Notte di natale

 

Nascita ad una “nuova vita” di un gruppo dì detenuti

 

di Salvatore, maggio 2005

 

Vi racconto come ho passato il Natale ed il Capodanno in via Spalato (Udine).

Per me è il secondo Natale e Capodanno che passo in carcere e ormai, dopo un anno e qualche mese di detenzione, ho capito cosa vuoi dire essere ristretto. Vi posso dire che non ho mai desiderato essere a casa con i miei come quest’anno, Purtroppo nel periodo delle feste è atroce il continuo martellare delle pubblicità che passano in tv; sembra fatto apposta per far sì che nessuno di noi dimentichi quello che sta perdendo fuori di qui. Mi riferisco alle famiglie felici che vivono questi momenti nel calore di una bella casa dove regna pace, armonia e si sente il profumo dell’amore. Per noi niente di tutto questo, solo la consapevolezza di quello che non possiamo avere, almeno per un po’. È stato un Natale pieno di tristezza e di malinconia.

Io ero accanto al blindo con gli occhi lucidi rivolti verso l’esterno, come se volessi stare da solo, ma, in effetti, era un modo per evitare che gli altri vedessero che stavo passando un momento di sconforto. Il carcere è pure questo, se hai voglia di piangere non lo fai, subentra l’orgoglio che ti fa logorare dentro e non ti permette di esternare i tuoi sentimenti; figuriamoci poi se sono debolezze. Pensavo fossi solo io in quelle condizioni, ma mi sbagliavo; è bastato sentire il silenzio che regnava nel corridoio della seconda sezione cellulare per capire che anche gli altri erano nelle stesse condizioni e che il sentimento che provavo era comune a tutti.

Così rivolsi lo sguardo verso i compagni e mi ci volle poco per capire che non era proprio la serata per far festa; non c’era niente da festeggiare, e forse non era neanche il caso di continuare a pensare al perchè di tutto questo. Quanto male, quanto dolore vissi e percepii; ad un tratto sentii il rumore delle chiavi di un agente che veniva verso di noi, mi svegliai da quello stato pietoso e mi accorsi che era già l’ora della terapia. La parola d’ordine è per me “mai terapia”, serve solo a rincoglionirti, non ti fa più essere te stesso. È come spegnere la tua intelligenza e la voglia di reagire, ma quella sera era particolare: era la notte di Natale.

Così eliminai tutti i blocchi che mi ero imposto e con aria decisa guardando negli occhi il dottore gli dissi: “Dottore, io non prendo terapia, ma stasera mi sa che è dura per me andare a letto”, e prima che finissi la domanda, che per altro sembrava già elaborata al solo scopo di avere delle gocce di Valium, il dottore era già con il bicchiere e la boccettina pronto per soddisfare le mie esigenze. Rimasi colpito dalla prontezza del dottore, poi mi resi conto che forse io non ero altro che uno dei tanti che aveva elaborato una richiesta di gocce. Alla fine andammo tutti a letto e grazie al Valium la notte passò. Trascorsi i giorni successivi a riflettere su quella benedetta notte. Il tempo passò velocemente e mi ritrovai al 31 dicembre 2004, la fatidica notte di Capodanno.

Normalmente la notte di capodanno è caratterizzata da fuochi d’artificio, grandi mangiate e altrettante grandi bevute con conseguenti passaggi tra una discoteca e un locale di tendenza; almeno questa era la classica notte di Capodanno. Ma quest’anno la cosa era diversa di certo, non volevo trascorrere un’altra notte come quella di Natale e assolutamente non volevo aiuto dal Valium e così misi in moto il cervello e usai tutto l’ottimismo che c’era in me. Radunai i ragazzi e chiesi loro se avessero voluto trascorrere la notte seguendo le varie fasi di una nostra tradizione. Per prima cosa dovevamo presentarci all’anno nuovo sbarbati e con un indumento nuovo, quindi a turno andammo in bagno a rasarci: nel frattempo io davo indicazioni su come si potevano utilizzare gli indumenti a nostra disposizione, che non erano di certo nuovi, ma sarebbero diventati tali nel momento in cui venivano regalati.

Così io regalai un maglione a Babj, Jon regalò un paio di pantaloni a Cristian, Moreno ricevette un paio di mutande da Luca, insomma stavamo diventando più amici di prima. Ognuno di noi regalò al compagno qualcosa cui teneva e devo dire che l’atmosfera della cella si stava facendo via via sempre più gradevole. Dopo la nostra preparazione cominciammo a mangiare facendo i soliti commenti sulla trasmissione di Maurizio Costanzo, sulle belle donne e soprattutto sull’espressione di Maria De Filippi, che dava proprio l’impressione di chi non si trova a suo agio.

Questo mi offrì lo spunto per dire ai ragazzi: “Guardate la De Filippi, forse vorrebbe stare da un’altra parte e non con il marito a condurre la trasmissione. Pensate com’è strano il mondo: noi vorremmo stare con la nostra famiglia e non possiamo, lei che ha tutto, lo disprezza”. La conclusione mi venne automatica e aggiunsi. “Cari ragazzi dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo, ma soprattutto bisogna mettere a frutto tutto quello che stiamo vivendo qui”.

Così invitai i miei compagni a seguire la mia tradizione, anche se in quell’occasione la arricchii di coreografia e parole toccanti. Iniziai io. Presi il vasetto vuoto della marmellata, lo misi sulla tavola e con aria seria e rigore cerimoniale misi la mano destra sul vasetto e iniziai a fare l’analisi della mia vita dell’anno che si stava concludendo.

L’anno trascorso non era andato così male anche perchè in carcere avevo ottenuto dei miglioramenti rispetto al 2003: ho avuto l’autorizzazione ai colloqui con mia moglie e con i miei figli e ho visto i miei genitori. Soprattutto ho preso coscienza di quella che era la mia vita prima dell’arresto, un po’ come Maria De Filippi avevo tutto e non apprezzavo niente. Oggi che vorrei solo la mia famiglia, mi rendo conto di quello che ho perso, ma soprattutto ho capito la causa scatenante della perdita d’interesse per le cose importanti: LA COCAINA. A quel punto giurai in modo serio e convinto che non avrei fatto più uso di tale sostanza e promisi di impegnare il mio tempo nell’aiutare gli altri a capire quali sono i veri valori della vita o quanto meno a far prendere coscienza che forse li abbiamo dimenticati. Così, pian piano, parlarono tutti. Jon espresse l’intenzione di avere un’altra bambina e di trovare un lavoro: la notte di Natale aveva lasciato un segno anche a lui. Babj invece era sempre stato un gran lavoratore, ma per uno scherzo del destino la sua vita cambiò: interrotto il rapporto con sua moglie aveva iniziato un rapporto con un’altra ragazza che stava attraversando un periodo di difficoltà, e aveva trascinato anche lui nel mondo della droga con il risultato piuttosto pesante di una restrizione per tutti e due.

Ma, come si dice, non tutto il male viene per nuocere: la notte di Natale è servita anche a lui per dei buoni propositi, infatti giurò che non avrebbe fatto più uso di stupefacenti e che avrebbe lavorato con serietà e costanza. A questo proposito sono felice di scrivere che Babj ha trovato lavoro e anche la casa ed è in attesa della camera di consiglio che lo autorizzi a lasciare il carcere. Cristian invece disse che avrebbe usato la sua intelligenza per aiutare chi ha bisogno più di lui e che avrebbe utilizzato il tempo che deve trascorrere in carcere in modo produttivo. Infatti si è iscritto a Scienze sociali e speriamo che la determinazione che ha dimostrato fino ad adesso non lo lasci strada facendo, in ogni caso fin che starà con noi avrà il nostro sostegno. Moreno invece ci raccontò della sua vita, dei suoi genitori, dei problemi che lo accompagnarono per tutta l’infanzia, che per altro passò con i nonni. Chiaramente la scuola era esclusa dal suo vissuto, visto che doveva in un certo senso provvedere a se stesso. Poi ci fu qualche amicizia sbagliata, la voglia di emergere, di essere sempre al centro dell’attenzione e la conseguente prima bravata, seguita poi da varie esperienze, dalla droga alla prostituzione, ai furti e all’inevitabile entrata in via Spalato, seguita dal più classico dei via vai, libertà-carcere, carcere libertà, e così per qualche anno.

Contandoli, se ne è fatti circa sei, un numero gigantesco se consideriamo che lui di anni ne ha trenta. Posso dire che quella notte quando toccò a lui rimasi un po’ colpito, in quanto esprimeva un certo distacco da quella che lui riteneva una “sceneggiata” che ognuno di noi stava recitando e nello stesso tempo dimostrava di aver già vissuto momenti come quelli, pieni di buona volontà, ma pensava che una volta giunti fuori tutto si sarebbe dimenticato e alla prima occasione ci saremmo ricaduti. Così venne il turno di Luca, dentro per aver colpito un negoziante per pura casualità con un coltello e che la stampa aveva fatto diventare una storia da prima pagina. In realtà se fosse stato seguito dagli assistenti sociali non sarebbe arrivato a tanto e non ci sarebbe stato bisogno di restringerlo. Così finimmo il giro e il bicchiere tornò da me. Al volo presi spunto da quanto avevo sentito e dissi che, come da tradizione, chi cominciava doveva finire.

Facendo una sorta di riepilogo di quanto fu detto, commentai i vari interventi elogiando Jon, Babj, Cristian e Luca per quanto avevano detto e per i buoni propositi espressi, mettendoli però in guardia che, una volta usciti, la tentazione sarebbe stata forte e solo chi veramente crede in quello che ha affermato, avrà la possibilità di farcela. Non persi l’occasione di dire il mio punto di vista su quanto espresso da Moreno, che, scettico sul risultato, buttò un ombra sul momento che avevo con tanta cura creato. E no, caro amico mio, non è come tu dici, ricordati che ognuno è artefice del proprio destino e solo se crediamo con forza e determinazione in noi stessi potremmo ottenere dei risultati. Lo invitai a seguire il mio consiglio di non rimanere in cella a parlare delle solite cose, di cominciare a frequentare i corsi, coinvolgendolo anche a creare qualcosa che possa aiutare chi è destinato a vivere a lungo nelle patrie galere. È con grande piacere che constato che oggi Moreno sta dalla nostra parte, partecipa ai corsi e tutti insieme cerchiamo di dare il nostro contributo per rendere migliore la permanenza in carcere.

Senza nemmeno accorgersi ora fa parte del gruppo che crede che, una volta fuori, si può cambiare. Arrivammo quasi alla mezzanotte, riempimmo i bicchieri di acqua pronti per il brindisi e quando mancavano tre minuti dalla fine, cominciammo a battere ininterrottamente gli sgabelli in modo crescente e sempre più rumoroso. Non nascondo che l’indomani passammo qualche ora ad aggiustarli con lacci di fortuna. Così trascorremmo la notte di Natale e di Capodanno in un modo certamente diverso dall’anno prima, anche se siamo riusciti a trascorrere solo qualche ora di allegria e spensieratezza; purtroppo noi siamo ristretti ma pensare al futuro in modo positivo ci dà quella speranza che si traduce in forza per poter poi affrontare la vita una volta fuori.