Una delle tante storie di tossicodipendenza in carcere

 

di Valerio Latente

Casa di Reclusione di Fossano, gennaio 2004

Sono un libero professionista con alle spalle problemi di tossicodipendenza. Svolgo un lavoro gratificante sotto il profilo umano e professionale. La primavera scorsa ebbi una ricaduta che mi causò un profondo stato depressivo; rallentai i ritmi di lavoro e mi rivolsi al Ser.T. di zona (abito in una grande città del Nord) col quale concordai una terapia metadonica a scalare che dopo tre settimane diede i suoi primi frutti: ripresi la vita sociale e lavorativa con regolarità. Mi recavo al Ser.T. alle 7 del mattino giornalmente per evitare angosciose attese e per non insospettire i colleghi con misteriose assenze. Dopo circa quaranta giorni dall’inizio della terapia fui arrestato per una condanna passata in definitivo relativa ad un reato commesso sette anni prima. Al mio ingresso in carcere chiesi di poter essere RI-affidato al mio Ser.T. per non interrompere il programma, ma mi fu detto che questo doveva essere RI-concordato col Ser.T. del carcere. Effettuai quattro o cinque colloqui, dopo di che, al secondo mese di detenzione venni trasferito a Fossano dove contattai il Ser.T. di competenza territoriale. Dopo una serie di incontri settimanali (al S. Caterina l’assistente del Ser.T. è presente solo per poche ore, il lunedì) vengo messo a conoscenza del fatto che per riprendere il programma interrotto, o meglio, per stilarne uno nuovo, il Ser.T. della mia città aveva delegato il Ser.T. del carcere che a sua volta aveva delegato il Ser.T. di Fossano. Mi prestai al gioco. Nel frattempo i mesi di detenzione erano saliti a quattro e la terapia scalare si era arenata a venti milligrammi perché le condizioni ambientali e fisiche non erano ottimali (si chiama mantenimento). Mi sottoposi a tre sedute con lo psicologo e l’assistente sociale con remissione, spirito collaborativo e consolidata pazienza, sempre per riprendere il programma interrotto nella mia città. Lo psicologo scava nel mio passato e rimuove angosce adolescenziali, traumi infantili, lutti recenti scatenando in me uno stato confusionale e depressivo. Mi sentivo tanto Alex, il protagonista di Arancia meccanica, film di Stanley Kubrik. Scocca il quinto mese di detenzione e decido di sospendere (non interrompere) la seduta perché nel frattempo ho maturato molte perplessità sui meccanismi dell’affidamento in prova. Al S. Caterina, intanto, è arrivato Michele, un ex tossicodipendente batterista dal talento innato. Io riprendo in mano la chitarra che da anni avevo abbandonato e trascorriamo interi pomeriggi a ritmo di rock. Mi diverto, la mia seconda depressione dell’anno è ora solo un ricordo e, cosa importante, sto azzerando il metadone. Qualcuno la chiama MUSICOTERAPIA!