Una legge che fa leva sul terrore delle famiglie

Droghe e galera, tanta galera. Con la Fini-Mantovano-Giovanardi non si esce dal tunnel della droga ma si passa in quello, molto simile, del carcere, per poi rientrare nel primo, fino a sfinirsi, o a lasciarci le penne

 

di Stefano Bentivogli, febbraio 2006

 

Fa una strana sensazione pensare agli anni che sono passati da quando ho avuto il mio primo rapporto da dipendente con le sostanze stupefacenti. Arrivo a fare queste riflessioni un po’ perché hanno riformato la precedente legge, che già non mi piaceva per niente, un po’ perché sono stato scarcerato da poco, dopo qualche anno trascorso in cella per reati legati alla tossicodipendenza, come al solito tanti reati di non elevata pericolosità. Sì, perché questa è l’esperienza che voglio raccontare senza ormai dovermi nascondere per timore che chiunque abbia a che fare con me sappia immediatamente la mia storia, le mie difficoltà.

Mi sembra incredibile che con questa nuova legge in realtà non sia cambiato niente, anzi vengano aggravate solo le parti che più hanno creato isolamento, segregazione, clandestinità. E tanta di quella galera, riempita da persone giunte alla disperazione, da far paura, da intasare il sistema giudiziario, da sovraffollare le carceri, da far perdere la speranza di una soluzione che rispetti i diritti dell’individuo che ha problemi di dipendenza.

Una legge che secondo me fa leva sulla paura, sul terrore soprattutto delle famiglie e delle tante persone sfiorate o colpite in pieno da un problema del genere. Non dimenticherò mai il terrore dei miei genitori, già altissimo per un figlio che non capivano più, assorbiti com’erano da un immaginario sulle droghe che inibiva qualsiasi possibilità di confronto lucido, e che era fomentato in alcuni casi proprio da chi gli doveva dare una mano. Ed io che stavo sempre peggio, non riuscivo a venirne fuori qualsiasi cosa facessi, o tentassi di fare, di testa mia o affidandomi quasi ciecamente agli altri. Ma già da allora passavano davanti, prima del mio non star bene, i consigli-ricetta di chi neanche mi conosceva, e soprattutto una dilagante bigotteria, che invece di pensare a tenere in ogni modo fuori dall’illegalità migliaia di persone, quelle, ovvio, che non avevano accesso al superconto in banca di papà, gli lasciava, come unica soluzione all’incapacità di uscire subito dalla dipendenza, il carcere. È spaventoso quanti, quasi senza accorgersene, si sono trovati nel tunnel della detenzione, e garantisco che per quelli che non erano legati alla criminalità si trattava di una doccia di cubetti di ghiaccio, con anni ed anni da scontare, con misure alternative dove tu eri l’ultimo a scegliere, percorsi terapeutici costruiti con la certezza della ricaduta, perché quasi mai erano percorsi di libertà e troppo spesso invece sembravano costruiti in ambiti che erano solo la bella copia della sacrosanta galera.

Io per indole ho sempre avuto l’abitudine-difetto di mettere in discussione tutto, ma trovarmi davanti, dopo aver seguito, anche in carcere, le alterne vicende del problema dipendenze, ad una riforma del genere mi ha proprio scioccato. Ho sperato che fosse una delle solite fole elettorali, e invece no, ed ora c’è da essere veramente preoccupati, conoscendo le difficoltà degli impoveriti Ser.T. e la fatica di certe piccole comunità, le uniche che hanno una dimensione umana, a redigere un bilancio e pagare le spese.

E poi io sarò malizioso, ma il sistema che si è messo in piedi in questi giorni dà spazio a comunità che non avranno più alcun controllo pubblico, e sarà possibile creare legalmente delle vere miniere da cui estrarre denaro, una volta convinte le terrorizzate famiglie che lì, con un po’ di soldi ti salvano, e soprattutto aprendo spazi per vIP o addirittura, perché no, sistemi e strutture per far uscire dal carcere persone che non hanno in realtà i requisiti per rientrare nei termini di legge: tossicodipendenze inventate, tanto chi controlla? Ma la manovra più sporca è senza dubbio quella operata nei confronti delle famiglie, un’operazione alla Vanna Marchi (sempre che non risulti innocente anche lei), con la quale si ribadisce che realmente si vuole bene a questi ragazzi che sbagliano e che tutto sarà fatto per non fargli vedere la galera. Questo non mi rattrista, questo mi riempie di rabbia, perché mi brucia ancora il trattamento ricevuto, penso che addirittura anche i miei genitori sconsolati, quando si sono resi conto di cos’era il carcere, qualche dubbio se lo sono fatti venire sul grande inganno di una legge che invece di permettere di curare riservava ai tossicodipendenti tanta galera.

Ricordo la prima notte a Regina Coeli, già sapevo che i miei mi avevano mollato, almeno per un po’, ricordo quando mi sbatterono in crisi d’astinenza al terzo piano del letto a  castello che non riuscivo neanche a salirci. Al mattino, crollato dallo stress, convinto di vivere in un incubo, e vi garantisco che la prima sezione nel ‘99 era un incubo davvero, avevo creduto di svegliarmi a casa mia dopo un brutto sogno che ora finiva, ed ero sceso dal mio letto per andare a farmi un caffè: sono volato per tre piani rischiando di ammazzarmi.

E il pensiero era che era troppo, che era meglio farla finita subito, un bel laccio intrecciato, un cappio che scorresse bene, così la smettete di torturarmi: ma eravamo tanto pigiati che non c’era né lo spazio né la privacy per appendere la corda col cappio. Alcuni compagni ti facevano capire che anche il suicidio era una rottura di scatole per gli altri, che poi c’era la solita farsa di indagine, che sarebbero stati interrogati, che gli avrei creato problemi. Oggi la situazione peggiorerà, perché saranno tanti più ancora i ragazzi fuori dal giro criminale a trovarsi in carcere ed avranno ancora meno strumenti per difendersi.

Questo è il prossimo futuro, in barba alle famiglie illuse che gli stanno dando una mano, pensando che “ci vuole polso e non questo lassismo”. Ma quale lassismo, continuo a chiedermi,  dopo questi anni di castigo,  fatto di ore, minuti, secondi interminabili. La dipendenza da una sostanza è stata più forte di me, ed io non sono stato in grado di difendermi da un sistema che ti mette all’angolo e non ti lascia possibilità diverse dal delinquere, e la responsabilità resterà comunque tua, anche se hai lottato e non ce l’hai fatta. Inizialmente tu non immaginerai mai che quello che ti faranno pagare non è solo la sofferenza per liberarti del tuo stato di dipendenza da una sostanza stupefacente illegale, tra le tante legali in circolazione, ma tante di quelle altre sofferenze deliberatamente inflitte e praticate che partono dalla clandestinità dello star male e per molti finiscono addirittura con la morte. Questo è il presente, l’obbligo a “stare bene” comunque, secondo dei parametri di uno Stato che omologa con la repressione e, anche nel caso non venga leso alcun diritto altrui, trasforma in reato qualsiasi diversità, sia essa scelta consapevole o condizione di disagio personale.

L’unica azione possibile è una retromarcia totale, ma chi la farà? Chi se la sente di invertire sul serio la rotta che porta a tanti ed assurdi sacrifici umani in nome di una morale che, in fin dei conti, tra i politici, che spesso sono specchio della parte egemone della società,  è proprio merce rara?

 

Una legge “da paura”

 

Il Testo unico sugli stupefacenti D.P.R. 309/90 è stato riformato con la solita modalità mediocre, ossia chiedendo una proroga dell’attività parlamentare così da usare la conversione in legge di un decreto che riguardava la sicurezza per le Olimpiadi invernali per accorpare ad esso lo stralcio Fini-Giovanardi sulle droghe. E come ciliegina ovviamente è stata chiesta la fiducia sul provvedimento. Ma tutti sono rimasti un po’ straniti nel vedere lo stralcio accomunato alla sicurezza delle Olimpiadi in corso, e non discusso in un ambito all’altezza della complessità della questione. Ho sentito dire da Berlusconi, in una delle innumerevoli trasmissioni alle quali si è invitato, che le contestazioni sulle modalità per far passare il provvedimento erano praticamente stupidaggini, e che l’urgenza derivava dall’imminente avvio delle Olimpiadi invernali, e si sa, con il grave problema del doping sportivo, occorreva provvedere con adeguate normative sugli stupefacenti. Io vorrei sapere chi ci ha creduto, a una storiella del genere: in realtà, stiamo parlando di una riforma che penalizza i consumatori di qualsiasi stupefacente (tranne alcol e psicofarmaci), mette fuori dal controllo pubblico le strutture terapeutiche, aumenta il mercato potenziale delle comunità terapeutiche aumentando i termini di legge per accedere alle misure alternative.

Occorre far notare anche che, mentre si attuava il varo di questa riforma, è stato necessario rimangiarsi una parte sostanziale della neonata legge ex-Cirielli, ossia quella che non distingueva il recidivo per tossicodipendenza dagli altri, riducendogli al minimo la possibilità di andare in comunità in misura alternativa. Se non fosse che dietro c’è la produzione di catastrofi in serie che ricadranno mediamente sui già bastonati di tutta Italia, ci sarebbe da ridere, perché pur potendo fare letteralmente quello che volevano senza confrontarsi mai con nessuno, questi politici sono riusciti a fare e disfare le stesse cose, inizialmente presentate come cambiamento radicale e giusto, e poi, neanche il tempo di “battezzarle” e si accorgono che sono addirittura in contraddizione l’una con l’altra: veramente un caso di “buon governo”.

 

Un percorso obbligato: sanzioni, misure di sicurezza, galera

 

Ma andiamo a vedere, per ora, cos’è questo Testo unico sugli stupefacenti riformato. Prima di tutto le droghe diventano tutte uguali di fronte alla legge e sono vietate, tranne alcol e soprattutto psicofarmaci, che hanno consumi veramente allarmanti e come al solito restano fuori. Per queste sostanze nessuno si azzarda a dire che la liberalizzazione (alcol) o la legalizzazione (psicofarmaci) aumentano i consumatori, neppure si fanno tanti drammi sull’eventualità che l’abuso di queste sostanze renda le persone “larve umane” (che brutta definizione per delle persone che faticano a mantenere un equilibrio), anzi gli slogan sono che “quando lo psicofarmaco ci vuole, ci vuole” oppure parlano di “civiltà del bere” e “cultura del vino”.

Ora il consumo di sostanze è punito, come al solito “per il bene” del consumatore, anche se non si capisce quale reato abbia commesso. Se ti beccano a detenere, far uso etc. di qualsiasi droga illegale, ma la quantità è inferiore a dei dosaggi che fra un po’ scopriremo, la progressione è chiara: sanzioni, misure di sicurezza e nella fase finale, di solito piuttosto ravvicinata, del percorso: galera. È interessante anche cercare di capire come potranno decidere, alla prima contestazione per “detenzione per consumo personale di stupefacenti”, quali sono i “casi di particolare tenuità” dove non verrà applicata alcuna sanzione, bensì un “formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno”. Ma come? Ma non facevano tutte male ed erano pericolose in qualsiasi quantità? Per qualcuno hanno già previsto l’impunità e il “però non lo fare più”. Chissà chi saranno questi beneficiati dalla clemenza per cui il loro gesto sarà, non si sa come, più tenue degli altri! Io sento già puzza di discriminazioni, sennò quanti giovani di buona e nota famiglia rischiano di perdere patente e passaporto? Per il resto, se uno ad esempio usa la patente per lavorare, per lui il suo ritiro per aver fumato una canna può essere la rovina, e se invece è straniero e sta ottenendo il permesso di soggiorno, con le sue richieste può veramente farci cartine per una fumata.

Subentra poi il fatto, come moda comanda, che se sei recidivo rispetto a questa legge o semplicemente pregiudicato anche solo con condanna in primo grado, ti viene data una serie di misure di sicurezza che sono tipiche di chi ha commesso reati ben più gravi, e che di solito venivano date dopo aver scontato una pena. Sono misure abbastanza pesanti nel tempo, basta chiedere a chi vi è stato sottoposto, e nel tempo è anche facile trasgredirle, ed a quel punto galera!!!

Ce n’è una però che merita un commento per la sua assurda inconsistenza. Consiste nel doversi recare presso un ufficio di polizia durante gli orari di entrata ed uscita dalle scuole. Quindi ancora questa storia dello spaccio davanti alle scuole, che è una cosa anacronistica come la favola che ti regalano le caramelle drogate per renderti loro schiavo. Nella mia lunga esperienza di consumatore non ho mai comprato nulla davanti alle scuole né tanto meno mi è stato regalato alcunché: altrimenti non mi sarei certo fatto gli anni di galera per furto che invece ho dovuto subire!

Al massimo davanti alle scuole trovi qualche studente che fuma coi compagni, e allora che si fa, negli orari di ingresso ed uscita invece che in classe lo si manda in commissariato? Roba da fantascienza, questi politici. La giustificazione ad una riforma del genere è che non è vero che si mandano i consumatori in galera, ma li si vuole curare fuori. Questo significa non conoscere minimamente cos’è la tossicodipendenza: una persona agli esordi può anche darsi che si spaventi, ma nella maggior parte dei casi, per chi sta male e usa sostanze e non riesce a farne a meno, stante queste norme l’entrata in carcere è garantita: perfino Castelli è preoccupato. In sintesi, questo è far leggi senza sapere di cosa si parla o, ancora peggio, su consiglio di qualcuno che il significato della parola “laicità” non ha proprio idea di quale sia. In questi termini non si esce dal tunnel della droga ma si passa in quello, molto simile, del carcere, per poi rientrare nel primo, fino a sfinirsi, o a lasciarci le penne.

Esiste poi la possibilità che la quantità sequestrata superi quel dosaggio, che prima o poi ci riveleranno (ho dimenticato che oltre ai dosaggi il giudice valuterà l’apparenza, la modalità di confezionamento, il frazionamento per distinguere il consumo dallo spaccio, che significa rendere il tutto leggermente arbitrario, solo se il giudice lo vuole), e qui mi viene da immaginare questi consumatori dell’era Fini-Mantovano che vanno a fare acquisti con bilancino, attenti alla confezione e muniti di kit per la misurazione del principio attivo: si tratta di strumenti che di solito usano e possiedono i grandi spacciatori, che loro sì, per stabilire il prezzo, devono conoscere il grado di purezza della “roba”.

In pratica altra fantascienza di chi queste cose non le conosce e ha la presunzione di regolamentarle legiferando. Doveva essere poi la grande campagna di inasprimento delle pene per i veri spacciatori, in realtà prima si andava dagli otto ai venti anni di pena per loro, ora dai sei ai venti. Se invece sei un “piccolo spacciatore”, causa le quantità e le modalità di detenzione e vendita, la pena prima andava da uno a sei anni per le droghe “pesanti” e da sei mesi a quattro anni per le droghe “leggere”. Adesso le droghe sono diventate tutte “pesanti” e quindi la pena è da uno a sei anni: quindi il ragazzo, tanto per spiegarci, che vende un po’ di fumo per pagarsi il suo consumo, ha lo stesso trattamento di chi questo piccolo traffico lo fa con droghe come la cocaina e l’eroina. Quando si parla quindi di un provvedimento che inasprisce le pene per i grandi trafficanti, in realtà è vero il contrario: le pene aumentano proprio per chi consuma qualsiasi droga, o per chi spaccia hashish e cannabis.

 

È difficile uscire dalla dipendenza, se sei costretto a vivertela clandestinamente

 

Gli altri importanti elementi della riforma consistono ad esempio nell’equiparazione, di fronte alla magistratura che può concedere una misura alternativa, sia per la certificazione di tossicodipendenza, sia per il programma terapeutico, dei servizi pubblici e di quelli privati. Io ci vedo un grande affare e la possibilità, per chi dispone di soldi, di fare illeciti, in quanto così non esiste più alcun controllo del servizio pubblico, che si troverà ad interagire solo coi casi economicamente più disastrati. Un grande trafficante se la potrebbe pure comprare, una comunità dove far transitare i “suoi”!

È stato poi aumentato il limite di pena per accedere alle misure alternative da quattro a sei anni. Io con un cumulo di quattro anni e sei mesi sono riuscito ad ottenere solo gli ultimi sette mesi di affidamento, ma è così abbastanza in generale se sei in carcere, difficilmente allo scadere dei quattro anni si va in misura alternativa. Perché con il limite a sei anni dovrebbe essere più semplice? E poi la comunità terapeutica è un luogo di “cura” o un posto dove andare a vivere? Dico questo perché di recente i programmi terapeutici sono stati progressivamente ridotti un po’ dappertutto, tranne dove invece si utilizza la logica del “tenerli chiusi il più possibile”, per fortuna almeno, così pare ultimamente, senza usare la tecnica del sequestro e della violenza fisica.

Io spero veramente che qualcuno metta prima o poi mano in maniera radicale alla questione del consumo di droghe, senza ipocrisie sulla pelle di tante persone che da un periodo di difficoltà della loro vita si sono trovate poi in un tunnel che sì, alienava, rendeva dipendenti. Il fatto è che, a questa che rappresenta già una situazione difficile e delicata, è stata affiancata la necessità di vivere clandestinamente, commettere reati, ammalarsi fino a morire, portare intere famiglie all’incapacità di affrontare senza drammi aggiuntivi il problema.

Ma qui intanto si continua a viaggiare sulle frottole e sugli spot pubblicitari: il giovane tentato dalla droga che viene salvato dal padre che non lo trascura più, e anzi gli lancia il pallone simbolo di condivisione di qualcosa di “pulito”. Si propongono ancora mondi del bene e mondi del male: come se lo sport fosse così immune sia dalle droghe classiche che da quelle specifiche per aumentare le prestazioni, e come se una famiglia attenta fosse la soluzione di tutti i mali di vivere. A me sembra che siamo veramente fuoristrada, e so che sono parecchi che la pensano come me, che di queste semplificazioni sono stufi, soprattutto se hanno avuto l’occasione di vedere come stanno realmente le cose e si accorgono di quale cinismo arrogante si stia dando prova in quella che dovrebbe essere la “politica sociale”.

Ora si è aperta ufficialmente la campagna elettorale. Io il mio voto lo darò solo a chi si prenderà impegni seri su un tema doloroso come quello della tossicodipendenza, e solo se lo farà ufficialmente, in maniera umana, senza calcoli di convenienza, con volontà di cambiamento vero, guardando un po’ verso il “basso” della città, che si affolla sempre di più e che sempre di più viene usato in maniera populista contro i suoi stessi interessi, quando si tratta per esempio di sfruttare il tema della sicurezza. Per il resto la voce dal basso, da chi i disagi se li vive addosso, non interessa più, soprattutto se quella voce scopre che è stata fregata per l’ennesima volta, annegata da una marea di falsità prodotte da quell’informazione che proviene dall’alto e che ha bisogno solo di consenso, mai di un po’ di giustizia.