Dalla Romania: solo andata

 

Un ragazzo che sogna l’Italia

 

di Virgil, aprile 2005

 

Cari lettori mi chiamo Virgil ed anche se ho solo 22 anni vorrei raccontarvi una mia esperienza di vita: un viaggio. Fin dall’età di 14 anni, quando sano scappato da casa per la prima volta, ho fatto molti viaggi nei paesi intorno alla Romania; vi parlerò dell’ultimo viaggio, il più lungo: Romania-Italia. Era il 24 dicembre del 2000, mi trovavo in discoteca. Lì ho incontrato un amico di famiglia che era appena ritornato dall’Italia. Abbiamo incominciato a parlare e gli ho chiesto notizie di questo Paese: come si viveva e se era possibile per gli stranieri trovare lavoro. Le sue risposte erano positive e mi sollecitava ad andare in Italia, spiegandomi come poter passare clandestinamente le dogane.

Dopo mezz’ora sono rientrato a casa e ho riflettuto sulle parole di questo amico. L’indomani, il giorno di Natale, mi sono svegliato alle sette, ho preparato dei panini, ho preso dei cibi in scatola, qualche tuta, qualche maglione, le sigarette, e una carta geografica; ho infilato tutto nello zaino, l’ho nascosto fuori dalla porta, ho salutato i miei dicendo che andavo in chiesa e sono partito. Effettivamente sono passato dalla chiesa, ho acceso due candele e poi mi sono diretto verso la stazione dei treni. Lì ho preso il treno per Budapest, dove sono arrivato verso mezzanotte, e ho cercato un treno che arrivasse alla stazione più vicina al confine con la Croazia.

Sono giunto in un piccolo paesino e a piedi sono arrivato alla dogana. Erano circa le 18.30, ma era già buio. Sono entrato in un bar, ho preso un caffè e, con indifferenza, ho cercato di osservare il posto per capire come muovermi. Le due frontiere, ungherese e croata, sono attraversate da un fiume e unite da un ponte. Aiutato dal buio della notte, ho attraversato il ponte nella sua parte inferiore, reggendomi con le mani ai ferri del ponte, ed i piedi nel vuoto, proprio come nei film. Avevo tolto le scarpe per non bagnarle, ed in effetti mi sono bagnato solo un po’ i piedi. Sono arrivato sull’altra sponda del fiume e percorrendo una stradina di campagna parallela alla strada che portava alla dogana Croata, sono giunto oltre il posto di blocco, superando la frontiera.

Ero ormai in Croazia. Ho proseguito a camminare rasentando l’autostrada; di notte camminavo e di giorno mi riposavo dove capitava, tra i cespugli, nei boschi, nelle case abbandonate, sulle panchine dei parchi e delle fermate degli autobus. Infine sono arrivato a Zagabria. Sono andato in stazione con la speranza di trovare qualche mio connazionale per ricevere un aiuto; non avendolo trovato, sono entrato in un supermercato per prendere qualche cosa da mangiare.

Passando davanti ad un cortile, ho visto alcuni vestiti che erano stesi ad asciugare, ho preso un paio di jeans e sono ritornato verso l’autostrada riprendendo il cammino. Dopo tre-quatto giorni di cammino arrivo nei pressi della dogana Croazia-Slovenia. Erano le undici di mattina quando sono arrivato e ho aspettato che facesse buio su una collina. Alle otto di sera, quando c’era più traffico nella dogana, ho ripreso il cammino attraversando i boschi circostanti. Il bosco era molto intricato, tra un albero e l’altro c’erano delle fittissime piante rampicanti. Ho fatto molta fatica per attraversarlo, strisciando sul terreno per non fare rumore. Sono uscito proprio di fronte agli uffici Croati. Ho temuto di essere scoperto, ma il buio della notte mi ha protetto.

Sono rientrato nel bosco e ho continuato a camminare verso la Slovenia. Appena dopo la dogana c’era un parcheggio per i camion. In un lato erano impilate delle gomme di trattore. Mi sono infilato dentro e, fumando, ho atteso che facesse notte fonda e che il traffico diminuisse, sperando così di correre meno rischi. Lì vicino c’era un gruppetto di case. Passando davanti all’ultima ho preso una bici e ho incominciato a correre. Avrò fatto circa 20-25 chilometri, ero molto stanco: mi sono fermato in un bar per chiedere un po’ d’acqua. Ho domandato informazioni, per sapere se la strada che passava davanti al bar portasse in Italia.

Naturalmente hanno subito capito che ero un clandestino, mi hanno offerto lo stesso un caffè e mi hanno indicato la strada per andare a Lubiana. Il cammino sarebbe stato molto lungo: la distanza era di circa 110 chilometri e avrei impiegato ben tre giorni, ma io non lo sapevo. Il paesaggio era collinoso, su una collina ho visto una casetta che mi sembrava abbandonata, ho pensato di rifugiarmi lì per riposare. Sono entrato: forse era una casetta per le vacanze perché era rifornita di tutto. Ho fritto delle patate, mi sono disteso sul letto e ho dormito. Verso sera ho ripreso il cammino, portando via un giubbotto pesante. Ero riposato e ho pedalato tutta la notte, fermandomi ogni tanto solo per fumare. Verso le cinque del mattino sono entrato in un parco di una cittadina e ho dormito su una panchina. Il rumore dei passanti mi ha svegliato, ho fumato due sigarette e ho ripreso a pedalare. Di tanto in tanto mi fermavo in qualche bar a comprare un caffè o a riposare.

Il giorno dopo sono arrivato alla periferia di Lubiana e mi sono fermato in un campo di nomadi; lì ho venduto la bici per pochi spiccioli, ho mangiato con loro e uno di essi mi ha accompagnato con l’autobus alla stazione di Lubiana. Lì ho cercato qualche rumeno, ne ho trovato uno che viveva presso la Caritas e mi ha portato con lui. Nella struttura ho ricevuto dei buoni pasto e un posto dove alloggiare; mi hanno anche fornito di vestiti. Sono rimasto loro ospite per due giorni, volevo portare con me anche il rumeno Vasile, perché conosceva molto bene la strada, infatti accompagnava i clandestini in Italia. Lui però non aveva intenzione di lasciare Lubiana, ma mi ha spiegato la strada più sicura che dovevo percorrere.

Ho preso l’autobus e sono sceso cinque chilometri prima della dogana italiana di Fernetti. La zona era molto montuosa, sono salito sulle montagne con una neve alta mezzo metro, sono arrivato in cima, mi sono scavato un rifugio nella neve: il mio amico Vasile mi aveva detto che in questo modo avrei avuto più caldo e non mi sarei bagnato. Mi sono infilato in due sacchi di plastica, uno per i piedi e l’altro per la testa lasciando un buco per il viso e in questo modo ho aspettato che facesse buio. All’imbrunire ho incominciato a scendere verso la dogana. Lungo il percorso ho anche intravisto le postazioni della polizia di frontiera, fortunatamente non c’era nessuno. Mi sono guardato intorno, mi sembrava tutto tranquillo e quindi ho continuato a scendere e tranquillamente ho oltrepassato la dogana slovena.

Nascosto tra i cespugli sono rimasto alcune ore nella zona franca ad osservare la dogana italiana per cercare di capire come attraversarla. Vedevo parecchie strade e non capivo quale fosse quella giusta, inoltre un muro alto circa tre metri con una rete fino all’altezza di cinque metri separava il terreno dalla strada. Essendo disorientato, ho cercato di raggiungere, scavalcando il muro, la strada che passava sotto il ponte, ma mi sono accorto che portava nel parcheggio dei tir dove la Finanza effettuava i suoi controlli.

Sono tornato indietro, ho lasciato alle mie spalle il ponte ove intravedevo dei poliziotti, ho scavalcato un altro muro e sono entrato in autostrada; quando ho potuto l’ho attraversata per prendere la direzione Trieste-Venezia: ero sicuro in questo modo di dirigermi verso l’Italia. Ho iniziato a camminare sull’autostrada. Dalla parte opposta c’era un posto di blocco di carabinieri che vedendomi sono entrati subito in macchina per raggiungermi. Ho capito immediatamente che venivano a cercarmi e vedendo la linea ferroviaria lì vicino, ho scavalcato il recinto e ho iniziato a camminare sui binari fino a S. Giorgio di Nogaro.

Sono entrato in stazione e ho chiesto quanto costava un biglietto per Modena, avevo solo venti marchi e non erano sufficienti, volevo acquistare un biglietto per Venezia, ma l’impiegato quando ha visto i marchi mi ha indirizzato alla banca. Allora, non sapendo dove fosse una banca, mi sono deciso a fare l’autostop. Un vecchietto mi ha preso sulla sua macchina per due chilometri, siamo entrati in un bar dove ho preso un caffè e là ho conosciuto la mia ragazza.

Così ebbe inizio la mia avventura in Italia.