Non ho mai voluto fare quello che ho fatto. Darei la mia vita in cambio… ma non posso tornare indietro!

 

Un ragazzo detenuto per un grave reato, il suo dolore, la paura, poi improvvisa la morte: ce ne parla Daniela, la sorella, che rivendica anche per chi ha commesso reati di sangue il diritto di parlare in pubblico, e di portare la sua testimonianza

 

Tempo fa abbiamo pubblicato le riflessioni di un lettore, che aveva letto alcune testimonianze di detenuti, colpevoli di reati di sangue, e da una parte affermava di essere rimasto colpito dalle loro parole, dall’altra si domandava se fosse giusto dar loro modo di parlare pubblicamente. Ha voluto rispondergli Daniela, e la sua risposta è doppiamente importante: perché lei è la sorella di un detenuto condannato per omicidio, e perché quel giovane detenuto è morto in carcere, una delle tante morti “da carcere” che siamo costretti a registrare ogni mese, per suicidio, per disperazione, per droga, per patologie gravi che quasi sempre sono diagnosticate in ritardo e curate quando ormai non c’è più niente da fare.

 

“Mio fratello soffriva terribilmente per ciò che aveva fatto”

 

di Daniela Orlandi, agosto 2004

 

Sono una ragazza di 34 anni, mi chiamo Daniela e vi scrivo innanzitutto per complimentarmi con voi per il vostro giornale, al quale sono abbonata, ed è un abbonamento che consiglierei a tutti gli italiani di fare… E poi vorrei rispondere al messaggio di Riccardo, pubblicato sul numero 4/2004 di Ristretti Orizzonti, perché sono rimasta profondamente colpita nel cuore da una frase che lui ha scritto rivolgendosi a persone che hanno commesso reati di sangue, che diceva “da una parte penso che non dovreste permettergli di parlare pubblicamente…”. Spero con questa mia lettera di fargli cambiare idea! Caro Riccardo, sono la sorella di un ragazzo che ha ucciso una persona, sono rimasta molto sconfortata dalle tue parole, mi hanno fatto molto male, nonostante io sia consapevole che la maggior parte dell’opinione pubblica ha le tue stesse idee, in quanto viviamo in una società che è brava solo a giudicare senza cercare di comprendere il “perché”! Come te, non conoscevo “il mondo dei detenuti”, non riuscivo nemmeno ad immaginare come si vivesse dentro un carcere, ma ciò che andava al di là di ogni mio pensiero è quanta tristezza e solitudine “vive” tra quelle mura. La mia educazione però mi ha insegnato a cercare di comprendere gli altri, di non giudicare i loro sbagli e pensare sempre a come avrei affrontato io un determinato problema, ed essere comunque consapevole che ogni persona ha un proprio modo di reagire agli eventi. Ho iniziato ad interessarmi, a “conoscere” e voler in qualche modo aiutare questo “popolo” dopo l’arresto di mio fratello. Christian, questo è il nome di mio fratello, è entrato in carcere a Montorio (Verona) il 21 dicembre 2003: era totalmente sotto shock, non si rendeva conto di ciò che era successo, ciò che lui ha sempre e solo ricordato era l’inizio della lite con l’altro ragazzo, poi buio! Al contrario di ciò che tu e l’opinione pubblica può pensare anche gli “assassini” hanno un cuore, e mio fratello soffriva terribilmente per ciò che aveva fatto ed era pronto a pagare la sua pena. Scrisse anche una lettera ai famigliari del ragazzo che aveva ucciso, ma non ha avuto il coraggio di spedirgliela in quanto rispettava il loro dolore, e la diede in mano all’avvocato. Tra indagini, testimonianze e perizie psichiatriche la posizione legale di mio fratello era migliorata di netto, tante accuse contro di lui sembravano cadere. Mio fratello stava provando a rifarsi una vita, il 21 giugno 2004 si è sposato in carcere con la sua ragazza, lui aveva molti amici in carcere, si faceva apprezzare per la sua sensibilità nell’aiutare quei detenuti “dimenticati” da famigliari e amici, era molto buono e gentile Christian. Il 21 luglio 2004 mi è giunta la tragica notizia che mio fratello, a soli 26 anni, dopo “solo” sette mesi di carcere è deceduto misteriosamente nella sua cella di Montorio, dopo appena 45 minuti che aveva terminato il colloquio con la mia mamma e sua moglie. Ci sono delle indagini in corso e voglio mantenere il massimo riserbo per il grande rispetto che ho nell’operare della magistratura, ma ti assicuro che non si è suicidato e che le sue condizioni di salute erano discrete per l’ambito carcerario, infatti solo due giorni prima era andato a visitarlo un nostro medico legale. Noi famigliari stiamo vivendo nell’angoscia e nel dolore, ma attendiamo con ansia gli esiti dell’autopsia. Al funerale di mio fratello è stata resa nota la lettera che aveva scritto ai famigliari del ragazzo che lui aveva ucciso… questa lettera diceva: “Vorrei che sapessero che non ho mai voluto fare quello che ho fatto. Darei la mia vita in cambio… ma non posso tornare indietro!”. Ora chiedo a te Riccardo: pensi che queste siano parole di un essere così crudele? A mio parere sono parole di una persona che in un attimo di follia si è ritrovata un problema più grande di lui… e lui di questo suo gesto soffriva terribilmente! E sappi che di Christian ce ne sono tanti nelle carceri! Io penso valga la pena aiutare seriamente queste persone e dare loro una seconda possibilità! Io sono convinta che dovremmo essere tutti più sensibili verso il popolo dei detenuti.