Reinserimento: un’isola felice!

 

Di Francesco Seminerio, marzo 2003

 

Purtroppo da alcuni anni mi trovo ad essere ospite delle carceri italiane e, fin quasi dal primo approccio, ho udito un sostantivo che ha invaso con prepotenza i miei organi uditivi e subito dopo quelli cognitivi: reinserimento.

Definizione corretta: nuovo inserimento degli ex carcerati nella società. Però mi sorge spontanea una domanda: ma la società ci appartiene? Dalla definizione oserei dire proprio di sì, in quanto la reale funzione della pena e quindi della detenzione dovrebbe appunto consistere nel rieducare e reinserire la persona, ai fini di una sua nuova e possibilmente migliore collocazione nella società.

A mio avviso è la miglior premessa per chi si trova recluso, nel senso che con questa cultura si affrontano le problematiche quotidiane in maniera diversa, proprio per la speranza di tornare ed essere riaccettato nella nostra società.

Sinceramente anch’io, per molto tempo, ho creduto in questa ideologia ed a queste promesse, addirittura facendomi promotore di questa tesi perché la ritenevo giusta: è normale e logico voler accrescere e migliorare il proprio stato socio-culturale utilizzando i mezzi trattamentali vigenti, in modo da non essere svantaggiato nel prossimo futuro.

Ma ahimè, col trascorrere dei giorni e degli anni, questa logica e questa "teoria" si è sciolta come neve al sole, incentivata dall’assordante silenzio degli organi istituzionali, che nella maggior parte dei casi ci considerano alla pari di un virus nocivo, che come tale deve essere combattuto ed eliminato.

Qualcuno potrebbe obiettare e ritenermi troppo cinico, ma i fatti non smentiscono affatto la mia tesi ed anzi la rafforzano. In primis, tralasciando le buffonate sugli atti di clemenza, nessuno o quasi si è posto il problema relativo alla mancanza di operatori trattamentali, fulcro fondamentale per il reinserimento di chi è detenuto, per non parlare dell’inapplicazione di alcune leggi, esistenti ma non adeguatamente "sfruttate", come avviene ad esempio per la legge Smuraglia, che prevede incentivi e sgravi per le cooperative e le imprese che portano lavoro in carcere o comunque assumono detenuti in misura alternativa alla detenzione.

Udendo e leggendo le riflessioni delle persone "regolari" si riflette in modo evidente la smisurata volontà di inabissare il pianeta carcere, dunque mi chiedo se il reinserimento non sia solamente virtuale, previsto sulla carta perché così prevede la legge, oppure non sia addirittura un’isola felice immaginaria.

Premesso ciò, spero che questa mia immagine sia la fotografia di una cultura medievale e giustizialista, non corrispondente alla realtà, altrimenti dovrei accettare con immenso rammarico di aver creduto in un mito, ma allo stesso tempo fiero di non appartenere a questa società "perbene" ma criminale.