Il primato assoluto di recidive? È quello dei tossicodipendenti...

 

di Stefano Bentivogli, settembre 2004

 

A guardare le statistiche sulla recidività nel commettere reati e ad affiancarle a quelle del cattivo esito delle misure alternative alla detenzione non c’è scampo: il primato assoluto è quello dei tossicodipendenti. L’altro record correlato è quello riferito al lasso di tempo che intercorre tra la scarcerazione e la commissione di un nuovo reato: ci sono casi, non poi così rari, in cui l’intervallo è misurabile in poche ore.

Sembra di avere a che fare con dei veri principi del male, gente senza scrupoli verso se stessi e tantomeno verso gli altri. È tramontata da parecchio tempo l’immagine dei figli dei fiori, degli hippies, degli stralunati sognatori che viaggiavano alle porte della percezione, di quelli che stimolavano la creatività con sostanze stupefacenti. La società di allora, pur condannandoli, in qualche modo li tollerava perché erano pochi e riuniti in tribù che spesso se ne stavano alla larga volontariamente dalla società perché la rifiutavano.

I tempi sono cambiati, la droga è oggi dentro il tessuto sociale a tutti i livelli ed il suo prospero mercato, in barba a tutte le pratiche proibizioniste, è solidamente inserito nei circuiti della finanza mondiale al punto di condizionare gli equilibri geopolitici del pianeta.

L’unico elemento che si è mantenuto costante con il passato è lo stato di illegalità, con la differenza però che, di tossici, le galere di oggi sono piene, anzi strapiene visto che molti di questi, utilizzando le leggi sulla tossicodipendenza, dovrebbero scontare la pena fuori, affidati a comunità terapeutiche o seguiti dal Ser.T. E invece spesso non riescono ad accedere a misure alternative, perché si sono già bruciati questa possibilità.

Qualcosa quindi non funziona proprio, se questo fiume di persone che finisce dietro le sbarre è diventato inarrestabile. Il dato di fatto è che, se per le comunità terapeutiche è molto difficile interrompere lo stato di dipendenza della persona affidata, per il carcere è quasi impossibile, di qui la recidiva inarrestabile. La comprensione del problema può essere aiutata solo da una maggiore conoscenza della realtà, proverò allora a raccontare qualcosa, ma premetto che sono tossico, detenuto e super-recidivo… abbastanza informato di conseguenza.

I tossici che sono in galera, e soprattutto quelli che vi rientrano di continuo, si differenziano dagli altri, i liberi, sostanzialmente per la dichiarazione dei redditi e per lo stato di famiglia (quello reale). Non sono mai stato in cella con Diego Armando Maradona, tantomeno col senatore a vita Emilio Colombo ai quali do tutta la mia solidarietà perché capisco in che razza di guaio si sono cacciati. Ricordo invece il Giubileo dei detenuti nel 2000 con la Messa del Papa a Regina Coeli (ho soggiornato brevemente anche lì), ricordo il detenuto che portava la croce in processione, morì pochi giorni dopo di overdose, in carcere. Un caso “spettacolare”, ma neanche su questo ho sentito una grande compassione, una riflessione esistenziale generale che in qualche modo potesse affiancarsi a quella suscitata per la morte di Marco Pantani. Due morti entrambi tristi, entrambi in solitudine, morti di roba, come tanti trovati già viola, soffocati dal vomito nel cesso di qualche stazione.

La morte in carcere continua intanto ad essere considerata una morte di serie B, forse perché è impossibile per chi è libero incrociare quegli occhi sbarrati, quello stupore spaventato nell’attimo in cui la vita se ne va.

Per quanto riguarda lo “stato di famiglia reale”, così prima l’ho definito, è quella situazione di solitudine affettiva aggravata nella quale il tossicodipendente viene ben presto a trovarsi ad un certo punto della sua storia. In carcere mantenere vivi gli affetti è un problema per tutti, per quelli che entrano già soli è un disastro, è quasi impossibile ricostruire relazioni affettive con lettere e colloqui, bisogna vedere poi se hai ancora qualcuno a cui scrivere e qualcuno che venga ad incontrarti a colloquio.

In carcere i tossici creano tanti problemi quanti ne hanno. Spesso entrano e devono affrontare la famigerata crisi d’astinenza, a meno che non riescano ad ottenere il metadone ad libitum. Si riempiono di psicofarmaci, dormono di giorno e fanno casino di notte, spesso sono talmente scassati che fanno fatica a lavarsi, sudano come spugne, non puliscono la cella, non hanno vestiti per cambiarsi, sono senza soldi e senza sigarette (ma fumerebbero dalla mattina alla sera).

Sotto il profilo sanitario sono invece fornitissimi, hanno tutte le epatiti dell’alfabeto, flebiti, infezioni… e l’AIDS? Se lo dichiarano, meglio stare alla larga, sennò… figurati se non ce l’ha, non vedi in che condizioni è… guarda come è smagrito.

Non è una situazione generalizzabile e i miei compagni si arrabbieranno, loro ed anche quelli che si fanno sostenitori della solidarietà tra detenuti, ma sfido chiunque a dire che vaneggio - la realtà è che il carcere è sovraffollato e stressante, ed è difficile sopportare convivenze così differenti. I medici invece, mediamente i “tossici” non li sopportano proprio, e in alcuni casi, da me constatati personalmente, li disprezzano. Il tossico è in grado di esercitare un pressing sul personale sanitario, sia esso medico o paramedico, per ottenere la dose di psicofarmaci a lui più consona, al quale è difficile resistere. Il tossico è bugiardo, manipolatore, è in grado di simulare l’intenzione suicida pur di ottenere quello che vuole, a volte conviene imbottirlo di benzodiazepine, così non rompe le palle e… affari suoi.

La questione poi negli ultimi anni pare si sia complicata, sono stati scoperti i soggetti a “doppia diagnosi”, quelli che associano patologie psichiatriche all’abuso di sostanze stupefacenti, in italiano corrente pazzi ed anche drogati. Studi e ricerche di altissimo livello hanno stabilito che questi casi sono costantemente in aumento e che necessitano di accurati interventi terapeutici. Queste persone invece stanno affollando le sezioni degli Istituti di pena dove, per carenza di risorse, l’area sanitaria sta colando a picco, la mancanza di agenti impedisce spesso di svolgere attività fuori dalla cella o di predisporre le scorte per i ricoveri in ospedale. Gli psicofarmaci invece non mancano mai, credo veramente che il loro taglio sarebbe l’unica possibilità di far scoppiare una rivolta.

L’esecuzione della pena per alcuni si avvicina al letto di contenzione ma, visto che i tossici fanno reati del cavolo, le pene poi non sono lunghissime e spesso vengono sospese, tramutate in affidamenti. Materialmente per i primi reati, essendo le pene inferiori ai due anni, si resta in libertà con la “sospensione condizionale della pena”. Per i seguenti, in genere più d’uno, si passa un breve periodo in carcere fino all’ottenimento di un’ulteriore sospensione per accedere poi all’affidamento in una comunità terapeutica. In questo periodo di libertà si commettono altri piccoli reati e si rientra in carcere aspettando l’eventuale concessione dell’affidamento in prova. A questo punto la pena da espiare inizia ad essere consistente, per uscire bisogna attendere che il residuo da scontare sia sotto i 4 anni.

È così che la gran parte dei casi che conosco siglano i record di recidiva, ci si trova improvvisamente con un bel periodo di galera davanti e niente fuori che ti possa incentivare a dare una svolta alla situazione.

Ricordo un amico che la mattina doveva essere scarcerato, ha girato tutte le celle della sezione in cerca di un limone (per i neofiti, l’agrume si usa per sciogliere l’eroina), non aveva tempo da perdere una volta fuori, erano due anni che era dentro. Io addirittura, ovviamente qui lo dico e qui lo nego, un giorno che dovevo essere scarcerato, sono riuscito a farmi addirittura prima di uscire, e all’uscita ero scassato come il giorno che mi avevano messo dentro. Così si esce fuori allo sbando, la roba costa cara, non la regalano davanti alle scuole, bisogna procurarsi i soldi nel modo più semplice e veloce. Ma la lucidità entro breve raggiunge lo zero assoluto, così le mani invece che sulla refurtiva finiscono dentro le manette. La frequenza di reati diventa direttamente proporzionale alla quantità di roba necessaria, alla fine non ci si preoccupa più nemmeno di farla franca, si sa già come andrà a finire.

La strada per uscire da situazioni del genere non ha tempi programmabili, il carcere però non aiuta di certo, ancor di più il carcere odierno, che non dà niente neanche al tipo di criminali per il quale è stato tristemente ideato. Le nostre leggi prevedono l’istituzione di sezioni apposite per i tossicodipendenti, in realtà queste sono quasi inesistenti perché costano troppo ed i soldi non ci sono. Così in carcere si vive alla rinfusa, mescolando e sommando disagi di tutti i generi, il risultato è che la disperazione aumenta e si alimenta, di continuo, fino alla scarcerazione, pronta per essere riversata all’esterno.

Resta quindi aperto il problema e non mi sento di poter proporre un “cosa fare” per risolvere una situazione così difficile e complessa. È necessario però, quando si affrontano questi temi come questi, essere più attenti, provare a capire meglio di cosa si parla ed evitare di rimanere vittime di luoghi comuni. Periodicamente difatti viene dato grande risalto nella cronaca dei giornali ad episodi delittuosi compiuti da tossicodipendenti, di solito piccoli reati contro il patrimonio che purtroppo accade che sfocino in violenza contro le persone, fino all’omicidio. La lettura poi è sempre la stessa: “omicidio per pochi euro, doveva comprarsi la dose di eroina”. Il tossicodipendente diventa il peggiore dei mostri in circolazione, si dimentica il grado di volontarietà, l’assenza di premeditazione che invece le nostre leggi pongono in primo piano nella determinazione di un reato. La reazione della gente automaticamente si esplicita nella richiesta di più carcere anzi, solo carcere, come se si potesse liberarsi di un disagio personale chiudendolo in una gabbia. In realtà, una persona che ha problemi di dipendenza da sostanze, qualunque esse siano, in origine crea danno a se stessa, a livello sociale il problema c’è solo quando il mantenimento dello stato di dipendenza, avendo reso la sostanza illegale, obbliga il dipendente a commettere reati. È fin troppo palese che il drogato col portafoglio pieno è un personaggio assente dall’assortimento penitenziario. Ma non mi interessa, in questo momento, soffermarmi sugli effetti discriminanti delle politiche proibizioniste, trovo più importante parlare della loro assurdità e della loro inefficacia.

Alla base della dipendenza da sostanze stupefacenti c’è il bisogno di riempire un vuoto, la necessità di rimettere in equilibrio qualcosa, la droga svolge in qualche modo questa funzione, ci fa stare bene o meglio, non troppo male. La dipendenza poi aumenta le difficoltà a cercare un equilibrio in qualche altro modo, riduce gli spazi di sperimentazione. A questa situazione già difficile si sovrappone lo stato di illegalità che comporta, inizialmente, una vita da semiclandestino, successivamente invece, dati i costi degli stupefacenti, la necessità di commettere reati.

Così nella fase iniziale è difficile essere intercettati da qualcuno che ti possa dare una mano, si resta nascosti, cercando di proteggere lo stato di benessere che un po’ di droga ti garantisce. Poi invece quando si comincia a commettere reati, in genere i più semplici, perché del crimine i tossici non sono mai professionisti, si viene intercettati dalle Forze dell’ordine e si finisce in galera, come molta dell’opinione pubblica si augura.

Torniamo allora ai mostri peggiori dei quali parlavo prima, quelli che per pochi euro uccidono e vorrei ricordare un caso di pochi mesi fa, un tossicodipendente pugliese che durante una rapina in un supermercato, per pochi euro, ha ucciso con una coltellata il proprietario che si era ribellato. È stato dato un grande risalto alla notizia per la sua assurdità, i soliti pochi euro per la dose e un essere umano morto. Come avviene poi nella gran parte di questi casi il colpevole si è consegnato alla Polizia, probabilmente poco dopo essere riuscito a “farsi” e a riprendersi dall’incubo di cui era stato protagonista. Si riportavano nelle cronache altri dati, tra i quali uno su cui sarebbe bene riflettere: aveva appena finito di scontare in carcere un cumulo di condanne pari a 10 anni!

Forse occorre cominciare a chiedersi anche come sia possibile che dopo 10 anni di carcere la disperazione di questo ragazzo fosse ancora così grande da arrivare ad uccidere, o come un altro ragazzo di Roma, con una situazione giuridica simile, sia stato ucciso invece dal giornalaio che tentava di rapinare. Cosa succede dentro le carceri? Questi luoghi in cui si parcheggia la gente per rieducarli o quantomeno per proteggere la società libera svolgono la loro funzione?

E qui subentra il sistema penitenziario con tutte le sue contraddizioni, evidenti anche per chi a questo sistema crede ancora, in questo caso le soluzioni ibride per i tossicodipendenti, in carcere per scontare una condanna e per curarsi, ma in strutture dove si annaspa per garantire assistenza sanitaria a patologie ben più semplici. Inutile che commenti quindi la proposta di legge Fini sulle tossicodipendenze, nella quale, si badi bene, dove si parla di cure in Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti si annusa facilmente il tentativo di “carcerizzare” anche quest’ultime.

Io penso che punire la disperazione sia una vera follia, e vale per i tossici come per tutti gli altri, ma la nostra super civiltà non riesce a liberarsi dalla mania del carcere, figuriamoci quanto ci metterà a liberarsi dal bisogno perverso di dover sempre punire.