno verso l’altro, nascono spesso incomprensioni dovute alla distanza, alle lettere che vanno perse, o che tornano al mittente a causa degli spostamenti da un carcere all’altro; sì, i trasferimenti sono atroci da superare… vengono prelevati all’improvviso e i documenti che li riguardano li raggiungono a date da destinarsi, quindi le telefonate saltano, e a casa ci si rode il fegato pensando a cosa mai sia successo, il cervello entra in funzione negativamente, si inizia a pensare “cosa gli sarà capitato?”, “che stia male?”… Il cervello dà fondo a tutta la conoscenza che si è riusciti ad avere con il passare degli anni, e si cerca tra la memoria le cause del perché la telefonata non è stata fatta… E mentre io penso questo so che lui sta peggio di me, perché sa del mio star male, e perché gli hanno tolto “una boccata d’ossigeno” (come la chiama lui la telefonata), perché non l’hanno lasciato chiamare. E dura infatti trovarsi davanti persone che, o perché non ci sono fondi sul suo conto, o per provvedimenti disciplinari, non gliela lasciano fare, quella telefonata... Tutto ciò che la detenzione comporta non viene vissuto solo dal detenuto, ma anche dai famigliari, in particolar modo dalla compagna (o dal compagno). È vero, se sono in crisi depressiva  io almeno posso andare in un centro commerciale e svagarmi un po’, ma la mente e il cuore sono costantemente da lui, ogni cosa che vedo, ogni cosa che acquisto, il mio pensiero corre a lui… Lui è la mia priorità… Per me non trovo più piacere a far nulla, tutto ruota intorno a lui… È lui ora il più debole (debole nel senso che si trova in una situazione di svantaggio rispetto a me), ci si deve fare forza… non c’è tempo per abbattersi… si deve trovare la forza per essere su, e non far sentire che ci si sente abbattute, anche se oramai lui lo percepisce dalla mia voce, e dal tono (il modo in cui esprimo i pensieri) delle lettere. In queste occasioni mi manca il fatto di averlo vicino, mi mancano gli abbracci, i baci, le carezze… Forse mi chiederete se non mi manca il fare l’amore…  Beh, non l’ho, e non l’abbiamo mai fatto perché ci siamo conosciuti che lui era già in carcere… Inoltre, io e lui di persona non ci siamo mai visti… io ho solo una sua foto, lui di mie ne ha un po’ di più… Quindi mi manca anche il fatto di sapere com’è fisicamente, per fortuna siamo arrivati a conoscerci così profondamente la nostra reciproca persona interiore, che il nostro aspetto fisico sta passando in secondo piano… Molti dei suoi pensieri lamentano l’odore, che si sente ed esiste tra quelle mura… gli animali indesiderati con i quali deve convivere (scarafaggi,  pidocchi) e il dolore che provocano… Fuori ci si sente impotenti… Questo senso di impotenza mi fiacca… Tanta è la voglia di piangere, ma oramai non ho più lacrime, vorrei essere io tra quelle mura al posto suo, darei la mia vita per lui… Non è facile raccontare o scrivere quello che si prova, dovuto alla mancanza della reciproca vicinanza della persona amata… e non è facile per chi ce l’ha accanto comprendere queste situazioni di vita… Io parlando personalmente dico che sono maturata tantissimo, anche lui mi scrive d’essere maturato, ma il contatto fisico, il semplice sorriso, guardarsi negli occhi dove ci si capisce senza proferire una parola, sentire la voce ogni giorno, potersi telefonare quando si ha voglia, condividere un pasto assieme, cucinare per lui, cucinare assieme, vedere un fiore sbocciare,  vedere la neve scendere, o un bel tramonto colorato, essere spaventate da un tuono e cercare la protezione tra le sue braccia, queste cose mancano… perché lui non è lì accanto a me per condividerle… Sì… la sua presenza manca in tutta la quotidianità, e non solo nelle grandi od eclatanti cose, ma nelle piccole cose, negli attimi… Sì, io invidio quelle compagne che possono recarsi al colloquio, perché possono gustare un attimo… seppur breve e forse in una stanza affollata da altre compagne e vicini di cella del loro compagno… ma è sempre un po’ di tempo a contatto con il proprio amato… Spesso mi sento colpevole d’esser malata, e non poter fare tante cose che una donna “sana” potrebbe fare per lui, per fargli sentire di più la mia vicinanza… Ma le malattie capitano, mica si cercano… Ricordo le prime lettere dove gli raccontavo di come la mia malattia mi permette di vivere… e so che la vita che lo aspetta una volta fuori dal carcere non è delle migliori, in quanto spesso questa malattia mi costringe a una specie di arresti domiciliari, e infatti è da novembre che io non metto piede fuori casa… Ma il solo pensiero di averlo accanto, per me è il mondo… E questo è quello che lui mi ripete in continuazione… il potermi vedere, sentire, baciare, abbracciare lo appaga più che tutto il resto… Avrei tanto  da dire, da raccontare di cose successe positive e negative, ma mi sto infilando a piangere… Il pensare e ripensare a questa mancanza d’affettività con il mio compagno sono pugnalate vive al cuore… Ma una frase di Stefania Chiusoli* mi incoraggia sempre:  Sì, abbiamo “quasi tutto ancora da vivere”…

 

*Stefania Chiusoli, compagna di un detenuto, che ha seguito per anni da carcere a carcere, è autrice del libro “Quasi tutto ancora da vivere”